Un pezzo in meno, un pezzo in più.

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Maledizione, maledizione e maledizione!; pensò il moro, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche, ripensando, poi agli occhi di Marco mentre lo supplicava di aiutarlo: che vergogna!, grugnì nella mente, con una smorfia irritata sulle labbra: si era fatto vedere debole anche da lui! Con i denti che fremevano di delusione e rammarico, senza accorgersene, si addentrò, nel parco della città, desolato a quell'ora tarda; anche se non lo conosceva esattamente, poteva dire che, approssimatamene, fossero le undici. Alzò lo sguardo, esplorando la volta celeste così scura, senza stelle, e, lievemente nascosta dai rami che reggevano ancora qualche foglia arancione e gialla; e decise di fermarsi, sedendosi a terra, in quel prato fresco e gelido, quasi bagnato dalla brina della notte, e sospirò, cercando un modo di ricomporsi mentalmente, e con un sospiro angosciato perché non ci riuscì.

Si rannicchiò, riabbottonando la camicia, e adocchiando, poco più dietro di sé una panchina, lasciandosi cullare dal vento che gli scompigliava i capelli, portandogli le ciocche sopra gli occhi, coprendolo dalla tristezza e dalla luminosità delle pupille, dovute alle lacrime che cercava di trattenere: ne aveva versate già troppe, poco fa; e soprattutto, davanti a Marco. Si odiava, si odiava, e si odiava; davvero tanto e fin troppo! Perché?, pensò: era riuscito a rovinare la festa a Marco, dannazione! E cosa peggiore, tremava! Stava tremando come una femminuccia! Doveva solo vergognarsi! Faceva schifo, schifo, e schifo! E ora lo sarebbe stato anche di più! Perché era stato quasi profanato da un essere disgustoso! Era orribile, orribile, orribile! E doveva tornare a casa! Lì avrebbe di certo trovato un modo per non pensare a quelle mani nauseanti e appiccicose, e dal sapore di alcool... Forse doveva bere, sì, sarebbe servito di più a dimenticare... O a smarrirsi ancora di più fino a ucciderlo.

Non voleva farsi vedere da nessuno, soprattutto da Marco! No, non poteva guardarlo in faccia. E poi... Ma sì! Lui meritava quello, no? Era il figlio di un essere ripugnante! Non poteva stare con lui... Doveva convincersi e metterselo in testa una buona volta! In fondo, non avevano nemmeno ballato, o passato tempo assieme... Lui era andato via e non era più tornato... Forse aveva capito che faceva orrore, di chi era figlio.! Lo aveva salvato solo per non macchiare l'importanza e il valore di quella famiglia... Ma a Marco non gli importava di lui, ed era meglio così. Perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi di lui? Un essere che non meritava nemmeno di vivere!

-Ace...-

Sobbalzò, sgranando gli occhi, e indietreggiando con un saltello, ancora con le braccia frementi e seduto, ritrovandosi poi, la figura del biondo dei suoi pensieri che lo aveva appena raggiunto. E non capì: non sarebbe dovuto restare alla sua festa? Ma forse, era lì per ricordargli di averla distrutta, rovinata, e di non farsi più vedere... se lo meritava, rifletté, chinando a terra gli occhi.

-Forse è una domanda sciocca, ma... stai bene?-

Tentennò, boccheggiando e restando con gli occhi sorpresi che sembravano non voler credere a niente, né a quelle parole: impossibile. Si voltò immediatamente verso il biondo con fare meravigliato, mostrandosi in tutta la sua incredulità; non se lo immaginava, aveva davvero..., pensò, a bocca aperta e tornando a chinare il volto per terra: gli aveva chiesto se stava bene! Si preoccupava per lui nonostante gli avesse intaccato il suo compleanno con quell'accaduto? O stava sognando? Sì, era ovvio: stava sognando, forse un colpo di narcolessia lo aveva colpito all'improvviso.

-Ace, non ti biasimo se non le accetterai, ma ti chiedo scusa per come si è comportato Teach...- sospirò, scrollando il capo e sedendosi al suo fianco, adagiando poi una mano sulla sua spalla. -No, lascia stare. Non riesco a perdonarlo io, figurati tu... Ma sono qui, e soprattutto per dirti che non gli permetterò più di avvicinarsi a te, o di toccarti... Promesso. Sono qui, okay?-

-I-io...-

Questo sogno era davvero incredibile e bizzarro; non poteva dire che non gli piaceva, ma era troppo insensato, pensò sospirando angosciato. Però, la parte del "Sono qui, okay?" gli aveva fatto battere forte il cuore, e arrossire il volto, nascosto dalle ciocche che invadevano la sua fronte mentre cercava di prendere le distanze da quella visione, troppo orripilato da sé stesso per poter stare con quella figura angelica, anche se inventata dalla sua mente. L'alcool. Sì, era colpa di quelle bevande: non c'era altra spiegazione. La sua mente malata cercava di tranquillizzarlo con stupide scemenze!

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