Sempre di più.

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Aveva parlato con Luffy, nascondendo la pistola e discutendo come dei bravi fratelli; ed Ace si chiese se avrebbe continuato ad esserlo dopo quello che stava per fare, o se lo fosse stato per davvero in tutti quegli anni; e forse non era da fratello maggiore nascondere un tale crimine, proprio sotto al naso di Luffy, con lui a parlare al maggiore che celava una pistola in casa, nella camera dove dormiva... Ora, il suo fratellino, il suo tesoro, dormiva nel suo letto, e il lentigginoso lo guardava da lontano, seduto a terra e con la schiena contro la base del proprio, in quell'oscurità, e in quel silenzio, ancora con quell'arma nera e sporca in mano. Akainu non era tornato, non si era fatto più vivo da ieri. Non sapeva cosa poteva significare; sembrava che lo stesse lasciando in pace per quello che gli era stato assegnato in quei giorni, o forse era la sua immaginazione che gli è lo diceva non avendo altre idee; nah, forse era morto; probabile, di più però che si stesse ubriacando senza sosta; e magari era proprio lì a casa, ma era crollato nel suo schifoso letto per l'alcool ingerito. Però... e se sapesse per davvero?

Scuoté il capo: No, quei tre non potevano essere in combutta per ricattarlo... O sì?, sgranò gli occhi, ma no, non poteva essere; cercò di convincersi: lui aveva appena ottenuto un pezzo della sua libertà, non poteva essere!, ripeté insistente, tenendo con fare tremante quell'arma maledetta, tra i propri arti come se impugnasse un vaso di ceramica pronto a frantumarsi; uno delle quali ancora bendato; e mordendosi un labro mentre poté udì bene l'orologio della chiesa echeggiare in città, annunciando, a stento per la lontananza, con fare tenebroso e lucubro, senza sosta, l'una: l'ora che attendeva con estrema ansia, e che aveva pregato che non arrivasse mai.

Non voleva farlo, ma voleva perché quell'idiota se lo meritava, e, soprattutto, doveva perché gli era stato ordinato. Dannazione!, imprecò prima di calmarsi, respirare e, nell'alzarsi lentamente osservare il pavimento, analizzando così la situazione con stupore amaro ma consapevole: Già, ordinato... Era uno schiavo... Forse Sabo, se fosse stato lì come tempo fa, nel sentirlo, si sarebbe svegliato e lo avrebbe fatto rinsavire... No, lo avrebbe odiato e lo avrebbe ripudiato. Però, adesso era più certo che tutti in città e in quel dormitorio dove era diretto stessero dormendo e che nessuno lo avrebbe visto, forse solo sentito e...

-Merda. Ci sono le mie impronte su questa cosa.- imprecò, alzandosi in silenzio e percorrendo, corridoio e scale, come se stesse camminando su un pavimento coperto da chiodi che doveva cercare di evitare per non emettere suoni di alcun genere. -Gli darò fuoco, dopo.- decise, continuando a tenerla con tutte e due le mani, guardandola come un oggetto prezioso quanto pericoloso, come se avesse in mano le chiavi per le porte dell'inferno e stesse andando ad aprirle di persona, rischiando la vita... Rischiando di liberare il diavolo, il mostro, che avrebbe poi portato dentro per l'eternità, con il cuore che martellava, e il respiro che usciva sempre meno, perché non riusciva ad assimilare l'aria necessaria intorno, solo piccole dosi che non servivano a nulla se non ad agitarlo e a impossibilitarlo di vivere sempre di più, sempre di più... Sempre, sempre di più.

Era questa... la libertà?



Aveva varcato quell'enorme portone, e non aveva neanche ben capito perché l'avessero lasciato aperto. Credevano davvero di essere al sicuro, o forse lo avevano dimenticato? E se sapessero...? No, no. Di certo molti ragazzi dell'istituto uscivano come tutti per andare a divertirsi, e tornavano tardi, e quindi lasciavano la serratura dischiusa per il loro ritorno... O forse era successo qualcosa, forse non dormivano... Forse... Forse stava impazzendo! Ma basta! Bah, non doveva distrarsi, eppure continuava a farlo: non era convinto di quella missione?

Scuoté il capo, con la pistola tenuta in basso, con tutte e due le mani a reggerla, e con un dito sul grilletto; le braccia lungo il linguine mentre si avvicinò alla sala grande, con il solo pensiero di restare concentrato sul presente e sull'obbiettivo, guardandosi attorno furtivo quanto i suoi passi e trovando tutti quei ragazzi, persino Thatch!, si maledì nel vederlo; che, ubriachi, dormivano per terra mentre il gigante, anche lui assopito; con la tazza enorme sulle cosce, vuota, e gli occhi sereni e rilassati. C'era una confusione lì dentro; tavoli rovesciati, bottiglie ovunque che avevano seminato gocce, meno o più grandi, di alcool; e tutti ammassati, altri con altri, e alcuni con nessuno; distesi o seduti in pose abbastanza, a suo dire, scomode. Compreso il cuoco, disteso di schiena sopra la base laterale del tavolo caduto a terra. Ma quanto avevano bevuto?, si chiese scettico, per poi alzare piano, dopo essersi messo nell'angolo opposto all'uscita, e con davanti l'arcata per entrare in quel luogo; le braccia fino a mirare alla testa di quel tipo enorme: l'importante era colpirlo, poi, se era in un punto vitale sfiorato poco contava: ci aveva provato, si sarebbe giustificato; e poi, essendo vecchio, poteva morire più facilmente, o magari sul colpo per lo spavento... Ma che ne sapeva lui, di queste cose?, scattò funesto, volendo solo finirla subito e andarsene!

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