Padri.

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Marco, Marco, Marco, Marco... Perché non se lo toglieva di dosso? Oh, era stanco di pensare a lui. Era da ieri, da quando il biondo era uscito dalla stanza dell'ospedale lasciandolo in quel lettino, anche se per poco visto che era scappato; che non faceva altro se non pensare ai suoi occhi e a quel volto gentile, dedicato tutto a lui, o almeno ci sperava, con un sorriso lieve sul volto. Si adagiò, Ace, di petto sopra al bancone nella sua postazione, guardando il luogo desolato in cui si trovava con un broncio tenero e annoiato. Gli mancava; ecco, lo aveva detto... Ma gli mancava troppo! Cioè: voleva vederlo, voleva sentirlo, voleva toccarlo... Arrossì, scuotendo il capo e tornando seduto sul proprio sgabello, scuotendosi per le spalle prima di toccarsi le medicazioni, accarezzandole sulle dita con una piccola smorfia, dovuta al non volerle avere, e invece era sempre ferito. Era riuscito a farsele cambiare da Chopper per fortuna, e si era fatto medicare anche le nuove cicatrici dovute a ieri sera, a cui rivolgeva pensieri di terrore misto a puro rancore e rabbia; invece Nami si era ancora lamentata, aveva protestato nel non vederlo con addosso quel completo che lui odiava, e aveva anche osato affermare che ci stesse bene!, rifletté con fare, quasi offeso e oltraggiato.

Digrignò i denti, dedicandosi più alle parole della ragazza invece che ai brutti ricordi, o alla faccia scura di Luffy nel vedere; appartati in un angolo desolato del recinto a muro, chiuso, del liceo, quelle ferite profonde e che sembravano crepare la sua pelle come quando si rompe una finestra tirandogli contro un pallone; ma più allontanava questi scrosci tristi di vita, più il cervello gli è li trasmetteva in modo forte e vivido. Certo, calmare la renna era stato difficile, era rimasto molto sconvolto a quella visione, quasi quanto Luffy; e meno male che era riuscito a pulire il pavimento, lavando le prove incriminate prima che il minore, arrivando dal liceo, scoprisse quanto sangue il suo corpo avesse gettato fuori in una sola notte, ieri. Se si concentrava, anche se non voleva, poteva ancora udire il suono di quella fibbia imbattersi, infrangersi su di lui, quel suono cupo e forte, secco, fuso alle proprie urla, ai suoi gemiti che erano sovrastati dalle risate macabre e oscure di quell'essere, di quel mostro. Quanto, quanto lo odiava, pensò, stritolando, tra i pugni chiusi, i lembi dei suoi pantaloncini, trattenendo il fiato senza udire più nulla al di fuori della sua testa.

Tornò alla realtà, per quanto reale potesse essere, e scrutò il mondo oltre la terrazza del locale con fare curioso e malinconico: c'era un sole così bello quella mattina, da far venir voglia di lasciare tutto e correre per distendersi su quel prato che si stava godendo i raggi di quell'immensa stella alla faccia di tutti loro; ed il giorno passava davvero piano poi; nulla di euforico, nessun Thatch con cui parlare o ridere, nessun cliente da accontentare... Nulla di nulla. Nemmeno Lucci era venuto a controllarlo, però lo aveva intravvisto prima di presentarsi a lavoro, quindi dovrebbe saperlo che, lui stava lavorando: si erano guardati entrambi prima che il tizio con il piccione andasse per la sua strada; e quel volatile, Ace se lo sentiva: dentro di sé, quello lo sbeffeggiava; lo capiva dal suo volto, o forse era solo la stanchezza che lo faceva rimbambire fino a tanto.

Strizzò gli occhi, dandosi dell'idiota perché quello era solo un piccione, e iniziò a dondolarsi sullo sgabello, stando attento: non poteva cadere e rischiare di rompere qualcosa. Però, c'era noia nell'aria. Incredibile da dire, ma gli mancava l'ansia. Almeno lo teneva un po' vivo, ora invece: troppa calma; quasi come essere dentro l'aroma di una camomilla, gli provocava sonnolenza, e non gli faceva sentire niente. E infatti finì per addormentarsi, colto dalla narcolessia, che non lo avrebbe mai lasciato; almeno poteva recuperare il sonno perduto di quella mattina, svegliato presto grazie alla sveglia che era la voce squillante di Luffy, e che lo appagava e lo ripagava per ogni cicatrice che si prendeva.



-Buongiorno. Sai, se eri stanco potevi rimanere in ospedale, o a casa.-

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