Capitolo 1

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Avanzai silenziosamente nel corridoio buio dell'appartamento e sperai di non sbattere da nessuna parte.

Zayn dormiva ormai da un'ora e io avevo aspettato di essere sicura che non fosse sveglio per andare in bagno, così non avrei rischiato di farlo aspettare fuori dalla porta se per caso avesse dovuto andarci.

Una volta raggiunta l'ultima porta in fondo al corridoio, l'aprii e sperai che non cigolasse, poi girai molto lentamente la chiave nella serratura per chiudermi dentro e accesi l'interruttore della luce.

Sospirai e decisi di fare tutto in fretta per poi liberare il bagno e tornare in camera.

Mi lavai le mani con abbondante acqua e le asciugai in fretta, ma il mio riflesso allo specchio mi distrasse prima che potessi uscire.

Era passata una settimana da quando avevo scoperto di aspettare un bambino e circa tre da quella festa a casa di Harry Styles, il mio migliore amico e a quanto pare amico anche di quel ragazzo, Zayn. Sospirai e pensai a quanto fossi stata stupida ad ubriacarmi per la prima volta con lo scopo di dimenticare anche solo per una notte quell'inferno che ero costretta a passare, vivendo. Avevo iniziato bevendo qualche drink non troppo alcolico, ma avevo poi esagerato fino a non ricordarmi più il mio nome e a finire in una stanza con Zayn, molto probabilmente meno cosciente di me.

Non ricordavo nulla di quel momento, se non che la mattina dopo mi ero risvegliata sotto le coperte di un letto a me sconosciuto, avvolta dalle braccia di un ragazzo mai visto prima, con nemmeno l'intimo addosso e solo la consapevolezza di aver perso la verginità con un completo sconosciuto.

Una lacrima mi solcò il viso e l'asciugai prima che arrivasse fino al mento. Presi un respiro profondo e uscii dal bagno, scontrandomi però contro qualcosa di caldo: il petto di Zayn.

«Scusami,» balbettai, mortificata. «Io non sapevo che dovessi andare in bagno, se no non sarei entrata e...»

La sua mano alzata mi fermò e trattenni il respiro quando sfiorò il mio viso umido.

«Cecilia,» sussurrò semplicemente, sottintendendo allo stesso tempo dei rimproveri e delle rassicurazioni.

Lui voleva che io iniziassi a considerare mia quella casa e che quindi non mi preoccupassi di nulla, ma come potevo?

Senza aggiungere una sola parola mi avviai verso la camera in cui avrei dormito, ma il ragazzo mi fermò, afferrandomi una mano.

«Buonanotte,» disse, posando le labbra sulla mia fronte e il palmo caldo della mano sul mio ventre.

Intontita dai suoi gesti, giunsi in camera e mi sdraiai lentamente sul letto che Zayn aveva preparato con delle lenzuola pulite quel pomeriggio.

La mattina dopo mi svegliai alle sette, mentre lui ancora dormiva. Alle otto e mezza sarebbe iniziato il mio turno in libreria e ancora non sapevo come ci sarei arrivata dalla casa di Zayn. Tirai fuori da una scatola un paio di jeans, una maglia e una felpa e mi vestii, per poi indossare le scarpe.

Aspettai che Zayn si svegliasse, sedendomi ancora accanto a quella finestra, ma alle otto lui ancora dormiva. Così decisi di dirigermi in camera sua e aprii silenziosamente la porta.

Dormiva sdraiato sul fianco sinistro con un'espressione rilassata sul volto e mi dispiaceva svegliarlo, ma dovevo andare a lavorare.

Appoggiai la mano sulla sua spalla e la scossi lievemente, ma lui sobbalzò e mi guardò preoccupato.

«Cecilia, ti senti male? Devo portarti all'ospedale?» chiese, alzandosi dal letto e vestendosi alla velocità della luce.

«No, io-» tentai di spiegare, ma lui mi interruppe nuovamente.

«Stai per partorire?» chiese poi, facendomi spalancare la bocca.

«Sei serio? Mancano otto mesi,» dissi, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.

«Era l'ultima opzione rimasta» spiegò, grattandosi il collo in imbarazzo, ma io mi lasciai sfuggire una leggera risata, facendolo sorridere.

«Devo andare a lavorare e non so come arrivarci,» spiegai poi e lui annuì, comprensivo.

«Ti porto io, non preoccuparti.» Sorrise, mostrando la sua dentatura bianca. «Hai già fatto colazione?»

Scossi la testa. «Io non faccio mai colazione,» risposi e alzai impercettibilmente le spalle.

«Non ci pensare minimamente. Hai bisogno di mangiare, anzi, avete,» precisò e io, senza rendermene conto, posai la mano sul mio ventre.

«Ora che ci penso, credo ci sia bisogno di andare dal ginecologo per farci dire di cosa avete bisogno tu e il bambino. Sai, integratori e cose del genere,» farfugliò, gesticolando con le braccia. «Ho sentito dire che una donna incinta ha bisogno di molto folato e...» smisi di ascoltarlo quando iniziò a parlare di tutte le sostanze specifiche e mi persi ad osservare la sua espressione corrucciata e buffa.

Era così preoccupato per me, per noi, che sembrava quasi mi conoscesse da una vita, invece ero solo un'estranea per lui.

Dopo qualche minuto mi preparò una tazza di latte caldo con dei biscotti e mi porse uno yogurt da bere ai frutti di bosco. In un sorso mandai giù lo yogurt freddo e una smorfia si fece spazio sul mio viso, ma tentai di nasconderla. Presi poi la tazza e la portai alle labbra ma dopo il primo sorso iniziai a sentirmi male. Strinsi le labbra in una linea sottile e con una mano mi circondai la vita.

Zayn distolse proprio in quel momento lo sguardo dal suo latte e spalancò la bocca, preoccupato.

«Cecilia, stai bene?»

«Ora ricordo perché non faccio colazione la mattina,» farfugliai, prima di correre in bagno e chiudermi dentro a chiave.

Alzai la tavoletta, pronta a vomitare quel poco che avevo bevuto, con una mano a tenermi i capelli e l'altra a stringermi la pancia per il dolore.

«Cecilia, apri!» gridò Zayn, mostrando la sua agitazione.

Come era già successo in passato, non vomitai. Mi accasciai sul pavimento freddo, con la schiena appoggiata al box della doccia.

Pochi attimi dopo la chiave cadde a terra e Zayn riuscì ad aprire la porta, probabilmente con una chiave di riserva. Si affrettò a raggiungermi e mi strinse dolcemente in un abbraccio.

«Ora andiamo subito al pronto soccorso, Cecilia,» disse, serio.

«È già successo altre volte, Zayn. Non è nulla, davvero,» lo rassicurai, stringendo le gambe al petto come il pomeriggio precedente.

«Non è nulla? Non è normale che tu ti sia sentita male per un sorso di latte, a meno che tu non sia intollerante,» disse, ma io scossi la testa. «Dai, andiamo.» Si alzò dal pavimento, ma io non avevo intenzione di fare lo stesso.

«Ti prego,» supplicai e qualcosa nel mio sguardo lo convinse, perché sospirò.

«Va bene, ma oggi non andrai a lavorare, chiaro? Non me lo perdonerei mai se dovessi sentirti male mentre non sono lì per aiutarti.»

Le sue parole mi fecero provare un'emozione mai provata prima. Mi sentivo al sicuro e sapevo che lui mi avrebbe aiutata.

Cioccolato al latteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora