Capitolo 18

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Mantenni lo sguardo fuori dal finestrino, in silenzio. Ero ancora un po' scossa dalla mia decisione e da tutto quello che avevo rivelato a Louis sul bambino e le mie paure. Dirle ad un estraneo aveva avuto un effetto totalmente diverso su di me. Parlandone con Niall non mi ero davvero resa conto della situazione.

«Ho deciso di parlare con lo psicologo.» interruppi il silenzio con questa frase che avrebbe lasciato stranito sicuramente il mio migliore amico.

Harry, invece, rimase in silenzio, con le labbra socchiuse e lo sguardo fisso sulla strada.

«È successo qualcosa, Harry?» chiesi, non capendo perché non parlasse.

Quando il suo sguardo divenne vagamente sognante, ridacchiai.

«Sai, stavo pensando che... Scarlett, Scarlett e Scarlett.» attirai finalmente l'attenzione del mio migliore amico, che scosse leggermente la testa, per poi lanciarmi uno sguardo interrogativo e fissare di nuovo la strada, con le mani salde sul volante.

«Hai detto qualcosa?» domandò, corrugando la fronte, ma io mi strinsi nelle spalle.

«No.» risposi, cercando di trattenere una risata estremamente divertita.

Fare impazzire Harry era una delle cose più gratificanti nella mia vita.

«Oh, pensavo avessi detto Scarlett.»

«Infatti l'ho detto.» ammisi e lui mi guardò confuso.

«Cosa?» scoppiai a ridere e lui, capendo tutto, accennò un sorriso.

Non mi risultò così strano che Harry si sentisse attratto da Scarlett: era una bellissima ragazza e davvero molto dolce.

«Non sei divertente.» mi rivolse una linguaccia, parcheggiando la sua auto di fronte al palazzo dove vivevamo Zayn e io.

«Sì, invece.» gli lasciai un bacio sulla guancia e scesi dalla macchina, pronta ad entrare nel palazzo, ma Harry mi bloccò.

«Aspetta, com'è andata dal ginecologo?» alle sue parole, ripresi a camminare.

«La prossima volta ascoltami, Styles.» gridai di spalle, aprendo il portone, e mi sembrò di sentire Harry sbuffare.

Sorrisi fra me e me e, in pochi minuti, arrivai al piano della casa di Zayn. Non suonai nemmeno e aprii la porta con il mio mazzo di chiavi. Ero sicura che il ragazzo non ci sarebbe stato, dato che la settimana prima mi aveva detto che quel giorno era occupato, ma notai subito il suo giubbotto, appoggiato sul divano in salotto, con accanto un mazzo di violette.

Alzai entrambe le sopracciglia ed entrai in cucina.

Zayn era seduto a tavola, con qualche bottiglia di vetro vuota davanti, una mano affondata nei capelli più spettinati del solito e l'altra stretta a pugno sul ripiano.

Dopo aver ingoiato la pastiglia, posizionai una pentola con l'acqua sul fuoco e non distolsi lo sguardo dal fornello.

«Non credi sia un po' presto per bere tutti quegli alcolici?» chiesi, non sapendo che reazione aspettarmi da parte sua. Forse non avrebbe risposto nulla, avrebbe continuato a mantenere le distanze come era solito fare.

«Non c'è un'ora stabilita per soffrire.» sussultai sentendo il suo tono di voce così diverso dal solito e mi voltai verso di lui.

Le lacrime cominciarono a scorrere sul suo volto pallido e le asciugò velocemente, per poi strisciare la sedia sul pavimento e avvicinarsi in un attimo al mio corpo. Posizionò le mani ai lati della mia testa, sullo sportello dove erano riposti i bicchieri e i piatti, e subito dopo il suo viso fu a pochi millimetri dal mio.

«Non c'è un fottuto modo per dimenticare.» sussurrò con sofferenza, facendo in modo che un forte odore di alcol raggiungesse le mie narici.

«Sei ubriaco, Zayn.» constatai ma lui scosse la testa, in negazione.

«Sono solo distrutto. Mi sento devastato in ogni singola particella del mio corpo.» la sua fronte toccò la mia, quando pronunciò queste parole che mi fecero mancare il fiato per un attimo interminabile.

Non sapevo cosa fosse successo a Zayn, ma non lo avevo mai visto così. Nessuno avrebbe potuto scegliere delle parole migliori per descriverlo, di quelle che aveva utilizzato lui. Sembrava che ogni fibra del suo essere stesse soffrendo come mai prima per qualcosa, ma cosa?

Avvicinai titubante la mano al suo viso e la posai sulla sua guancia sinistra. Chiuse gli occhi quando lo accarezzai.

«Che cosa...» provai a domandare che cosa fosse successo, ma lui mi precedette.

«Oggi è il sesto anniversario della... morte di mia nonna Violet.» sgranai gli occhi a quelle parole.

Ecco perché mi aveva detto che quel giorno sarebbe stato impegnato ed era così distrutto.

Abbassai lo sguardo verso i miei piedi, non trovando le parole da dire. Non ero brava in quel genere di cose e di solito ero io quella ad aver bisogno di conforto.

«Questa mattina le ho comprato un mazzo di viole, ma non ce l'ho fatta ad andare lì al cimitero e...» un singhiozzo lo bloccò e io alzai il viso verso il suo.

Lessi nei suoi occhi una richiesta di aiuto e non avrei mai potuto far finta di nulla. Portai la mano a stringere la sua e con l'altra, ancora appoggiata sulla sua guancia, sfiorai il suo collo. Zayn, con il braccio libero, mi abbracciò.

Sospirai, dispiaciuta, e mi allontanai dal suo corpo per spegnere il fornello. Afferrai nuovamente la sua mano e lo trascinai fino al giubbotto e ai fiori. Lui mi guardò confuso.

«Andiamo.» dissi semplicemente, sperando che lui non reagisse negativamente alle mie intenzioni.

Come avevo sperato, però, indossò il giubbotto, prese in mano le violette e mi seguì fuori dalla sua casa. Forse aveva solo bisogno di qualcuno che lo accompagnasse, per sostenerlo moralmente.

«Grazie.» mormorò, con la voce rotta dal pianto.

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