Capitolo 24

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Mi guardai intorno con un tremendo mal di stomaco. Mi sentivo a disagio in quello studio, che mi faceva tornare alla mente troppi brutti ricordi, e stavo anche combattendo il desiderio di stringere le gambe al petto, come ero solita fare per creare una specie di scudo contro l'esterno. Mi ricordavo ancora come la psicologa che mi seguiva mi aveva gridato contro che ero una bambina maleducata, quando avevo provato a darmi conforto da sola con quella posizione.

«Cecilia.» il tono di voce pacato e dolce di Liam mi riscosse dai miei pensieri, per fortuna. Qualche altro istante e sarei annegata in quell'abisso di ricordi segnato da lacrime, grida e tristezza.

«Sì?» la mia voce uscì come un sussurro dalle mie labbra, ma ero sicura che lo psicologo mi avesse sentito.

«Non sei obbligata a stare qui. - sorrise e con la sua mano strinse la mia, appoggiata sulla sua scrivania - Nonostante creda che queste sedute possano essere utili sia a te che al bambino, puoi alzarti e andartene. Non sarò io a trattenerti.» allontanai la mia mano e abbassai lo sguardo, per poi osservare le mie unghie.

Volevo uscire. Volevo alzarmi e tornare a casa con Harry perché ero completamente terrorizzata, ma non ci riuscivo.

Potevo ancora vedermi lì, in quel piccolo studio a Mullingar, intenta ad osservare le lancette scorrere lentamente, aspettando che arrivasse finalmente l'ora di uscire da quella porta per raggiungere mia mamma.

Forse erano quei ricordi a tenermi incatenata alla sedia, incapace di muovere un muscolo, o magari la consapevolezza che restare lì con Liam era l'unico modo per superare i miei problemi, per permettere a mio figlio di nascere senza malattie, senza un futuro già segnato dalla sofferenza.

«No, ho chiesto io di vederti.» risposi, costringendomi così a restare lì, senza la tentazione di andarmene.

Il silenzio calò nella stanza e, se da bambina ero stata abituata ad avere sedute composte interamente da domande, tante domande, e mie risposte che non andavano mai bene, con lo psicologo Payne era diverso. Lui non parlava molto, si limitava a guardarmi senza scrivere ogni mio movimento su un dannato foglietto.

«Louis mi ha detto che hai paura per la tua gravidanza a causa dei tuoi disturbi alimentari e...»

«Mi chiederai di dirti che forma veda in una chiazza di colore?» chiesi, interrompendolo, mentre lui socchiuse le labbra. Per quale dannato motivo lo avevo chiesto? Sarei passata di sicuro per la pazza di turno a causa della mia boccaccia.

Il ragazzo aprì un cassetto della sua scrivania e ne tirò fuori alcuni fogli, con quelle chiazze di colore impresse sopra. Mi irrigidii quando me li porse.

«Mi stai prendendo in giro?» il mio tono di voce fu più freddo di quanto avessi voluto, ma non mi importava.

Liam era esattamente come tutti gli altri psicologi e mi sarebbe piaciuto non essere mai entrata in quello studio.

Mi alzai dalla poltroncina, pronta ad andarmene, ma lo psicologo mi bloccò, afferrandomi il braccio, e mi fece sedere nuovamente.

«Fai a quei fogli quello che vuoi. Qualsiasi cosa.» pensai che stesse scherzando, ma dalla sua espressione capii che era serio.

Titubante, li afferrai e li osservai, per poi chiudere gli occhi e prendere un respiro profondo. Iniziai a strapparli, con tutta la rabbia che provavo, e forse qualche lacrima mi rigò il viso, ma nemmeno me ne accorsi.

«Ti senti meglio? - annuii semplicemente - Davvero credevi che ti avrei fatto fare qualcosa contro la tua volontà, Cecilia? Non lo farei mai.» la sfumatura di delusione nella sua voce mi fece sentire terribilmente in colpa, ma non potevo farci nulla se avevo avuto paura.

«Adesso lo so.» forzai un sorriso che lui ricambiò con uno vero.

«Se posso chiedere, perché non ti fidi di noi?» chiese e capii subito che si riferiva agli psicologi in generale.

«Quando avevo otto anni ho passato un mese con mio 'padre' e la sua fidanzata e, quando sono tornata, ero talmente sconvolta e distrutta che mia mamma ha pensato di mandarmi da una psicologa per farmi aiutare a superare tutto. Ma la situazione non ha fatto altro che peggiorare e gli assistenti sociali, dopo aver attributo ogni colpa a mia mamma, hanno provato a mandarmi in una casa-famiglia.» spiegai, con nessuna emozione nella voce.

Era ormai la terza volta che raccontavo quella storia a qualcuno e, se la prima volta avevo pianto davanti a Harry e la seconda sorriso amaramente parlando con Zayn, quella volta ero completamente svuotata.

Liam sospirò, per poi afferrare una cornice dalla sua scrivania e iniziare ad osservarla, con uno strano luccichio negli occhi.

«Sai perché ho deciso di fare questo lavoro?» rimasi in silenzio perché avevo capito che era una di quelle domande a cui bisogna rispondere rimanendo zitti e aspettando che l'altro continui.

Girò la cornice verso di me e osservai la ragazza raffigurata nella foto. I suoi capelli scuri erano lunghi e i suoi occhi castani risplendevano grazie al sorriso sfoggiato.

«Questa ragazza è stata la mia migliore amica sin da quando ero poco più che un neonato. - sorrise lievemente - Quando avevamo dieci anni suo padre è morto e gli psicologi, pensando che sua madre non fosse in grado di crescerla, l'hanno mandata in una casa-famiglia in Irlanda.» abbassò lo sguardo e io mi coprii il viso con la mano.

Non sapevo perché Liam si stesse confidando con me, ma tutto quello era ciò di cui avevo avuto paura sin da piccola.

«Non l'ho più vista da quel giorno. - posizionò la cornice nel suo precedente punto sulla scrivania - E mi sono ripromesso, quello stesso giorno, che sarei diventato uno psicologo, uno psicologo che non avrebbe mai fatto soffrire nessuno, che non avrebbe mai separato i figli dai propri genitori, senza che ci fosse un valido motivo.» strinsi la sua mano a quelle parole e lui mi sorrise.

Liam Payne era diverso. Era uno psicologo che meritava di essere chiamato tale ed ero felice di essermi fidata di lui.

«E quindi eccomi qui.» concluse.

Nei suoi occhi si poteva leggere la sofferenza di aver riportato alla mente quei ricordi e io sperai che questa ragazza, ovunque fosse, stesse bene. Sperai che questa ragazza tornasse da Liam, qui a Londra. Questa ragazza era in Irlanda, dove io ero nata e dove sarei tornata con tutta me stessa, se solo avessi avuto il coraggio.

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