cap 11 secondo altri occhi

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 Quella mattina era arrivato al solito orario, come era giusto che fosse.

Quei minuti di anticipo del giorno prima erano stati solo una coincidenza che non si era ripetuta, niente di strano solo casualità.
Quando però arrivò a scuola non vide il piccolo marmocchio da nessuna parte e non ne percepiva l'odore.
Forse era in ritardo.

-Noah bon-bon non trovi sia proprio una bella giornata?-
-No Sara-
-Cos'è tutta questa gioia tesoro? Marck ti ha contagiato col suo buon umore-

La ragazza diede una pacca sulla spalla al ragazzo appena nominato ma questo la fulminò con lo sguardo.

-Non mi devi toccare. MAI-

-Ok mr. Simpatia come vuoi-

Noah si sentì rincuorato nel costatare che non era l'unico a versare in uno stato di frustraziome e mal contento quindi accantonò la faccenda senza attribuirla a qualcosa in particolare.

-Ma Lele?-
-Dov'è?-

Chiesero i gemelli.
David tirò a se il fratello e gli sistemò la camicia e i capelli arruffati.

-Fratello ma sei scemo?-
-Se sei un rompiscatole non è colpa mia-
-Non ho intenzione di farmi vedere o essere confuso con uno che non sa mettere il bottone nell'asola giusta-

Dastin fece un respiro profondo e abbracciò il fratello

-Scusa David-
-Sei un cretino-
-Si anche io ti voglio bene-

Quei due avevano un legame come dire... particolare.

-Dov'è Michel-
-Come Kate?-
-Dov'è vostro fratello?-
-Sta flirtando con una ragazza-
-Vuoi dire che fa lo zerbino David-
-Ovviamente. Ma Lele allora?-
-Non lo sappiamo-

Mentre Sara elencava i possibili motivi del ritardo Marck e Noah si guardavano silenziosamente in giro.

Al suono della campanella, qualche minuto dopo, tutti parvero piuttosto sorpresi di non vedere ancora Alessandro arrivare. Non lo conoscevano bene eppure i giorni prima, e al loro incontro in palestra, si era presentato con largo anticipo.
Una volta entrati Noah si diresse a passo spedito verso la sua classe abbastanza nervoso o per meglio dire irrequieto; seduto al suo posto continuava a battere il piede a terra e a scandire il tempo picchiettando le dita sul banco.
-Eih amico, che hai?- Leonida gli aveva poggiato una mano sulla spalla e lo guardava con cipiglio confuso. - Ti pare che io abbia qualcosa?-
Il ragazzo stava per ribattere ma venne fermato dalla compagna che con un cenno del capo gli aveva fatto capire che sarebbe stato meglio non insistere ulteriormente. 

Lasciato a se stesso Noah sentiva le parole dell'amico ripetersi come un eco nell'aria e tormentarlo come una mosca molesta che ti ronza vicino all'orecchio nel momento in cui cerchi di addormentarti.

Figuriamoci se ho qualcosa che non va, forse è lui quello con qualche problema. Anzi ad avere un problema sono quei gemelli, che cosa gli importava di dov'era la pulce; quello è affar mio casomai. Se non so dove si trovano i miei lupi che Alfa posso mai essere?

Capire che qualcosa lo turbava davvero fu per il biondo un percorso tutt'altro che facile e in discesa ma per lo meno ce l'aveva fatta; al ché decise di prendere un respiro profondo.  Doveva aspettare poche ore, in realtà all'incirca mezz'ora dato il dilungarsi del monologo che lo aveva occupato fino a quel momento, poi sarebbe incominciata la ricreazione. Se anche allora non avesse visto Alessandro sarebbe andato a cercarlo, si avrebbe decisamente fatto così.
Appena sentì la campanella si diresse in giardino aspettando il suo gruppo di amici e 
quando vide arrivare Marck solo il suo primo pensiero fu se procurarsi un permesso di uscita anticipata o andarsene e basta.
-Dov'è il mio piccolo Lele?- Chiese Sarà rivolta al ragazzo col pircing che era appena arrivato.

-In classe non ci è stato detto niente quindi non rompere- La bionda era troppo indaffarata per dare corda all'indole rissosa di Marck che si sentì ignorato, ma anche lui era preoccupato anche se non lo avrebbe mai ammesso.

-Che fai?- Le chiese Noah. -Lo chiamo- -Ma quando hai avuto il suo numero?-  - Non è colpa mia se siete dei perditempo e vi dimenticate di cose così basilari-
Dopo diversi squilli a vuoto la ragazza mise via il telefono.
-E adesso? Forse sta solo dormendo-
-O forse no. Io vado a controllare-
Impulsivo di indole Noah si alzò e fece per andarsene.
-Cretino non sai neanche dove abita-
Sara prese una biro che aveva nelle tasche del pantalone e scrisse l'indirizzo sulla mano del proprio Alfa.
-Ecco, ora puoi andare tontolone-
Il ragazzo voleva chiederle quando diavolo avesse avuto quelle informazioni da Alessandro dato che lui non le sapeva e che lo osservava non appena entrava nel suo raggio d'azione. Non aveva tempo da perdere quindi lasciò l'edificio appuntandosi di inventare una scusa plausibile per quella fuga improvvisa.
Giunto a casa del moro citofonò e nell'attesa lesse i cognomi sulla targhetta poco sopra il bottone che aveva premuto; chissà  quale dei due era quello di Alessandro e quindi del padre e quale quello della madre.
Quando la porta venne aperta si trovò di fronte una figura di donna piuttosto minuta.
-Scusi io sono... un amico di suo figlio. A scuola è assente e non risponde alle telefonate. È in casa?-
La donna si incupì e un forte odore di ansia e senso di colpa si levó dalla sua figura.
-Oggi è uscito tardi ma dovrebbe essere già arrivato-

A quanto pare aveva fatto bene a preoccuparsi -Io vado a cercarlo signora. Alla prossima-

-Grazie ragazzo, per favore avvisami appena lo trovi-  -Certamente-
Noah prese l'ennesima decisione affrettata della giornata e si trasformò  in lupo lasciando che i vestiti si strappassero e ormai ridotti in stracci cadessero a terra; e con l'aiuto del suo olfatto si gettò in una corsa sfrenata per trovare Alessandro.
Trasformarsi in lupo non significava soltanto cambiare forma, era abbandonare la ragione, quel debole argine che impediva all'istinto di prendere il controllo. Quando la sua parte ferina prendeva il sopravvento non c'era spazio per ragionamenti, bugie o filtri. Non si era più se stessi e allo stesso tempo ci si avvicinava alla propria natura, al proprio io.
Le zampe si muovevano veloci e sembravano non toccare il terreno, le orecchie ruotavano in cerca di suoni sospetti e il naso cercava la traccia giusta.
Nel seguire l'odore dell'omega, che aveva rintracciato da poco, si ritrovò in una strada poco frequentata e data l'ora ancora più desolata del solito.
Fu un attimo, il profumo che lo aveva guidato era diventato ancora più intenso, copriva tutti gli altri e accelerò ancora di più il passo, poi però una nota stonata: un altro uomo e la sua maledettissima eccitazione.

Rabbia, furia, possesso e desiderio di uccidere.

Quando fu vicino alle due figure gli sembrò di vedere rosso, quel rosso che presto avrebbe coperto l'uomo.
Un ringhio di avvertenza e poi sarebbe balzato al collo di quel bastardo. Quando però l'energumeno si spostò lasciando spazio alla figura di Alessandro sentì qualcosa di nuovo, la paura del mannaro. Era spaventato, la maglietta stropicciata e il volto sconvolto; non voleva infierire su quella piccola creatura; quindi non si cimentó in un attacco cruento come era sua intenzione.
Non era stato un pensiero razionale ma un istinto, il desiderio di protezione immotivato ma pressante e imprerogabile.
Ringhió nuovamente mostrando i denti in un chiaro segno di minaccia, se non fosse sparito all'istante lo avrebbe sbranato lo stesso, non era così clemente.
Quando il bastardo se ne andò finalmente sentì di potersi rilassare e quindi si avvicinò al giovane.
Era ancora spaventato.
Non voleva che fosse così; doveva avvicinarsi, rassicurarlo e percepirlo maggiormente e con tutta quella distanza a dividerli non poteva.

Si fermó per dimostrare all'altro che era innoquo e per la prima volta si era mostrato, a qualcuno che non fosse di famiglia, vulnerabile e aveva abbassato la guardia.
Si sarebbe dovuto sentire umiliato in quell'atteggiamento quasi sottomesso eppure aveva la sensazione di aver fatto qualcosa di giusto, era quella la verità, il suo desiderio di stargli accanto andava oltre.

Quando capì di poter avvicinarsi nuovamente senza spaventarlo non esitò ulteriolmente.
Ora che l'altro sembrava più calmo aveva smesso di tremare e aveva cominciato ad accarezzarlo si sentiva appagato; la sua voce che sussurrava parole poco importanti,le sue dita che passavano dalle orecchie al muso, era tutto un picco di piacere che lo stordiva .

Non aveva mai provato niente del genere e voleva dimostrargli quell'affetto.

Poi l'odore dell'altro, di quella feccia che aveva messo in fuga,  gli solleticò il naso (prima non lo aveva notato preso dalla gioia di averlo vicino, di averlo e basta) e quello lo mandò in bestia.
Lo aveva toccato, si era preso ciò che gli apparteneva e che nessun altro avrebbe dovuto desiderare.

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