Lebhet aveva consegnato la sua lettera di richiesta di trasferimento ben una settimana prima, quando aveva ricevuto lo scritto della figlia maggiore del defunto Sasherd, Aisha, in cui gli raccontava dei sotterfugi di corte e di ciò che stava accadento alla piccola Agarizha. Lebhet stimava molto la primogenita, poiché non si vantava mai delle sue doti e cercava sempre di difendere la piccola dalle ingiustizie, proprio come faceva lui. E se c' era una cosa che non sopportava, era la prepotenza di Curucat e Hazyrah. Si era ripromesso con tutto il cuore che avrebbe agito, fino ad usare tutte le sue forze, perché Agarizha non subisse più maltrattamenti e ora che si trovava molto lontano, si sentiva profondamente in colpa per non essere riuscito nel suo intento. Nessuno lo aveva ancora chiamato dal Sommo Sacerdote, e se non ciò non fosse accaduto entro due ore, significava che la sua richiesta era stata respinta. Il giovane non voleva darsi per vinto, avrebbe pregato, scongiurato gli dei, perché lui ci teneva alla piccola Agarizha e non avrebbe mai sopportato il dolore di saperla tra le grinfie del suo ex padrone. Chissà quali pene le stava facendo passare, chissà se lei aveva qualcuno con cui confidarsi, qualcuno che la consolasse o che la facesse sentire amata, nei momenti difficili, come faceva lui. Se la immaginava, povera creatura, in mezzo a quei demoni travestiti da angeli, una persona giusta vista come perfida in mezzo a persone malvagie con maschere da giusti. L' ansia gli consumava il corpo, decise di non pensarci e di farsi un bagno nel laghetto del cortile centrale del tempio. Appena si tolse la tunica e si accinse ad entrare nell' acqua fresca e limpida, circondata da palme da dattero, giuggioli, sicomori e cespugli pieni di bacche succulente, un giovane servitore, di un' età compresa tra i dieci e i tredici anni, lo chiamò: -Il sacerdote Lebhet, si trova qui?- -Ehm... sono... sono io...- rispose, imbarazzato, arrossendo. Si girò, coprendosi. -Il Sommo Sacerdote ha detto di chiamarvi- -Ah sì? E... perchè ?- lo interrogò, trepidante, mentre si rimetteva la tunica da sacerdote puro. -Mi ha solo riferito che è molto importante e che deve parlarvi.- -Devo andare da lui?- -Sì, nella sua stanza. Il mio lavoro è concluso.- -Aspetta, ragazzino! Hai detto : nella sua stanza?- -Proprio così, signore. Vi sembra strano?- -Di solito ci chiama in ufficio...- -Sarà un evento così importante che preferisce ricevervi direttamente nella sua stanza, signore. Ora devo andare, ho altre commissioni- il piccolo lo salutò, sorridendo. In Lebhet si accese un lume di speranza: forse era ciò che stava sperando da così tanto tempo? Si precipitò nella stanza del Sommo, bussò, sempre in preda all' emozione. -Sei tu, mio caro Lebhet?- una voce roca ma dolce lo accolse da dentro. -Sono proprio io, signore. Posso entrare?- chiese il ragazzo, mentre l' ansia lo divorava. -Certo, ti aspettavo.- Il ragazzo aprì la porta ed entrò. Il Sommo lo aspettava, seduto sul suo letto. - Cosa dovete dirmi?- -Non farò tanti giri di parole, mio caro. Il tuo trasferimento è stato accettato. Per me è stato un piacere conoscerti e so che darai il meglio di te, sempre e comunque.- -Potete starne certo, signore. Vi ringrazio infinitamente.- -Quando le motivazioni sono così alte e di grande spessore, non posso certo rifiutare una richiesta. Sei un ragazzo davvero puro.- -Faccio solo del mio meglio, signore.- -La modestia è un grande dono, ma non sminuire il bene che metti in pratica. Vai ora, e compi la tua missione.- -Vi ringrazio di nuovo. Addio, signore.- Lebhet non ci vedeva più dalla gioia. Corse subito a prepararsi, nel pomeriggio sarebbe partito per tornare a Tebe. Non vedeva l'ora di rendere giustizia a quella povera ragazzina.
* * *
"Caro Mohamed,
ti ricordi di me? Lo spero... sono Lebhet, il tuo amico di infanzia, nonché amico di tuo cugino Omar. Con gran dispiacere sono venuto a sapere degli ultimi avvenimenti. Anche se ultimamente mi sembrava strano, onestamente non avrei mai pensato che Omar fosse un pazzo furioso, che la sua anima fosse tanto tormentata da cattivi pensieri e da pessime azioni. Ciò che è successo non è descrivibile con parole, ma sappi che ti sono vicino e che offro a te e alla tua nuova famglia tutto il mio affetto. Spero di tornare a Tebe, un giorno, di riabbracciarti e parlarti di persona, come ai vecchi tempi. Purtroppo ci siamo persi di vista molto prima del mio traferimento e questo non credo che riuscirò mai a perdonarmelo. Confido nella tua comprensione, caro amico, sappi che anche se ora mi trovo a una grande distanza da Tebe, con il cuore ti sarò sempre vicino.

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L'erede
Ficção HistóricaAntico Egitto, IV dinastia. Il faraone Sasherd regna ormai da quindici anni con la moglie Sherezade. I due sovrani hanno due figlie: la maggiore, Aisha e la minore, Agarizha. In mancanza di figli maschi, una delle due diventerà la futura Regina del...