Capitolo 69.

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«Talvolta crediamo di aver nostalgia di un luogo lontano, mentre a rigore abbiamo solo nostalgia del tempo vissuto in quel luogo quando eravamo più giovani e freschi.» (Arthur Schopenhauer)

Erano passate due settimane dall'incontro con mio padre. Mi sentivo meglio, ma non troppo. Da allora, non avevo più sentito Ethan e la sua mancanza cominciava a fari sentire, mi ero dovuta trattenere un paio di volte dal prendere il cellulare e chiamarlo. La cosa che più mi aveva sorpreso era che Ethan, esattamente come quando eravamo piccoli, aveva rispettato la mia scelta di non vederlo, senza tentare di convincermi ad ascoltarlo e ascoltare quello che aveva da dire. Si era arreso fin da subito, senza troppi problemi. Per quanto la cosa mi facesse bene (meno lo vedevo, meglio stavo), allo stesso tempo ero ferita perché istintivamente mi ritrovavo a dirmi che se davvero teneva a me, avrebbe fatto di tutto per ricucire il nostro rapporto. Invece, per come si stava comportando Ethan, sembrava che la mia assenza non gli avesse cambiato minimamente la vita e che lui stesse bene ugualmente. Anche se dentro di me ero convinta che quel suo silenzio serviva per dare spazio a entrambi, e tempo per riflettere e valutare la situazione. "Non devi pensarci Daisy, perché ti fai solo male", pensai tra me e me mentre la mia mano stava prendendo meccanicamente gli appunti. Seguire le lezioni in quelle due settimane era stata un'impresa, ma l'aspetto positivo era che, almeno per qualche ora, riuscivo a mettere da parte i miei pensieri, concentrandomi su altro. A fine giornata, decisi di tornare direttamente a casa e dedicarmi allo studio, visto che di lì a meno di dieci giorni avrei avuto il primo esame e volevo che andasse bene.

«Giornata pesante, oggi», si lamentò Ale, uscendo dall'aula.

«Sì, sembra che i professori si siano messi d'accordo per torturarci», confermò Noemi.

«Solo io ho la mano che non funziona più?», domandò Tommy, mostrandoci la sua mano penzolante. «Non si muove nemmeno più.»

«Sì, oggi ci hanno davvero bombardati di informazioni. E non pensavo fosse possibile che la professoressa potesse spiegare così tanto in una lezione a meno di una settimana dall'esame», dissi sconvolta.

I ritmi universitari erano frenetici e se non si riusciva ad anticipare lo studio, o comunque stare al passo con le spiegazioni, era davvero difficile riuscire a dare un esame in tempo.

«Non riuscirò mai a dare l'esame così presto, penso che aspetterò il secondo appello a questo punto», sbuffò Noemi, demoralizzata dalla quantità di cose da studiare.

«Ce la puoi fare benissimo», la incoraggiai.

«Noi pensiamo di andare a mangiare qualcosa, vi va?» domandò Ale.

«No, noi torniamo a casa», rispose Noemi anche per me.

Non riuscii a capire come mai avesse dato quella riposta, ma ipotizzai che volesse parlare con me di qualcosa di importante. Salutammo i ragazzi e Noemi aspettò che si fossero allontanati prima di parlare.

«Scusa, ma ho bisogno di stare un po' con te. Non ci parliamo da tanto e sono preoccupata per te.»

«Preoccupata per me?» chiesi.

Non riuscivo a chiudere occhio, di notte. Era da tanto che non facevo una bella dormita, ma ero anche sicura che le abilità di make-up artist di Gracia fossero state capaci di coprire le occhiaie che mi portavo dietro da giorni.

«Sì, guardati. È una mia impressione o non mangi niente da giorni? E questo fondotinta? Non sapevo nemmeno fossi al corrente dell'esistenza dei trucchi, visto che l'unica cosa che usi è il mascara» Aveva notati ogni singolo cambiamento in me. «Su, ti porto a mangiare in un posto davvero buono, così ti riprendi un pochino. Sembri uno zombie.»

«Wow, Noemi! Quanti complimenti oggi», ironizzai.

«Su, su, dai ascolto alla tua migliore amica che tiene al tuo bene», mi fece segno di seguirla. Alla fine mi arresi, e mi ritrovai in un locale in cui facevano sushi. In effetti, erano giorni che per la tristezza non riuscivo a mandar giù niente: mi era passato l'appetito, persino per i pasticcini alla crema di Ale. Quando mercoledì andai a casa di Ale e non provai nulla nel vedere quei pasticcini, cominciai a preoccuparmi per me stessa. Riuscimmo a trovare posto e ordinammo ciò di cui avevamo più voglia.

«Ho delle cose da raccontarti», cominciò la mia migliore amica.

«Dimmi tutto.»

«L'altro giorno che ho parlato con Ale...»

«Oddio, gli hai confessato che ti piace?» domandai sconvolta.

«No, no, ci mancherebbe altro, lo sai che in questi casi tendo a essere poco diretta. Però gli ho fatto delle domande a trabocchetto, giusto per capire un paio di cose.»

«Tipo?» domandai.

«Diciamo che gli ho chiesto se ha trovato qualche ragazza interessante in quest'ultimo periodo, e poi gli ho fatto una domanda un po' più specifica...» disse. «...Gli ho chiesto se, nel caso, potrebbe mai riuscire a stare con una delle sue due migliori amiche.»

Non potevo crederci. Noemi era stata in grado di fargli una domanda che in molti avrebbero frainteso. Ale avrebbe potuto insospettirsi e chiedersi come mai a Noemi interessasse sapere una cosa del genere. E magari avrebbe pensato che io o lei provassimo qualcosa per lui.

«E lui?»

«Lui ha detto di no. Nonostante provi affetto nei nostri confronti, non avrebbe mai il coraggio di rovinare un'amicizia così importante per una storia d'amore. Sai cosa pensa lui al riguardo... L'amicizia prima di tutto», mi raccontò. «Quindi per me non c'è nessuna possibilità, ma è meglio così. La penso come lui, quindi aspetto solo che questa cotta passeggera sfumi in fretta.»

«Come ti senti? Nel senso, come l'hai presa?»

«Molto bene. Ale ha ragione, nel caso in cui le cose non funzionassero tra di noi sarebbe un disastro. Il nostro trio si spezzerebbe e ognuno andrebbe per la propria strada, e non sono pronta a perdere né lui né te», confessò.

«Mi dispiace, Noemi. Sono sicura che la tua anima gemella è in questa città, da qualche parte, ti sta solo aspettando», la consolai. Passammo il pomeriggio a chiacchierare e le raccontai cosa era successo in quelle due settimane in cui io ero stata un po' assente. Le parlai di quello che pensavo di Ethan e di tante altre cose. Quando ci salutammo, sentii la necessità di tornare a casa e di stendermi a letto. Avevo mangiato molto e a malapena riuscivo a camminare.

Ricevetti un messaggio da mia madre:

Da Mamma: Oggi sono finalmente libera! Sono a casa tua, mi ha aperto Gracia. Ti aspetto

Per settimane avevo scongiurato mia madre di vederci, ma a causa del lavoro non aveva mai avuto il tempo né di fare una chiamata al telefono che durasse più di un minuto né di incontrarci. Mi affrettai ad arrivare a casa con il cuore in gola, mi avrebbe fatto bene confidarmi con lei. Camminai velocemente e in poco tempo arrivai davanti al mio appartamento. Presi le chiavi e con mano tremante riuscii a centrare la serratura. Quando però entrai, notai che c'era silenzio assoluto e che Gracia non era in casa. Quando feci il giro dell'appartamento, capii che davvero non c'era nessuno. Qualcosa non stava andando per il verso giusto. Stavo per prendere il telefono e chiamare mia madre, ma quando misi piede in camera, notai che sul letto c'era un foglio.

Sopra c'era scritto: Se non senti più la voce la voce delle stelle, ricordati di me. Ethan.

Girai il foglio e c'era un'altra scritta: Ho bisogno di parlarti. Ti aspetto giù.

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