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#Amicizia

«Le tortillas dovrebbero far parte del patrimonio dell'UNESCO.» esclamo infilando una mano nel pacchetto colmo di deliziose patatine. Mi butto sul divano con una mossa tutt'altro che aggraziata, finendo per far cadere in terra il telecomando della televisione.

«No!»sospiro, la bocca piena di tortillas. Forse questa è la punizione per averne mangiate troppe. Allungo il piede per arrivarci, ma è troppo lontano. Mi stiro tutti i muscoli fino a quando non sfioro l'apparecchio con il calzino, e tento di tirarlo verso di me.

«Si può sapere che stai facendo?»domanda mia madre entrando in salotto. Lancia uno sguardo stranito alla fasciatura sul mio ginocchio, per poi alzare le sopracciglia appena nota la mia espressione concentrata. «Oh, capisco.»

«Mamma non mi distrarre, sto cercando di prendere questo aggeggio malefico.»biascico. Ad un tratto però scivolo e mi ritrovo in terra, tutte le tortillas sparse sul pavimento. Reprimo un urlo, osservando la nona meraviglia del mondo infrangersi sul pavimento. Ormai credo di avere una laurea in sfigaggine cronica. Potrei sparire dalla circolazione come gli agenti segreti e creare una nuova città dove tutti gli sfigati potrebbero essere semplicemente loro stessi, cioè sfigati. Penso che la chiamerò Sfigaland. Sì, direi che è un nome perfetto.

«Aia! Il mio culo.»gemo affranta massaggiandomi le natiche.

«Culo! Culo!»gracchia Mister Becco sbattendo le ali dentro la sua gabbia.

«Sta' zitto, stupido uccellaccio.»sibilo tirandomi su lentamente.

«Sta' zitto!»risponde agitandosi sul trespolo. «Zitto!»

Alzo gli occhi al cielo, mentre mia madre si siede regalandomi un'occhiata divertita. «Ti sei fatta azzerare da un telecomando e da un pappagallo. Non finisci mai di stupirmi.»commenta.

«Mamma, non è colpa mia se il karma non mi vuole vedere.»spiego accondiscendente raccogliendo le tortillas sul pavimento. «Quindi, non ti beffeggiare di me, grazie.»

Mi giro, pronta per vederla scompisciarsi dalle risate, ma ha già il telefono in mano e ha occhi solo per quello. Alza un dito, in segno di difesa. «Aspetta un secondo.»dice assorta. Gira lo schermo verso di me, così da farmi vedere cosa stesse osservando. «Che te ne pare?»

È la foto di un uomo sulla quarantina, con i capelli corti e gli occhiali da intellettuale. Adesso sono io, quella che sta trattenendo le risate. «Vorresti veramente uscire con questo tizio?»domando.

«Beh, sì.»

La squadro, perplessa. «Lo sai che non è il tuo tipo, vero?»

Alza gli occhi al cielo. «Come fai a saperlo? È solo una foto, non la sua biografia.»

Sospiro, distogliendo lo sguardo. Mia madre è una donna molto forte, mi ha dovuto crescere da sola, dopo essere rimasta in cinta di me, a sedici anni. Mi racconta sempre di essere svenuta quando aveva scoperto di aspettare un bambino, non era nei suoi piani. In realtà c'era, ma avrebbe preferito che le fosse accaduto un po' più tardi. Abbiamo solo sedici anni di differenza.

«D'accordo.»dico guardandola. «Ma se non fa per te te ne disfai subito, va bene?»

Strabuzza gli occhi verdi come i miei, e la sua espressione diventa così buffa che mi ricorda il bradipo del cartone Zootropolis. «Cosa intendi dire con “te ne disfai”?»

Fingo un sorriso. «Oh, non so. Tipo riempirlo di carta igienica e gettarlo in un fiume. Oppure potresti anche ucciderlo con una mossa di Kung fu e seppellirlo sotto un albero.»la guardo estasiata. «Altrimenti posso lasciarlo da solo in casa con Mister Becco e diventerà pazzo, suicidandosi.»concludo, allargando il sorriso.

«Ho sempre pensato che avessi dei problemi mentali. Ma adesso ne ho la certezza.»bisbiglia a bassa voce accendendo la televisione.

«Ho preso dalla migliore.»ribatto spaparanzandomi a testa in giù sul divano. Non faccio neanche in tempo a tirare su le gambe che qualcuno suona alla porta, facendomi sbuffare. «Ecco, è arrivata la polizia. Te l'avevo detto di nascondere meglio la droga, mamma.»

La sento sbuffare e alzarsi. «Divertente.»

Ridacchio cambiando canale senza neanche guardare i programmi, fa sempre un certo effetto guardare le cose sotto un altro punto di vista. Ad un tratto sento uno scalpiccio nell'ingresso, ma il divano si ostina a tenermi salda sopra di lui, perciò non riesco a vedere.

«Kit Kat! Cosa fai spaparanzata sul divano, hai novant'anni percaso?»esordisce Andrew entrando in salotto. Vedo i suoi capelli biondi sempre pettinati, i suoi occhi neri che mi fissano, le mani sui fianchi. Alzo una mano, fingendomi addolorata. «Mi dispiace Andy, ma mi è morto il criceto e sto ancora superando il lutto. Sai com'è, si supera così la morte di una persona cara, giusto?»ribatto allargando le braccia.

«Ma tu non hai un criceto.»dice un'altra voce. Allungo un po' lo sguardo, e noto Gabriel accanto a mia madre che mi osserva divertito. «E poi, se ti morisse Mister Becco, non credo faresti la depressa.»

«Gne gne gne.»borbotto, per poi girarmi e alzarmi vincendo il giramento di testa. «Mi spiegate perché siete i miei migliori amici?»domando loro, provocando una risata a mia madre che sparisce in cucina, forse a sistemare il caos  che ha lasciato prima.

Andy fa spallucce, alzando di poco la maglietta nera. È la sua preferita, sul petto c'è la scritta “Se sono gay sono affari miei”, il che spiega tutto. Aveva quello stesso straccio il primo giorno che lo incontrai. Eravamo entrambi al primo anno, entrambi impacciati con l'apparecchio e l'acne. Ringraziando il cielo non li abbiamo più, adesso.

Gabriel invece è tutta un'altra storia. Lo incontrai semplicemente perché ad una festa gli avevo letteralmente vomitato sulle scarpe, per poi raccontargli la storia della mia vita e dirgli infine che ero un marziano fatto di cioccolata.

«Un marziano fatto di cioccolata?»mi chiese guardandomi allibito. «Sei una Nutella quindi?»

«No.»gli risposi sorridente.«Sono un Kit Kat.»

Da quella notte diventammo inseparabili, e insieme a Andy facciamo sempre tripletta fissa. Siamo solo noi, e non posso non esserne felice. Mi rendono le giornate più belle, con i loro sorrisi e le loro battute. Anche se in realtà qui, la regina delle battute, sono io.

«Siamo tuoi amici perché dobbiamo fare in modo che non ti cacci nei guai come fai di solito.»dice Andy lanciando un'occhiata complice a Gab. «E poi, guardaci.»si indica. «Sembriamo dèi greci. Come puoi resistere al nostro fascino?»

Alzo gli occhi al cielo divertita, e do un pugno sulla spalla ad entrambi. Ovviamente non li smuovo neanche di un millimetro. Ho sempre pensato che le loro madri li annaffino prima di uscire, sono troppo alti. Estremamente alti, per la mia altezza.

«Siete pronti per la partita di domani?»domando ad entrambi sorridente. Giocano nella squadra di basket della scuola, e dato che non siamo contenti, diciamo pure che sono i due migliori della squadra.

«Certo che siamo pronti.»dice Gab grattandosi i ricci neri. «È la prima partita della stagione Kit Kat, dobbiamo vincere almeno la prima fase del campionato.»

«E intanto.»s'intromette Andy. «Abbiamo in mente un modo fantastico per passare questa serata al meglio.»sorride strabuzzando gli occhi.

Io però non sono tanto sicura: quando il mio amico biondo ha un'idea, non è mai un'idea buona.




Buonanotte😇❤

 

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