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#Dolore

Mi affloscio sul sedile della macchina, senza forze. «Mamma.»farfuglio frustrata. «Guarda sto per perdere i sensi.»e fingo di svenire lasciando cadere le mani penzoloni.

Mia madre sbuffa e picchietta le mani sul volante. «Guarda che alla casa-famiglia ti ci porto anche se hai un attacco epilettico.»

«Peccato.»borbotto sarcastica. «Perchè era proprio quello che avevo pensato di fare.»

Mi lancia un'occhiata ammonitrice e riporta l'attenzione sulla strada. «Chissà da chi hai preso questo sarcasmo terribile.»

Scuoto la testa divertita e osservo le case sfrecciare fuori dal finestrino. Passiamo la zona dei ricchi dove enormi villette si stagliano ai lati della strada, e quando riconosco la reggia di Avril stringo le labbra.

Dopo che Edward mi ha riaccompagnata gli ho mandato un messaggio, a Gab, ma non mi ha risposto. Sono stata un'ora intera a leggere quel “Sono tornata a casa, mi ha accompagnata il fratello di Marta, tutto ok”, come se fosse potuta apparire una risposta dal nulla, ma non è arrivato niente. Evidentemente aveva da fare con lei.

Ma poi perché mi innervosisco così tanto? È il mio migliore amico, non mi sono mai fatta problemi di questo tipo. Forse perché non ce ne sono mai stati problemi di questo tipo.

Ero rimasta ad osservarlo da lontano crogiolandomi nella sicurezza che non guardasse oltre me e Andy, ma evidentemente mi sbagliavo. D'altronde, i ragazzi sono così per la maggior parte, giusto?

«Siamo arrivate Katny.»mi guarda stranita mamma. «Non scendi?»

Mi riscuoto dai soliti pensieri strizzabudella e annuisco. «Sì, sì.»rispondo scendendo dalla macchina. «Ci vediamo dopo!»la saluto e chiudo la portiera.

Appena l'auto di mamma sparisce oltre la strada mi volto e osservo la struttura davanti a me. È una grande casata con finestre arrugginite e muri di mattoni rossi che convergono verso un grande portone in legno su cui è incisa la scritta “Casa-famiglia Roden.”

Oltrepasso il cancelletto trasandato a disagio e suono il campanello scassato che penzola in modo inquietante dalla muratura.

Ad aprirmi è una donna di mezz'età con una tuta da imbianchino e gli occhiali da vista che mi squadra attenta, ma dopo un attimo si passa una mano grassoccia tra i capelli arruffati e mi porge la mano sorridente. «Tu devi essere Katniss, giusto?»

Annuisco e mi stringo nelle spalle. «In carne ed ossa.»

Ride di gusto tenendosi la pancia, e mi lascia entrare dandomi una pacca sulla spalla che mi fa barcollare. «Sei simpatica, ragazza.»

Allargo le braccia non sapendo cosa rispondere e giro su me stessa prestando attenzione alla grande sala vuota in cui siamo. Sembra il salotto di una casa normale, solo molto più grande e con i mobili vecchi e corrosi dalle termiti. Deglutisco cercando di affievolire il disagio, e lancio un'occhiata di sbieco alla donna notando una piccola cicatrice sul collo. «Cosa devo fare?»

«Oh!»strabuzza gli occhi come se si fosse dimenticata della mia presenza. «Già si, ehm...»si passa una mano tra i capelli cespugliosi. «...Beh, è probabile che non me lo ricordi.»ammette sorridente.

«Raya, quante volte ti ho detto di non aprire agli sconosciuti?»domanda innervosita una voce che sbuca da un corridoio. Sobbalzo e adocchio un ragazzo, forse un po' più grande di me, che mi osserva curioso per poi sbarrare gli occhi e avvicinarsi. «Oddio, scusami.»si sistema il cardigan celestino in evidente imbarazzo.«Non mi ero accorto che fossi tu.»

Alzo le sopracciglia stranita. «Non ti preoccupare.»rispondo sorpresa dal suo aspetto: ha un taglio impeccabile che mi ricorda per un momento Edward. Scuoto la testa, non devo pensare a quel macaco ciuffo di titanio che per giunta mi ha salvata dalle grinfie di Avril. Basta, Katniss, contegno.

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