XXV

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Claudio

Apro lentamente gli occhi a causa del sole che filtra dalla tapparella mezza abbassata provocandomi fastidio, quando mi rendo conto che il mio corpo è piacevolmente avvolto dal calore di quello di Mario e la sua testa, poggiata sulla mia spalla, mi permette di respirare a fondo il dolce profumo dei suoi capelli.

Resto qualche minuto ad osservarlo mentre dorme, e mi rendo conto di quanto io ami perdermi nel farlo.
Penso a questi ultimi tempi, a quante cose belle mi siano accadute, ed inizio da quella più importante: averlo conosciuto.

Lo vedo un po' spento in questi giorni, distante, arrendevole.

È il solito Mario, ma con una luce diversa negli occhi, una luce fioca che ogni tanto lo porta a perdersi nei suoi pensieri, a rabbuiarsi.

Non so cosa gli frulli per la testa o forse si.
Forse è proprio per questo che scegliamo di non parlarne, perché ci fa paura.

Non so quando succederà, perché lui non mi ha mai comunicato una data precisa, e a volte penso che, forse, non la sappia nemmeno lui.

Da quando lo conosco vivo con la costante paura di vederlo scivolare fra le mie mani, di svegliarmi e non trovarlo più nel mio letto, che ormai è diventato anche un po' il suo.

Perché infondo Mario è così, se si mette in testa di fare la guerra da solo, la combatte anche se sa già che finirà con il fare del male a se stesso.

Avere la consapevolezza di ciò che succederà e allo stesso tempo sapere di non poter fare nulla per evitarlo, mi fa morire.

Una lacrima mi solca il mio viso e quasi mi sento stupido se penso a tutti i ragazzi che negli anni ho incontrato, ma che non mi hanno mai fatto battere il cuore così.

Mario infondo è stato il mio così tanto in così poco.

Mentre mi accingo ad asciugarla sento il suo corpo gracile muoversi e dopo pochi secondi mi ritrovo con quei due occhioni neri puntati nei miei.

"Stavi piangendo?" ha ancora la voce impastata dal sonno.

Scuoto la testa e provo a sfuggire al suo sguardo, ma ormai mi conosce troppo bene.

Si tira su di scatto e si fionda sulla mia bocca per baciarmi con la sua solita dolcezza, accarezza le mie labbra e poi restiamo abbracciati, cuore contro cuore, in silenzio.

Che poi io non mi rassegno, penso sempre che forse lo troveremo un modo per andare avanti insieme, ma spesso ci sono anche quei momenti in cui credo che forse saremo costretti a farcene una ragione e impareremo a vivere lontani.

Arriverà forse il momento in cui dovremo imparare di nuovo a bastarci da soli senza più avere la certezza di poterci appoggiare l'uno all'altro.

Non sapere se avremo il nostro lieto fine e vivere su questa montagna russa mi fa impazzire.
All'inizio mi piaceva, ma poi le salite sono diventate ripide, le discese incessanti, e la morsa allo stomaco ha iniziato a farsi sentire sempre più forte.

"Ho bisogno di te nella mia vita.." ci provo di nuovo, non mi importa risultare patetico o disperato.
Voglio provarci fino alla fine, e voglio rischiare di spezzarmi il cuore, perché, per lui, ne vale la pena.

Alza la testa dalla mia spalla, rimane seduto sulle mie gambe, e prende il mio viso fra le sue mani.

Mi costringe a guardarlo negli occhi che in questo momento sono scuri e impenetrabili come la notte più buia.

Iniziamo a piangere come due adolescenti che si incontrano per caso, durante una vacanza e fanno la cazzata di volersi ed aversi, pur consapevoli di perdersi.

"Possiamo provarci" annuisce forse perché gli faccio un po' pena, e con la testa si nasconde nell'incavo del mio collo.

"Un modo lo troveremo, ne sono sicuro" lo dico più per convincere me stesso che lui.

Restiamo un po' così, abbracciati a dedicarci quelle carezze che resteranno impresse sulla pelle per sempre.

Mi torna in mente quell' inutile poesia che mi costrinsero a studiare a scuola, e penso che forse non sono così stupidi quei poeti innamorati.

Forse non sono così patetici, o forse sono io che, dopo aver conosciuto l'amore, sono divento patetico esattamente come loro.

«Come gli uomini virtuosi se ne vanno quieti ,
e sussurrano alle loro anime di andare,
mentre alcuni dei loro tristi amici dicono
"il respiro se ne va adesso",
ed altri dicono di no,

così sciogliamoci senza far rumore,
senza fiumi di lacrime,
ne' tempestosi terremoti di sospiri,

sarebbe una profanazione delle nostre gioie
dire che il nostro amore è mondano.

I movimenti della terra
portano dolori e paure,
gli uomini ne riconoscono l'essenza
ed il significato,
ma la trepidazione delle sfere,
anche se di gran lunga più grande,
è innocente.

L'amore degli ottusi amanti sublunari
- la cui anima è senso - non può ammettere
l'assenza, perché essa rimuove
quelle cose che l'hanno generata.

Ma a noi con un amore, così raffinato,
che noi stessi non sappiamo cosa sia,
vicendevolmente sicuri della mente,
importa meno di occhi, labbra e mani che mancano.

Le nostre due anime perciò, che sono una,
anche se io devo andare non soffrono in verità
una separazione, ma un'espansione,
come oro battuto che si allarga aereo.

Se devono essere due, sono due così
come le aste gemelle del compasso sono due,
la tua anima il piede fisso, non mostra
di muoversi, ma lo fa, se l'altra lo fa.

Ed anche se essa sta al centro,
quando l'altra gira lontano,
essa si piega, e si protende verso l'altra,
e diventa eretta, quando ritorna a casa.

Così saremo tu ed io, che devo
come l'altro piede, correre obliquamente;
la tua fermezza rende il mio cerchio perfetto,
e mi fa finire, dove io ho avuto inizio.»

John Donne


*testo tradotto

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