Capitolo X - Ostaggio

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Pondhouse
Sinkhole Island
Gale World

Infinite notti passate nel nido, nella casa dei suoi stessi nemici, sotto copertura, osservando in silenzio. Nolan non aveva potuto fare altro che affrontare le proprie paure, guardarle in faccia e vincerle, diventando forte, e poi abile, e sempre più astuto, scaltro, attento.

Ma tutto ciò aveva avuto un prezzo. Era sufficiente osservarlo: la pelle diafana coperta di piccoli tagli, il collo tumefatto, il corpo sfregiato da cicatrici orribili, alcune quasi rimarginate, altre più recenti. Althea le osservava una ad una, tentando di immaginare il dolore, la sofferenza che raccontavano. Avrebbe desiderato imbrigliare quella sofferenza, così da alleviare il peso gravante sulle fragili spalle di Nolan, ormai stanche di sopportarlo. Non ci era riuscita, perché non era in grado di comprenderlo, ed era rimasta accanto al suo letto fino a che, esausta, si era addormentata.

Successe in un attimo, ella inizialmente non si svegliò nemmeno.
Nolan spalancò gli occhi di colpo, sobbalzò, cominciando a liberarsi da tutti quei tubi, dimenandosi, il respiro affannoso intrappolato nella mascherina. Si strappò quest'ultima dal viso e si trascinò disperatamente verso la sedia su cui dormiva Althea. Le gambe indolenzite non rispondevano ai comandi, il respiro era ancora irregolare, spezzato.
Strinse i denti e allungò il braccio, dando qualche pacca sul ginocchio della ragazzina.

Althea aprì piano gli occhi blu oceano, che, appena videro la scena, si riempirono di incredulità e apprensione.

<<Nolan sei impazzito? Devi riposare!>> esclamò preoccupata, cercando di convincerlo a tranquillizzarsi.
Era piegato su di lei, le gambe ancora intrappolate tra le coperte.
<<Devo...devo avvisarli>> farfugliò con voce roca. <<Aiutami ad alzarmi>>.
<<Non puoi alzarti, sei ancora debole! Ti prego ascoltami per una volta!>> esclamò Althea.
La sua espressione lo bloccò. Si paralizzò, una mano ben salda sullo schienale della sedia, l'altra ancora posata sul ginocchio di lei.
I grandi occhi color acqua marina sprizzavano energia e forza: non avevano mai smesso di farlo. Brillavano come perle di un fiume, come biglie di vetro. Quelle iridi, caleidoscopi di sfumature verdi-azzurre, avrebbero potuto affascinare chiunque. Era impossibile riuscire a capire quali emozioni provasse. Nessuno ne era in grado. Solo Althea, per una frazione di secondo, vi scorse affetto. Pensò che si trattasse della sua immaginazione.

Fu una delle poche in cui sentì che a Nolan importava qualcosa di lei.

***

<<Per quanto tempo starai via?>> domandò Althea, dondolando tristemente i piedi.
Avevano appena dodici anni, ma si conoscevano sin da quando ne avevano compiuti cinque.
<<Non saprei. Mamma mi ha detto di non avere paura, che ci saranno altri soldati insieme a me, e mi terranno d'occhio mentre sarò dentro. Tornerò, Thea, e ci addestreremo insieme a tutti gli altri. Presto>> rispose Nolan con voce seria, osservando il crepuscolo aureo al di là della quercia.
<<Presto...>> mormorò la ragazzina, sconsolata.

Entrambi sbattevano con impazienza i talloni l'uno contro l'altro, le gambe penzoloni nel vuoto, e respiravano a pieni polmoni quel vento sempre fresco, che spirava facendo fischiare le vecchie tegole consumate della Casa.

<<Posso dirti un segreto?>> mormorò d'un tratto Nolan, voltando timidamente il capo riccioluto.
<<Sempre>> affermò con sicurezza Althea.
Un passerotto emise un rumore soffocato, e si udì un frullio di ali tra le foglie di un albero.
<<Ho paura. Sono terrorizzato>>.

Ella gli rivolse uno sguardo comprensivo, ma lui non si voltò neanche. Teneva gli occhi acquosi fissi davanti a sé. Althea allungò allora una piccola mano affusolata, e la posò su quella tremante dell'amico per cercare di rassicurarlo. Sapeva quanto fosse orgoglioso, e quanto gli riuscisse difficile confidare le proprie paure. Tuttavia la reazione non fu quella che si aspettava: Nolan ritrasse la mano, come infastidito, ma soprattutto imbarazzato, e si ammutolì.

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