Capitolo XXXI - Il nemico del mio nemico è mio amico

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Il silenzio non era mai stato un problema nella Rocca, ma quel giorno divenne quasi insopportabile, e sembrò aver divorato tutti i rumori del mondo, risucchiando ogni spiraglio di luce, ogni respiro, ogni effimera scintilla di vita. Non rimase che la morte, con il vuoto totale, il buio e il gelo.

Non rimase che una distesa di cadaveri bianchi, su un lago scarlatto.

Berenice si avvicinò a piedi nudi, senza far rumore. Sembrò il tragico finale di un film dell'orrore: una ragazzina pallida dai capelli ramati con un abito candido, come un piccolo angelo venuto a portare pace alle povere anime tormentate di persone segnate già da molto tempo da quel destino crudele.

Gli occhi bruni scintillarono sotto la calda luce delle fiaccole, gonfi di pianto. Non piangeva da moltissimo tempo e se ne rese conto solo in quel momento: pensò fosse per questo che le lacrime sembravano non finire mai.

Si accucciò di fronte all'esile corpo di Albert, inerme a terra. Un'altra vita sprecata inutilmente; Jezebel gli aveva spezzato il collo senza nemmeno dargli il tempo di reagire.
Berenice serrò dolcemente le palpebre del giovane con le dita tremanti.

L'allarme aveva smesso di suonare da qualche minuto, ormai. I cloni erano spariti come fantasmi incorporei dopo la fuga dei prigionieri: erano evaporati, si erano dissolti in un attimo, simili a semplici cumuli di fumo.

<<Non preoccuparti, figlia mia: avranno una degna sepoltura, nessuno escluso>>.
Berenice sentì una collera irrefrenabile risalire lungo tutto il suo corpo come una scarica elettrica.
<<L'hai fatto apposta, non è vero?>> sibilò a denti stretti, senza nemmeno voltarsi.
<<Fatto cosa, Berenice? Ricorda di non usare certi toni con me, sono pur sempre tuo padre>>.

Ella si alzò in piedi lentamente, inspirando quell'aria impura che le parve di colpo molto più calda e soffocante.

<<Avete ragione, padre, chiedo perdono>> disse, con pungente sarcasmo, eppure mantenendo una strana calma. <<Mi rivolgerò a voi con maggiore rispetto: quello che penso è che abbiate ucciso un povero ragazzo malato, nonché mio unico amico, per farmi un dispetto e mostrarmi quanto siete forte. Volevate minacciarmi e spaventarmi perché avevo osato disobbedirvi, ma ditemi se sbaglio>>.
<<Chiudi quella bocca, Berenice, o giuro che stavolta rimarrai chiusa in camera tua per sempre!>> ringhiò l'uomo, puntandole il dito contro e facendo scintillare i pomposi anelli.

Berenice sgranò gli occhi arrossati di fronte a quell'espressione spietata.
<<Come sempre. Mi negate la libertà senza capire che anche potendo uscire dalla mia camera non sarei veramente libera>> mormorò, sforzandosi di soffocare i singhiozzi.
<<Questo posto...>> incespicò, indicando le possenti pareti circostanti. <<Tutto questo è...è...ripugnante! È soffocante, è tremendo, è un incubo!!!>>
<<E perché te ne staresti lamentando soltanto ora?>> tuonò North, verde di rabbia.
<<Sai che l'ho sempre odiato!>> singhiozzò. <<Odiavo la mia camera, odiavo il cibo disgustoso, le medicine...odiavo i Laboratori! Tu sparivi per ore e poi pretendevi che credessi alla storia della cura rivoluzionaria! Mi hai illuso per anni, papà! Mi hai fatto credere che un giorno saremmo tutti guariti e avremmo avuto una vera vita! Invece le persone morivano una dopo l'altra e tu non facevi nulla! Continuavi ad escogitare vendette, imperterrito, a torturare bambini perché eri convinto di poter estrapolare i poteri dai loro corpi! Sei ossessionato da loro e me li hai fatti odiare a tal punto che me ne sono convinta!>>

Berenice lasciò sgorgare le lacrime, che bruciavano scottanti sulla pelle gelida, mentre un oggetto pesava nella tasca del suo abito. North socchiuse gli occhi di brace, il viso stravolto dall'ira.
<<Ma sai una cosa?>> continuò con voce rotta. <<Stavolta sarò io a farti odiare i miei sbagli>>.

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