Capitolo XIV - ...Per arrivare al giorno

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Phantoms Fortress,
Somewhere in the mountains,
Island of Hawks,
North Side, Gale World

Julian si svegliò lentamente, con gli occhi ancora gonfi e il corpo tutto intorpidito. Inizialmente percepì una sorta di vuoto dietro la schiena e nel cuore, come se gli avessero tolto una parte della sua anima. Non esitò ad allungare una mano con slancio, mentre già gli mancava il respiro e si sentiva svenire, ma fortunatamente non era cambiato nulla. Avvertì con immenso sollievo le soffici piume, calde e affettuose sotto il palmo della sua mano tremante. Sorrise, tentando di alzarsi, o perlomeno sistemarsi in una posizione migliore: era sdraiato a terra in maniera contorta e innaturale, la testa gli scoppiava, ed era come se gli arti rifiutassero di rispondere ai comandi.
Strinse i denti e riuscì pian piano a mettersi a sedere. Cominciò a guardarsi intorno con attenzione, cogliendo quanti più dettagli riusciva a individuare. Lasciò che le ali lo cullassero, e seguitò a carezzarle come fossero un cucciolo a quattro zampe da coccolare, mentre scrutava la cella in cui era stato rinchiuso. Con sua grande sorpresa, si rese conto che non era solo. Sussultò preoccupato nel vedere Althea rannicchiata in un angolo, con le gambe piegate sul petto e le palpebre rosee ancora chiuse. Sembrava una bambina, così piccola e sottile, con la divisa strappata che le stava grande, le guance sporche e arrossate, e i capelli color miele arruffati. Qualche ciuffo biondo era appiccicato alla sua fronte, imperlata di sudore, nonostante tutto intorno l'aria fosse tremendamente gelida, e il suo viso era contratto in una smorfia di dolore e sgomento.

La cella non era molto grande, le pareti laterali erano spesse, robuste, prive di qualsiasi apertura o piccolo buco, mentre quella frontale si apriva in una misera entrata a sbarre, chiusa da un lucchetto grande come le loro mani. Non c'erano altro che un paio di sgabelli scassati, e due materassi sudici. Niente cuscini o coperte, nemmeno un piccolo tavolo. Il pavimento era lercio, popolato dai più svariati e disgustosi insetti, il soffitto una ragnatela di crepe.

Julian per un attimo si perse a scrutare quelle crepe, che si diramavano come i rami di un albero, alcune profonde e irregolari, altre talmente sottili da essere quasi invisibili. Pensò che somigliavano un po' alla vita, perché era un insieme di strade diverse, e stava alle persone scegliere quale intraprendere, e pensò che quel soffitto era il ritratto perfetto di ognuno di loro: un insieme di crepe e ferite che ormai li avevano fatti a pezzi. Eppure erano ancora in piedi.

Si avvicinò gattonando all'amica, priva di sensi, e la scosse delicatamente, sperando non si risvegliasse in modo troppo brusco. Fortunatamente la ragazzina riprese conoscenza gradualmente, i muscoli ancora intirizziti, il corpo pesante come un macigno.

<<È l'effetto della magia, non preoccuparti, svanirà nel giro di qualche minuto...stai bene? Ti hanno fatto del male?>> le chiese apprensivo.
<<No...>> biascicò lei, strofinandosi il viso stanco. <<No, sto bene, Ju. Tu li hai visti? Erano Spettri Ululatori, non è così? Mi ero ripromessa di stare in guardia, ma sono crollata...ero esausta>>.
<<Non fa niente. È stato meglio così, credimi. In ogni caso, non avremmo potuto opporci. Mi ero appena svegliato quando mi hanno immobilizzato...gli altri devono essere qui da qualche parte. Spero solo che non ci siano feriti...o peggio>>.

Un paio di celle più a destra, Axel era intento ad armeggiare con l'enorme lucchetto arrugginito, l'espressione perennemente accigliata, concentrata.

<<Non ti arrendi mai?>> ridacchiò una voce vellutata.
Il prigioniero non faticò a riconoscerla, e cominciò a voltarsi a destra e a sinistra, posando la fronte sulle sbarre ruvide e ghiacciate, tentando di riuscire a scorgere il corridoio. La visuale non era delle migliori, e non riusciva a sporgersi oltre l'entrata della cella.
<<Almeno fatti vedere. Non mi piace parlare con qualcuno che non posso guardare negli occhi>> esclamò il ragazzino con veemenza.

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