Capitolo XI - Identità sfumate

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Pondhouse
Sinkhole Island
Gale World

Le camere da letto dei Peculiari si trovavano tutte al primo, al secondo e al terzo piano. Chi faceva parte dei 99 più forti e valorosi, invece, aveva diritto ad una camera situata nell'ala nord della casa, ovvero l'area più lussuosa e ambita. Mobili intagliati, letti a baldacchino, tappeti pregiati e magnificamente ornati, enormi specchi principeschi e, immancabili, gigantesche finestre luminose, affiancate da tende di seta che non venivano mai chiuse del tutto. I Peculiari erano stati convinti durante tutta la loro infanzia che essere uno dei 99 fosse un onore, un nobile privilegio di cui vantarsi.
La realtà era ben diversa, eppure in pochi ne erano a conoscenza. I potenti sapevano come essere persuasivi. Sapevano come nascondere la verità senza destare sospetti. Tutto ciò che accadeva all'interno delle mura di Pondhouse rimaneva bloccato laggiù. Bambini e giovani ragazzi erano trasformati in macchine da guerra, in corpi vuoti costretti a uccidere e sopprimere qualsiasi barlume di emozione. Se avessero osato dimostrare amore, pietà, affetto, altruismo, la loro anima non avrebbe fatto altro che tentare di liberarsi invano, rimanendo impigliata nel filo spinato e nelle recinzioni elettrificate che circondavano il territorio.

***

Kim osservava da lontano il gran trambusto che si era creato, raggomitolata sul gradino più alto di una delle maestose scalinate. Uomini e giovani armati correvano avanti e indietro con affanno.

<<Tra poco sarà pronta la cena. Partiranno stanotte>> disse una voce mesta e rilassata.
Christian si sedette silenziosamente accanto a lei e tirò un lungo sospiro.
<<Quando mi chiamano Aidan ho voglia di sbattere la testa contro il muro>>.
<<È davvero questo il problema più grande che ti affligge?>> rispose seccamente la ragazzina, arrossendo.
<<Oh, perdonami, tu hai scoperto da poco che tua nonna non era una santa come credevi, dev'essere traumatico. Indovina un po'? Io, invece, prima di arrivare qui ho constatato che mio padre era di nuovo ubriaco marcio in un locale, a divorare scommesse e soldi facili, mentre mia madre se ne stava rintanata in casa come un'allocca>> replicò, con quella sua voce soave, eppure capace di mirare all'anello debole della catena e farlo a pezzi.
Kim avvampò incontrando i suoi occhi, l'uno azzurro e gelido come ghiaccio, l'altro di un verde vibrante. Avrebbe voluto rispondere a tono, dimostrare di sapergli tenere testa, ma la lingua le si era arrotolata e non era capace di spiccicare parola. Ancora una volta aveva vinto lui; aveva preso la mira, sparato e centrato in pieno il bersaglio. Kim pensò a quanto avesse desiderato quel momento: lei e il ragazzo misterioso, arrivato nella sua classe in un giorno come tanti, seduti l'una accanto all'altro a parlare. Ma non era così che se lo era immaginato. Riuscì a stento a staccare gli occhi dai suoi, quasi fossero state due calamite, e provò soltanto rabbia e umiliazione.
<<Sei proprio uno stronzo>> riuscì a farfugliare, prima di sgattaiolare via con un nodo alla gola e il viso in fiamme.

<<Voglio tutti i soldati in fila fuori dai cancelli, possibilmente entro l'alba! Munitevi di qualsiasi tipo di arma...Oh! E che nessuno di voi bambocci cacasotto si azzardi ad infilare tra i sacchi a pelo qualche peluche! Siamo in guerra, donnicciole>> gridò acido il Generale Scott, il dito puntato verso un gruppo di ragazzini tremanti della fascia 13-16 anni.
I pesanti anfibi sbattevano contro il pavimento lucido, così stranamente elegante a contrasto con i passi bruschi e decisi dell'uomo. Non aveva più di quarant'anni: la barba ruvida e i capelli rossi gli davano un aspetto ancora più rude e ribelle.

Felix nel frattempo raggiunse gli altri, vestiti con la classica tuta mimetica adatta per sparire tra la vegetazione.
<<Sei sicura di voler venire? Nolan non è proprio d'accordo...>> domandò piano il ragazzino, cercando gli occhi blu di Althea.
<<Ti sembra che io abbia scelta? È mio dovere come per tutti voi, faccio parte dei 99 per un motivo. Inoltre, Leah era mia amica...Nolan deve restare qui e rimettersi in forze>> mormorò con voce decisa, ma leggermente incrinata.
<<Felix, io non permetterò che lui metta ancora piede in quel posto dimenticato da Dio, sono stata chiara?>> concluse, gli occhi fissi in quelli del ragazzo.
<<I Masters lo rimetteranno al lavoro appena sarà in piedi, e tu lo sai, Ali>> rispose lui freddamente.
La ragazzina strinse i denti e agguantò un lembo della camicia del suo interlocutore, sforzandosi di reprimere la rabbia che gli ribolliva dentro, sforzandosi di non perdere il controllo.
<<Fino a che vivrò, io ti giuro sulla mia vita che non gli accadrà più nulla>> sibilò, alzando involontariamente il tono di voce, scandendo chiaramente ogni singola lettera.

Lui non aprì bocca, e quando lo lasciò andare, rimase ad osservarla mentre abbracciava con trasporto Nolan, il quale si reggeva a fatica su un paio di stampelle. Felix sapeva bene quanto i due fossero legati, e sapeva anche che lei aveva una cotta per lui sin da quando si erano visti la prima volta, a cinque anni.
Nolan si era sempre comportato in modo piuttosto distaccato: non amava le coccole, i gesti di affetto, odiava le sorprese e le frasi dette a metà, preferiva il silenzio alle parole superflue, ed era la persona più diretta e sincera in quella casa. La sua schiettezza spudorata aveva spesso ferito Althea, ma, qualunque cosa accadesse, lei non era capace di stargli lontano, lo perdonava sempre.
Dopotutto, era fatto così: "Nolan si rifugia nella solitudine quando ha paura. Non posso permettere che ci faccia l'abitudine" diceva continuamente lei.

Julian teneva in una piccola tasca vicino al cuore una foto con la sorellina April, che non aveva accesso alla Casa, e gli mancava da morire.
Axel diede una pacca sulla spalla e un veloce abbraccio a Nolan, il suo unico amico.
Tutti si salutarono nascondendo la commozione e il terrore. Perché tutti loro, nonostante fossero stati addestrati ad affrontare il peggio, erano ancora esseri umani. La paura li avvolgeva in un abbraccio gelido e li lasciava senza fiato nei polmoni.

Nel profondo, ognuno di loro voleva essere innamorato, felice, triste, emozionato.
Ogni qualvolta in cui perdevano il controllo, in cui mostravano un lato debole, sensibile, sorridevano troppo spesso, o regalavano più di un abbraccio, venivano rimproverati. Non avevano il diritto di uscire senza permesso. Non avevano il diritto di chiamare la propria famiglia più di una volta a settimana, per più di un'ora. Se i Masters scoprivano due ragazzi legati da un sentimento profondo e non esclusivamente professionale, i colpevoli erano isolati per due settimane in cabine sotterranee.

Il sole splendeva raramente, troppo poco. Il vento soffiava sempre, imperterrito, a volte era forte, freddo, tagliente, altre volte più lieve e tiepido, come una carezza. Il vento era il loro compagno fedele.
Una leggenda metropolitana diceva che se tutti i Peculiari avessero perso il controllo, scatenando contemporaneamente i propri poteri, il vento si sarebbe trasformato in un inarrestabile tornado, che avrebbe spazzato via ogni cosa.
E allora il mare avrebbe devastato le quattro Isole, e Sinkhole le avrebbe inghiottite come un gigantesco gorgo, un buco nero che divora ogni cosa, compresa la luce, i ricordi. Non sarebbe rimasto nulla.

Per quanti divieti ci fossero, per quante belle cose venissero negate loro, tra i ragazzi e i bambini della Casa, era ancora presente un briciolo di umanità. Quell'umanità appartenente ai più piccoli, che non ti abbandona mai, neanche con la crescita.
Era sempre presente un filo di allegria, un raggio di luce, di speranza. E c'erano sempre i ragazzi che si nascondevano dietro gli alberi per baciarsi, o i bambini che si riunivano la notte nelle camere per raccontare storie di fantasmi. Perché, sotto lo stesso tetto, condividendo per anni la paura e le preoccupazioni, non potevano fare a meno di volersi bene, di innamorarsi, di instaurare legami inestricabili, di diventare sempre più forti e uniti.
Anche con tutta l'oscurità che li circondava, anche se i loro poteri erano in tutti i modi contenuti, e sfruttati solo in casi di minacce come i Vacanti, anche se avrebbero dovuto essere gusci vuoti senza anima, un'anima ce l'avevano eccome. Avevano ancora il coraggio, il cuore. Avevano ancora un po' di luce. Avevano ancora la vivacità e la libertà di essere giovani e imprudenti.

<<Nonna...perché l'isola centrale si chiama Inghiottitoio? Non me lo vuoi mai dire...ho fatto la brava oggi...>>.
<<Dormi, Kiki. Si è fatto tardi, caspita! Dormi, non pensarci più. Sogni d'oro, piccola mia>>.

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