Capitolo XII - Il risveglio

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Pondhouse
Sinkhole Island
Gale World

Era quasi notte, ormai, e il vento ululava facendo sbattere le imposte. Kim era sveglia, seduta sul divano del salotto, assieme ad Eglantine. Chris si era unito a loro pochi minuti più tardi.
Nessuno riusciva a dormire. Non facevano altro che pensare ai ragazzi che in quel preciso istante erano accampati presso il confine. All'alba, l'unico Peculiare rimasto capace di creare portali avrebbe permesso loro di teletrasportarsi direttamente nell'Isola dei Falchi.

Phantoms Fortress si ergeva in un punto non definito tra le gelide montagne del nord, ed era protetta da un campo di forza che la rendeva invisibile ad occhio nudo: non compariva nelle mappe, non era nominata nei libri di leggende e racconti, e nemmeno i migliori esploratori erano stati capaci di individuarla. Era una vera e propria rocca fantasma.
Il fatto che Leah fosse stata catturata costituiva un grosso problema, perché poteri come i suoi erano piuttosto rari e, in luoghi così estesi e inospitali, anche molto utili.

<<Staranno bene?>> mormorò Eglantine, torturandosi le dita.
<<Anche se così non fosse, cosa potremmo fare? Non abbiamo doti, saremmo solo d'intralcio>> rispose debolmente Kim, tenendo tra le mani una grossa tazza di cioccolata calda, e portandosela alle labbra a intervalli regolari, lo sguardo fisso nel vuoto. Si era imbambolata ad osservare Christian già un paio di volte, così si era costretta a scrutare il tappeto. Con lui non aveva più parlato dopo la loro discussione, e a dirla tutta, faticava a ricordare momenti in cui avevano chiacchierato serenamente.

Inoltre, percepiva una sorta di brivido, come una scossa gelida e tagliente che le pizzicava la schiena, il collo, fino ad arrivare alla testa. Era una pessima sensazione, uno sgradevole formicolio, e quasi cominciò a sentire freddo, nonostante la bevanda bollente che aveva preparato poco prima.
In una frazione di secondo, quel bizzarro malessere mutò in una fitta lancinante, un dolore indefinibile privo di un centro, che la fece piegare in due. La tazza le cadde dalle mani, rovesciandosi a terra con uno schianto secco e frantumandosi in una miriade di grosse schegge taglienti. I capelli corvini le finirono sul viso, mentre si raggomitolava gemendo di dolore, e fuori, nello stesso istante, il cielo venne squarciato da uno spaventoso fulmine, accompagnato dall'ululare insistente del vento. Il temporale esplose improvvisamente spezzando il precedente silenzio, mentre una serie di boati e cupi rimbombi si facevano sempre più vicini.

***

<<Christian! Ti avevo detto di non fumare queste schifezze, vuoi ascoltarmi una buona volta?>> urlò una voce autoritaria dalla cucina del piano terra. Il ragazzo gettò nervosamente gli auricolari sul letto disfatto e uscì dalla camera, sbattendo la porta con fare seccato.
Scese frettolosamente le scale, trovandosi di fronte gli occhi lampeggianti di sua madre.
<<È solo erba, non ammazza nessuno...E comunque non è mia, ma di Michael. Mi ha chiesto di tenerla perché temeva che i genitori lo scoprissero. A quanto pare sua madre non è l'unica che si diverte a perquisire lo zaino dei figli>> replicò acido, strappandole dalle mani lo zainetto sporco e malandato.
<<E tu sei così sciocco da fare quello che ti chiede? Potevi rifiutare, a quel ragazzo non farebbe male una bella punizione!>>
<<Cristo, mamma non lo conosci nemmeno>>
<<Mi è bastato vederlo, somiglia ad uno spacciatore! Se tuo padre fosse qui sarebbe d'accordo con me>>.
<<Certo, come no...>> farfugliò il ragazzino, storcendo la bocca in una smorfia di dolore e fastidio. <<E ora dov'è? In quel postaccio che puzza di vodka e fumo, a ridere e spassarsela, giocando d'azzardo con i suoi amici alcolisti. Come sempre. E tu continui a difenderlo>>.
La donna impallidì ma cercò di non scomporsi.
<<Non ti permettere, Christian! È pur sempre tuo padre: ti ha cresciuto e ti ha voluto bene. Se non ti fidi di noi allora sei tu quello che si comporta in modo ingiusto! Tutto quello che facciamo è per il tuo bene e la tua salute!>>
Christian sgranò gli occhi vitrei e trattenne una risata amara.
<<"Tutto quello che facciamo..."? Dimmi: papà che cosa fa esattamente per me? Quando ho bisogno di lui non c'è mai, e tu pendi dalle sue labbra>>.
<<Ora basta!>> sbottò la donna, pallida, con le lacrime agli occhi, gli arti improvvisamente tesi come corde di violino.
<<Oh, ci puoi scommettere! Basta! Basta rimanere fermo a guardarvi mentre andate a fondo trascinandomi con voi!>> esclamò Chris, voltandole le spalle e dirigendosi senza esitazioni verso una delle numerose porte che davano accesso al giardino.
Ignorò le urla di sua madre, e una volta fuori si mise a correre. Corse come non aveva mai fatto, e sentì l'aria fredda fischiargli prepotentemente nelle orecchie.
Non voleva mai più vedere quella schifosa villa, né tanto meno sua madre vestita come una nobildonna. Era tutto tremendamente finto, falso come l'oro degli stolti. Non si fidava più di nessuno e non aveva intenzione di tornare a quella vita, rischiando tutto soltanto perché suo padre potesse giocare con un gruzzoletto di soldi.

***

<<Christian? Christian mi senti? Ho bisogno di aiuto!>> urlava una voce disperata, che rimbombava nella testa del ragazzino, perso nei suoi pensieri, intontito e immobile di fronte a quei ricordi. Improvvisamente si risvegliò sbattendo le palpebre un paio di volte. Voleva scacciare quelle immagini, ma per quanto tentasse di liberarsi per tornare al presente, era incatenato al passato.

<<Aidan!!!>> gridò Eglantine, ormai esasperata.
Egli sobbalzò, angosciato. Sentì quella nebbia che avvolgeva la sua mente dissolversi come fumo. Aidan. Quel nome ora era una carezza d'acqua gelida in un pomeriggio estivo. Lo aveva scosso in qualche modo. Ma perché d'un tratto sentiva di appartenergli più di quanto sentisse di appartenere al suo vero nome?

Kim era piegata in due. Aveva la sensazione che gli occhi le stessero uscendo dalle orbite: non poté accorgersene, ma erano ricoperti da una sorta di patina bianca e opaca, che stava pian piano facendo sparire le sue iridi ambrate. Freddo. Sentiva il sangue che le si gelava nelle vene. E mille sguardi raccapriccianti puntati su di lei. Ibridi. Mani ossute. Dita che si allungavano mutando in rami secchi e nodosi, pungenti, sottili, scheletrici. Pelli e corpi orribilmente sfregiati. Occhi iniettati di sangue, sopracciglia folte si univano ad una sorta di peluria, come muschio, che ricopriva le tempie e il capo. Denti aguzzi, o addirittura inesistenti. Sguardi spiritici. Terrificanti e gigantesche corna demoniache, nere come petrolio, attorno alle quali si attorcigliavano viziosi ramoscelli senza vita. Corpi deformati, tutt'uno con arbusti spinosi e grigiastri che si univano alla pelle cadaverica rendendola squamosa e secca, quasi fosse corteccia.
Queste immagini comparivano e sparivano, bombardavano la sua mente. Una visione dopo l'altra. Le toglievano il respiro. Eglantine le girava intorno affannata, mentre le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi turchesi, bagnandole le guance arrossate. Non aveva idea di come comportarsi, e Christian aveva spostato la sua attenzione verso la porta.
<<Cosa facciamo? Chris, maledizione, aiutami! Oh, Kim...non so...non so che fare...non so come aiutarti... ma cosa sta succedendo?>> biascicava l'amica con voce rotta.
<<La porta>> farfugliò il ragazzo interrompendola, lo sguardo fisso oltre il corridoio, verso l'ampia entrata.
<<C-cosa? Che hai detto?>>
<<La porta...la porta è aperta! Eglantine, Kim, dobbiamo andarcene subito!>> ribatté Christian, trasalendo e alzandosi in piedi di colpo, gli occhi scaturenti di terrore.
<<Perché? Cosa hai visto?>> esclamò l'altra, ansimando e cercando di aiutare Kim ad alzarsi.
<<È questo il punto!>> replicò lui, per poi abbassare il tono di voce e spingere le due verso l'uscita più vicina. <<Non ho visto niente, ma la porta era spalancata. Sono qui. Non ho la minima idea di come siano riusciti ad oltrepassare barriere e campi di forza, ma sono entrati>>.

Kim riuscì ad aprir bocca per chiedere di andare a salvare Nolan, probabilmente già a letto nella sua camera, e non ci volle molto prima di udire alcuni lamenti, suoni striduli e versi cupi.
<<Che cos'è stato?>> mormorò Eglantine, con l'orrore e lo spavento impressi sul viso pallido.
<<Vacanti>> farfugliò l'amica, anch'ella bianca come un cencio, le labbra violacee e quelle perle ambrate ormai inghiottite dal sottile strato bianco e opaco, quasi viscido.
Si diressero verso le sale di addestramento sotterranee, le orecchie tese ad ascoltare ogni singolo rumore. Non potevano salire e rischiare di essere catturati o uccisi: avrebbero trovato una soluzione, ma al momento Nolan doveva cavarsela da solo.

<<Kim...tu li vedi?>> domandò Chris, appena si accucciarono in un angolo buio della grande sala, dove avevano visto per la prima volta la classe di Felix e Julian.
La ragazzina scosse la testa riccioluta, poi deglutì a fatica, sentendo le corde vocali attorcigliate con nodi inestricabili, incastrate e incollate tra loro.
<<Per alcuni secondi ho avuto delle visioni. Ma ora sono finite>> balbettò, rabbrividendo e stringendosi nelle spalle. <<Non credo di poterli vedere>>.
<<La dote non si è ancora manifestata, ma lo farà tra poco...>> mormorò Eglantine.
<<Se andranno oltre l'ala nord della casa saranno in pericolo anche tutti gli altri Peculiari>> aggiunse Christian, il battito accelerato.
<<I Vacanti non escono spesso dal loro nascondiglio. Se sono qui c'è una ragione>> intervenne Kim. <<E spero solo che gli altri, al confine, stiano bene. Se li hanno presi, forse hanno intenzione di catturare tutti noi assieme a loro>>.

Una frazione di secondo, un battito di ciglia. Un respiro gelido e le poche, piccole finestre si ghiacciarono dall'interno con un crepitio. Un lamento stridulo, disumano. Un urlo di terrore. Due occhi di brace, una mano mostruosa e ossuta.
<<Kim!!!>>

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