Capitolo 1

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LEIKA

Faccio le scale come se avessi tutto il tempo del mondo, finché non raggiungo il terzo piano del mio palazzo senza ascensore e vedo la mia confortante, quanto vecchia, porta del monolocale.

« Lela » sento un sussurro provenire dalle scale che portano al secondo piano, e roteo gli occhi, riconoscendo molto bene quella vocina che somiglia sempre più a quella di un uomo.

Mi fermo appena prima di entrare e torno sulle scale, osservo il viso pulito del ragazzino e stanca gli faccio un cenno con la testa come saluto.

« Domani possiamo pranzare insieme? I miei non ci sono, e Dom ha da fare »

Mi appoggio al corrimano e lo guardo alzando un sopracciglio cercando di intimidirlo.

Ma il ragazzino mi conosce fin troppo bene e si lascia andare ad una sana risata nonostante l'ora tarda.

« Va bene » gli rispondo poco dopo averlo rimproverato per il troppo rumore.

Soddisfatto mi ringrazia e torna nell'appartamento. Ed io finalmente posso entrare nel mio.

La porta si chiude e il silenzio mi avvolge come il buio della stanza. Vado subito ad aprire la porta finestra per far entrare l'aria fresca di Febbraio. Mi piace il freddo.

Do un'occhiata al piccolo balcone annesso, e noto che è tutto nella norma, nessuna bestia mi attende per essere schiacciata o scacciata.

I vantaggi di abitare al centro di una città senza verde e di non avere il pollice verde.

Penso distratta.

Torno dentro ed indosso qualcosa di più comodo senza prendermi la briga di lavarmi anche se ne avrei bisogno.

Le luci dei lampioni illuminano leggermente la parte della cucina, mentre un lampione che illumina ad intermittenza decide di dare un aspetto inquietante al mio bagno.

Mi preparo del tè caldo e scrivo i miei post-it giornalieri. Vago per la stanza attaccandoli prima sulla porta del bagno – lavati – poi sulla spazzatura – buttami prima che possa mangiarti – per sottolinearne l'urgenza e attacco l'ultimo sul mio computer – scrivimi

L'ultimo post-it lo attacco ogni sera invano. Si sa che non riuscirò mai a scrivere qualcosa di decente.

Coraggio Leika

Opto per l'auto-incoraggiamento quando decido di sedermi sul letto come un piccolo Buddha e inspirare profondamente prima di fissare la pagina bianca che mi tormenta ormai da mesi, anni forse.

Dopo dieci minuti sbuffo e apro google digitando – blocco dello scrittore – apro la seconda pagina dove comincio a leggere i soliti consigli noiosi, mi soffermo solo sull'ultima frase:
se nessuno di questi consigli vi è risultato utile nel tempo, prendete in considerazione l'idea che scrivere non faccia per voi

Grazie.

Infastidita spengo il pc. Di nuovo. Come ogni sera.

Mi stendo sul letto e osservo il soffitto che segna le undici passate grazie alla mia sveglia che riflette l'ora ovunque.

Mi rendo conto di non aver controllato il telefono per più di ventiquattro ore solo perché osservandolo noto venti messaggi whatsapp, uno normale e una chiamata persa.

Con tutta la pazienza che mi rimane, comincio a rispondere a tutti.

So già a chi appartengono la chiamata persa e il messaggio, così do loro la priorità rispondendo:

mi dispiace per aver saltato il nostro ultimo incontro ma mi hanno trattenuta fino a tardi a lavoro e questa mattina non ho fatto in tempo a passare, posso venire domani nel pomeriggio? Mi faccia sapere. Grazie.

Cerco di farmi perdonare dalla mia psicologa inviandole questo messaggio in segno di pace, per non essere andata all'incontro di oggi senza nemmeno avvisarla.

Poi apro whatsapp e mi sfugge un sorriso aprendo il gruppo "sei circondata" nome, modestamente, a cui ho pensato io il giorno in cui i miei genitori hanno capito che non avrei più abitato con loro e che quindi non potevano più tenermi sotto controllo. Dunque dopo pochi mesi scoprirono whatsapp e purtroppo per me, scoprirono l'esistenza dei gruppi.

Leggo la conversazione dove fingono di essere preoccupati perché non rispondo dall'altra sera, quando sanno benissimo che rispondo raramente e a monosillabi.

Rispondo con un semplice

Sono a casa

Pochi secondi e il telefono vibra di nuovo

Papà: non ci credo.

Mamma: già, vogliamo delle prove

Invio un selfie veloce con un sorriso plastico e stanco, sapendo già a che gioco stanno giocando, e di fatti due secondi dopo mi appaiono due foto. Una è la faccia di mamma in cucina, riconosco gli scaffali dietro. E l'altra è la facciona di papà che mi risponde già nel suo letto.

Mi sfugge un nuovo sorriso e per farli smettere sentenzio

Andrò a dormire, sperando di non fare incubi dopo ciò che sono stata costretta a vedere

Arrivano una serie di risate e poco dopo la loro buonanotte.

Mentre mi rigiro nel letto insonne, il telefono vibra ancora e questa volta irritata leggo l'ultimo messaggio.

Mamma: ricordati di chiudere la finestra

Lancio un ringhio rabbioso contro me stessa e mi alzo richiudendo la finestra, appiccicandoci sopra un post- it rosa fluo – quando mi apri, ricordati di chiudermi

Poi finalmente vado alla ricerca di morfeo.

La teoria dei due amoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora