Capitolo 34

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DOMINIC

Ormai il mio sonno ha preso orari differenti, appena torno dal Barry's, crollo sul materasso.

Per colpa di chi? Della mia vicina. E non parlo di certo della signora Martinez.

Da quando ho deciso, in maniera fin troppo affrettata ora che ci ripenso, di lasciare nel mio frigo la spesa di Leika, quest'ultima non perde occasione per disturbarmi.

Puntualmente da Domenica, bussa – che tradotto nel linguaggio di Leika significa: mi attacco al campanello finché non mi aprono – alla mia porta alle otto precise di mattina. Ovvero dopo la sua corsetta mattutina.

Se stessimo parlando di una persona normale ed educata, si potrebbe anche fare, ma il fatto che appena apro la porta, lei entri tutta sudata nell'appartamento, senza salutarmi, prende la spesa e se ne va di sopra...

Direi che non ci siamo.

Non perdo di certo l'occasione di squadrarla nella sua tutina, almeno questo. Di qualcosa dovrò pur sopravvivere.

Quindi per colpa sua, non posso più dormire al mattino. Ho ripreso orari umani. Ma solo questa mattina me ne sono accorto.

Mi sono svegliato, senza nessuna sveglia, intorno alle nove del mattino e mi sono diretto alla porta credendo di aver sentito il campanello. Convinto di trovarmi Leika davanti.

Ma a quanto pare non ha suonato nessuno, e io mi sono svegliato da solo.

Questa cosa mi ha fatto innervosire. Come può permettersi una persona qualunque di modificare la mia routine senza che io me ne accorga?

Passo tutta la mattina a rimuginare mentre mi alleno, mentre osservo dallo spioncino se Leika entra o esce di casa. Perché la sua spesa è ancora qua, deve per forza passare. Sennò che mangia?

E perché me ne preoccupo?

Smetto definitivamente di curare il pianerottolo deserto, e accendo la musica per distrarmi.

Le ore passano e neanche me ne accorgo talmente sono immerso nei pensieri. Finché non lo sento.

Il campanello. Un suono fastidioso, prolungato. Ma che finirà presto.

Guardo l'ora sul telefono e mi segna già il primo pomeriggio.

Non penserò mai più cosi tanto da dimenticarmi di mangiare.

Apro la porta con forza e con l'espressione corrucciata, finché non osservo meglio Leika.

Un po' affannata, accaldata, capelli spettinati come quando se li tocca troppo, volge lo sguardo verso terra prima di indirizzarli dentro al mio appartamento.

Non ha mai avuto il timore di guardarmi negli occhi per prendermi in giro o minacciarmi. Quindi perché iniziare ora?

Sciolgo l'espressione del mio viso che da infastidita diventa leggermente preoccupata, senza che lei se ne accorga.

« Entro? » chiede sottile ma decisa, schiarendosi la gola.

Non me l'ha mai chiesto. Entrava e basta.

Resto in silenzio e mi faccio da parte per farla entrare. Lei come sempre, si dirige subito al frigo, e dedica un paio di carezze a TJ che ogni volta che la vede, trotterella fino in cucina solo per salutarla.

« Dominic » sento il mio nome quando ancora è voltata verso il frigo e lo sta richiudendo. Io mi fermo sulla porta della cucina e mi appoggio allo stipite con le braccia incrociate.

« Non manca niente. Non ti ho mangiato niente » le dico subito, sulla difensiva.

Le scappa un sorriso che si spegne poco dopo.

Sembra strana tanto quanto lo è di Venerdì, solo meno acida e più spenta.

« Se sapessi qualcosa su di me, me lo diresti? » chiede ora voltandosi e perdendo tempo grattando l'etichetta dell'acqua che ha in mano.

« Non posso sapere nulla su di te. Non ricordi? Non sapevo nemmeno fossi la mia vicina ».

Lei assottiglia le labbra e con il dito indice mi da ragione.

« Se ti faccio una domanda rimarrai buona e cauta come sei ora? » azzardo.

« Forse » dice aggrottando le sopracciglia e lanciandomi un ghigno maligno che le viene male.

« È successo qualcosa? » le chiedo, sincero, anche un po' impaurito, ma cerchiamo di non farglielo sapere.

Lei pare rifletterci su per svariati secondi, e dopo una sua personale battaglia interiore riesce a negare con la testa, un po' stanca.

Poco credibile.

Non oso disturbarla perché sembra che abbia ricominciato a pensare, inizia a tirarsi quella povera frangetta che prima o poi le cadrà tutta se continua cosi. Anche TJ si accorge del suo disagio, perché sale sul tavolo in marmo e la guarda con la testolina inclinata. Attenta.

Mi faccio attento anche io, sto facendo il buon vicino no? Nulla di più. Mi preoccupo per lo stato mentale dei miei vicini. Mi sembra giusto.

Quante stronzate.

 Mi avvicino e solo in quel momento il suo sguardo si fa più vigile e mi guarda assottigliando lo sguardo sospettosa.

« Meglio che vada » dice annuendo.

Annuisco anche io ma nessuno si muove dalla propria posizione.

La teoria dei due amoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora