Cuore di pietra

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Gli venne un'illuminazione. Perché non andare con ordine e interrogarla su ogni cosa dall'inizio?

Si schiarì la voce e richiamò la sua attenzione.

«Akemi, ricordi di aver ucciso il dottor Ginke e il suo assistente?»

Akemi sussultò ed evitò nuovamente di rispondere, richiudendosi in uno dei suoi lunghi momenti riflessivi.

L'investigatore sospirò.

«Sai dirmi cos'è la prima cosa che ricordi da quando ti sei svegliata?»

«C'era una luce. E poi i suoi occhi.» replicò non appena l'altro finì di parlare.

«I suoi occhi?»

«Gli occhi di Maya. Lei mi stava guardando.» spiegò prima di tornare all'attività di poco prima, come se quel breve scambio di battute non ci fosse mai stato.

«Tutto questo ha dell'incredibile.» commentò fra sé il signor Yoshitoki.

Posò il mento fra le mani e ripensò alle risposte che aveva ricevuto. Finalmente capiva. Il sigillo che teneva sotto controllo la seconda persona che viveva nel suo corpo si era spezzato, e la colpa era sua. Era stato lui a dare l'ordine di rimuoverle l'orecchino una settimana prima. Non pensava che un simile gesto avrebbe liberato il mostro che dormiva da tempo dentro di lei.

«Akemi, vieni qui davanti a me.» le ordinò, determinato a guardarla negli occhi mentre le parlava.

La giovane distolse la sua attenzione dal traffico cittadino e si avvicinò con lunghi passi leggeri al divanetto di fronte al signor Yoshitoki.

«Ecco, prendi. Se non ricordo male ti piacciono molto questi confetti.»

Spinse il centrotavola verso di lei e aspettò impaziente la sua reazione.

Akemi si sedette e iniziò a masticare uno dei confetti che le erano stati offerti con gli occhi chiusi e le mani ancora attorno alla ciotola, pronte a prenderne altri.

Il sapore era quello di sempre. Cacao, zucchero e un pizzico di amaro.

Yoshitoki la guardò rapito. Mangiava senza alcun problema un cibo che nessun ghoul sarebbe mai riuscito a mettere in bocca senza lamentarsi del gusto insopportabile. Scosse la testa e si alzò in piedi, richiamando su di sé lo sguardo di Akemi.

«Darò l'ordine che ti sia messo un nuovo dispositivo inibitorio.»

Iniziò ad andarsene, ma Akemi lo fermò tirandolo per la manica della giacca.

«No. La prego. Quella cosa... Mi stava uccidendo. Non riuscivo più ad essere la stessa. La prego.»

L'investigatore batté più volte gli occhi, sconvolto dai sentimenti nascosti dietro alla sua voce. Era passato davvero molto tempo dall'ultima volta che l'aveva vista così, tanto che su era quasi dimenticato che Akemi fosse capace di provare emozioni. Era forse stato quel piccolo oggetto a renderla fredda e distaccata come la macchina che tutti conoscevano?

«Ho bisogno di tempo per rifletterci. Per il momento, vorrei che rimanessi in questa stanza fino al mio ritorno.»

«Sì.»

15:30:00.

In quelle poche ore di quiete, il signor Washu era rimasto nel suo ufficio a riflettere sulle possibili conseguenze delle sue decisioni riguardo ad Akemi.

Da un certo punto non poteva permettersi di perdere la ragazza un'altra volta. Una presenza come la sua all'interno della CCG avrebbe senz'altro fatto la differenza.

Dall'altra parte, però, il rischio che avrebbero corso se l'avessero lasciata libera di agire sarebbe stato altrettanto grande. Quanti agenti sarebbero morti se nel bel mezzo di una missione lei si fosse lasciata sottomettere dalla sua parte di ghoul?

Tutti, forse.

Diede uno sguardo all'orologio e poi si mise ad esaminare il rendimento delle varie divisioni nelle ultime due settimane. In seguito alla sua scomparsa c'era stato un evidente calo in quasi tutte le squadre, ma per ironia della sorte l'unico valore ad essere rimasto pressoché stabile era quello dei Quinx, guidati dal prima categoria Sasaki.

Interessante. Mi domando cosa succederebbe se affidassi Akemi ad un'altra squadra.

Iniziò a scorrere i dati relativi agli altri gruppi ma giunto a un certo punto si fermò e scacciò quel pensiero stupido. Ma cosa gli passava per la testa? Nessuno mai avrebbe voluto fra i piedi una mina ambulante come Akemi.

Afferrò la cornetta del telefono e digitò il numero dell'ufficio di Arima. Doveva saperne di più sulla ragazza e su quello che le era stato fatto in passato prima di procedere.

«Investigatore Arima, potrebbe raggiungermi nel mio ufficio? Ci sono un paio di domande che dovrei porle riguardo alla vice investigatrice Ren.»

Arima acconsentì.

Una volta terminata la rapida conversazione, il signor Arima allentò il nodo della cravatta che aveva scelto di indossare sopra ai vestiti puliti. Non appena si era svegliato aveva subito fatto una doccia e aveva gettato gli abiti sporchi di sangue. La gola gli faceva male e la testa gli girava, ma la consapevolezza di essere ancora vivo lo rendeva profondamente grato. Per qualche strana ragione Akemi – o ad essere precisi Maya – l'aveva rilasciato poco prima che soffocasse. Una parte di lei era ancora cosciente anche in mezzo a tutto quel caos.

I due si incontrarono pochi minuti dopo e sedettero l'uno di fronte all'altro, separati dalla sola scrivania in legno scuro.

«Allora, investigatore Arima. Mi dica tutto quello che sa su Akemi Ren. Anche il minimo dettaglio potrebbe essere di fondamentale importanza.»

«Fa parte della CCG da tre anni. In passato era una studentessa di legge all'università Kamii della Ventesima circoscrizione. È stata allevata dal Gufo, anche se non ha mai voluto rivelare dettagli in merito. Ha lavorato presso il bar Anteiku per qualche mese prima di diventare la famigerata cuore di pietra

Fece una pausa, rivedendola al loro primo incontro.

Era stata trascinata dentro al quartier generale in manette e le era stato messo un collare elettrico nel caso in cui avesse provato ad attaccare qualche agente. Anche allora gli era sembrata un angelo caduto dal cielo. Quei lunghi capelli bianchi, quegli occhi verdi intensi come i ciuffi d'erba appena nata. Era una creatura dalla bellezza statuaria.

«È stata catturata dal signor Mado durante una delle sue spedizioni alla Ventesima. Una volta portata alla nostra sede, decidemmo che una simile forza avrebbe potuto risultarci utile, e così mi fu affidato il compito di rieducarla ai fini di darle una nuova identità.
Insieme all'investigatore Mado ottenni l'approvazione da parte del consiglio e procedemmo a impiantarle alla base della nuca una macchina elettronica che registrasse i dati che avrebbe raccolto nelle sue missioni, collegata a un chip sostituibile situato sotto la mandibola.» spiegò il più dettagliatamente possibile. «Quando si svegliò dopo l'operazione non ricordava nulla, nemmeno il suo nome. Sapevamo che quella era l'occasione perfetta per iniziare a farle imparare nuovi dati e operazioni che le sarebbero stati utili per il ruolo che avrebbe assunto. Ci volle all'incirca un anno, ma riuscimmo senza problemi nel nostro intento. Avevamo ottenuto un enorme successo. Maya, il ghoul chiamato cuore di pietra, non esisteva più. O almeno, così pensavamo.»

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