Il segreto

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26 gennaio.
06:44:52.

Quella mattina il sole brillava timido fra le nuvole e la brezza del nord piegava i rami più sottili degli alberi.

Al quartier generale della CCG ogni cosa sembrava finalmente tornata alla normalità. Il morale degli investigatori era di nuovo alto in risposta alla promozione di Akemi a investigatrice di classe speciale e le voci su ciò che era accaduto quel giorno al dottor Ginke e al suo assistente erano state soppresse grazie alle dichiarazioni rilasciate dal capo Washu a riguardo.

Quando Akemi si svegliò, il suo primo pensiero fu quello di andare alla finestra e fermarsi a guardare il cielo. Si sedette ai piedi del letto e rimase li per qualche minuto ad ascoltare il cinguettio dei rondinini nel nido attaccato poco sopra i suoi balconi.

Avvertiva una forte sensazione di calore mista a un leggero tremore nelle mani. Era così strano. Pensava di aver dimenticato cosa fosse la nostalgia.

Si portò una mano al cuore e chiuse gli occhi, cercando di ricordare l'ultima volta che si era sentita in quel modo. Anche se non riusciva a individuare con precisione il contesto, probabilmente risaliva al tempo in cui era ancora parte della squadra del signor Mado.

Si ritrovò involontariamente a sorridere.

Era felice. Dopo tanto tempo riusciva a provare dei sentimenti che credeva di non possedere più.

Si toccò il collo ed estrasse da sotto la maglia la piccola collana con la gemma azzurrina. Un brivido le attraversò la spina dorsale. Rivide davanti a sé le immagini di quel Natale e inclinò la testa a lato. Quella era stata la prima volta che aveva festeggiato il Natale. Un evento che non avrebbe mai più scordato per i bei momenti trascorsi.

«Grazie, Haise.» sussurrò al pensiero di quella mattina.

Dopo aver controllato la nuova collezione di quinque che il signor Yoshitoki le aveva fatto portare la sera precedente si alzò e si vestì cercando di non fare troppo rumore.

Per l'occasione scelse una corta camicia bianca attillata, un paio di pantaloni neri molto eleganti e una lunga giacca dello stesso colore.

Una volta sistemata si guardò allo specchio, ancora indecisa sul paio di scarpe da indossare. I suoi occhi si soffermarono sulla cicatrice che le rigava il volto. Era lì da pochi giorni, eppure le sembrava di averla da sempre, come un segno del passaggio del tempo. La accarezzò con la punta delle dita. Non le provocava alcun dolore. Non proveniva da una ferita.

Aprì l'armadio e pescò all'interno un paio di ballerine basse che non aveva mai messo, forse perché troppo rigide. Si chinò e sistemò i fantasmini trasparenti in modo che corrispondessero con le cuciture e poi fece un'altra pausa. Quello era già il secondo giorno che aveva ripreso gli allenamenti, eppure le sembrava di essere ancora ferma da un secolo. Chissà se quella sensazione di confusione se ne sarebbe mai andata.

«Akemi.» si sentì chiamare all'improvviso.

Si voltò indietro. Sulla soglia della porta c'era Haise, con i capelli scompigliati e una larga maglietta grigia che gli copriva quasi del tutto i pantaloncini dello stesso colore. Aveva una mano sulla cornice e l'altra davanti alla bocca per coprire i continui sbadigli. I suoi occhi sembravano stanchi, così come il resto del suo volto.

«Buongiorno, Haise.» lo salutò con un inchino, senza domandargli per quale motivo fosse già sveglio a quell'ora.

Il giovane richiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò, arrestandosi a qualche passo da lei. Le sorrise debolmente.

«Sono felice che tu sia tornata.» le disse, la voce ancora graffiante per il sonno. «Perché ti alzi sempre così presto?» aggiunse.

Un ciuffo gli scivolò sulla punta del naso e lo costrinse a passarsi una mano fra i capelli. Akemi lo fissò con lo sguardo vuoto di sempre e poi seguì la fila di valigette affianco al comodino.

«Devo riprendere gli allenamenti.» rispose con un piccolo movimento a lato della testa. «L'ultima corsa è alle 6:57.»

Haise sbadigliò nuovamente e andò a posarsi contro una delle ante dell'armadio. In quelle settimane gli sembrava di aver dimenticato che Akemi seguiva solo un determinato programma di addestramento. Sospirò.

«Perché non prendi una pausa, di tanto in tanto?» chiese chiudendo per un attimo gli occhi e poi lanciandole un'occhiata speranzosa.

Akemi scosse il capo con freddezza.

«Sono gli ultimi ordini del signor Mado. È un mio dovere onorare il suo ricordo.»

Infilò l'impermeabile che giaceva sul comodino e raccolse con sé la prima quinque che le capitò sotto mano, iniziando ad andarsene.

Quando strinse le dita attorno alla maniglia Haise la afferrò per il bordo dell'impermeabile e la tirò verso di sé.

«Ti prego.»

Akemi rimase a osservarlo senza proferire parola, mentre la valigetta le cadde a terra. Haise nascose il volto fra i capelli e le sorrise si nuovo. Le sue braccia scivolarono attorno al suo corpo.

«Non andartene.» sussurrò e la strinse più forte.

In quell'istante il tempo sembrò rallentare fino a fermarsi. Haise posò una mano sull'incavo fra il collo e spalla di Akemi, ruotò leggermente la testa e si alzò sulle punte dei piedi, sporgendosi verso di lei. Le sue labbra incontrarono delicate quelle della ragazza per qualche secondo. In quell'istante non gli importava se Akemi lo avrebbe odiato per quello. Voleva solo dirle quanto importante era per lui.

Le sue mani si spostarono fra i suoi lunghi capelli bianchi e le diede un secondo e più breve bacio.

Akemi si allontanò lentamente, con gli occhi ancora spalancati e il volto pallido. Il cuore le batteva forte nel petto.

Inclinò la testa a lato come un pappagallo di fronte a qualcosa di nuovo. Qual era il nome di quell'emozione ancora sconosciuta?

«Mi dispiace, Akemi. Io dovevo farlo, prima o poi.» disse Haise.

I due restarono a fissarsi intensamente, poi Akemi sorrise. Un sorriso debole e destinato a sparire a breve ma pur sempre un sorriso. Haise cercò di rilassarsi e posò il mento sopra slla sua spalla. L'aveva vista sorridere. Non aveva fallito. Ce l'aveva fatta.

«Resta qui. Il signor Mado sarebbe felice se tu provassi a superare la sua perdita. Sarebbe davvero felice di vederti crescere e fare delle scelte di tua spontanea volontà. Io sarei felice.»

«Haise...»

Akemi diede una rapida occhiata all'orologio che aveva al polso. 6:52. Era destino che quel giorno perdesse gli allenamenti.

Moonshine | Tokyo Ghoul :reDove le storie prendono vita. Scoprilo ora