Maya (parte 4)

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Al di là della porta della sala operatoria si sentì il rumore di un oggetto metallico che cadeva a terra, seguito da esclamazioni di sorpresa.
Il tempo sembrò fermarsi completamente per qualche istante.

Il bip della macchina tornò a segnare battiti regolari a distanti fra loro una manciata di secondi e Maya aprì gli occhi, rivelando due iridi rosse immerse in un mare nero. Un sorrisetto malizioso le rigò il volto. Dopo tanto tempo sentiva di nuovo quell'incontenibile appetito.

Si guardò intorno. Carne umana. Due bellissimi esemplari di umani in salute, una risorsa di cibo inestimabile per chi non mangiava da tanto tempo come lei.

«Ciao.» li salutò con un rapido cenno della mano mentre il taglio che le avevano fatto si richiudeva.

La giovane donna si alzò a sedere e si passò la lingua fra le labbra con voracità. Oh, sì, il suo primo pasto dopo il risveglio sarebbe senz'altro stato molto nutriente.

Si stiracchiò e poi schioccò il collo da entrambe le parti indolenzita.

«Ciao, dottor Ginke. È da molto che non ci vediamo. È un immenso piacere per me rivederti. Un piacere così grande che non riesco a contenere la voglia di assaggiarti.»

Dalla sua bassa schiena comparve un lungo tentacolo rosso con sfumarure violacee, il quale trapassò il corpo dell'uomo al suo fianco come un cubetto di burro riscaldato e si attorcigliò attorno al suo petto per poi stringersi sul suo collo.

Le pareti della stanza si tinsero ovunque di schizzi di sangue. Maya aveva appena ucciso il dottore con una brutalità mai vista prima.
L'infermiere che lo aveva assistito rimase seduto sul pavimento a qualche passo da lei, incapace di muoversi per il terrore provocato da quella vista infernale.

Maya ritirò di colpo la piccola parte emersa della sua kagune e si avventò su quel corpo inerme facendone razzia in qualche secondo. Il sapore ferroso e stagnante del sangue le riempì di nuovo la bocca e si ritrovò a sorridere soddisfatta del proprio operato. Ne aveva sentito così a lungo la mancanza che se avesse potuto sarebbe rimasta lì tutto il giorno, fino a rodere le ossa.

Si sedette in mezzo alla pozza di sangue e si girò a guardare l'espressione di puro terrore di quel giovane infermiere. Era proprio il suo tipo di vittima ideale: un ragazzo dai capelli scuri e corporatura esile. Un esemplare perfetto di giovane uomo in salute pronto ad essere servito.

«Ora tocca alla portata principale.» sussurrò nascondendo gli occhi fra i capelli mentre la sua kagune cresceva, fino a divenire completa.

Dal centro della sua schiena si aprirono cinque lunghi blu tentacoli ripiegati come asole verso il centro, in mezzo ai quali cresceva la lunga frusta rossa che aveva usato contro il dottor Ginke. Tutt'intorno a quella imponente formazione, fino a raggiungere la base della schiena, c'erano delle protuberanze nere che assomigliavano a piccole foglie appassite.

Vedendo in quell'attimo di calma prima della tempesta la sua occasione per scappare, l'infermiere riuscì finalmente ad alzarsi da terra e si gettò verso le porte, ma non appena il suo corpo si infilò nel corridoio il letale tentacolo rosso di Maya lo raggiunse e lo trascinò un'altra volta dentro alla stanza. Gridò, completamente terrorizzato dall'essere che lo avea catturato.

Maya rise divertita mentre affondava i denti nella sua tenera carne. Aveva un sapore meraviglioso, nettamente migliore di quello del dottor Ginke.

«Paradisiaco. Esattamente come me lo ricordavo. I giovani come te hanno qualcosa di speciale. Sono così buoni che...» si interruppe con le labbra strette attorno a un lembo della sua pelle vicina alle clavicole.

«Per favore, per favore, basta! Non uccidermi!»

Maya lo morse e gli portò via una buona parte di tessuti fino ad esporre parte dell'osso. La ferita iniziò subito a perdere sangue come lo zampillo di una fontana e le impregnò i capelli.

«Nessuno ti salverà. Non oggi. Sembra che sia io la vincitrice in questa assurda battaglia, non ti pare?» gli sussurrò.

Uno dei tentacoli blu, molto più grosso e rigido di quello rosso, affondò nel suo stomaco e gli fece salire il sangue alla bocca, dalla quale provenne un suono acido e graffiante. Musica per le sue orecchie.

«Lasciami dare un piccolo assaggio a questa delizia.»

Maya si abbassò su di lui e gli strappò il camice di dosso, iniziando a dilaniare ciò che rimaneva del suo basso addome. L'infermiere perse i sensi e la testa gli cadde sul pavimento con un botto.

«È un peccato. Mi mancherai molto, mio dolce stuzzichino.»

Si allontanò da lui con il liquido ancora caldo che le gocciolava dalla punta del mento e staccò le porte dai cardini con un colpo della frusta, le quali andarono a colpire il muro dall'altra parte del corridoio.

Arima e Haise erano di fronte a lei, con le quinque sguainate e pronti a combatterla come un qualunque nemico.

«Ma che bella riunione di famiglia.» scherzò lei con voce acuta e tagliente.

Arima avanzò per proteggere Haise, ma la frusta di Maya riuscì a disarmarlo in qualche secondo e a stringersi attorno al suo collo, librandolo in aria. Non voleva ucciderlo subito. Doveva pur divertirsi con un individuo interessante come lui.

«Sono felice di vedere che sei in ottima forma, investigatore di classe speciale Kishou Arima.» lo salutò. «Avanti, perché non parliamo un po' come una vera famiglia?»

Arima cercò di allentare la sua presa con le mani, ma quel tentacolo sembrava fatto di un metallo tanto resistente da non muoversi di un solo millimetro.

«Signor Arima!» reagì finalmente Haise, sferrando un colpo di spada verso Maya.

Un tentativo inutile. Uno dei suoi tentacoli blu si estese del tutto e lo spinse verso la fine del corridoio, facendogli perdere conoscenza per la violenza dell'urto.

«Sei debole, Haise. Non meriti il mio interesse.»

Poi tornò a rivolgere le attenzioni ad Arima, la cui pelle nel frattempo aveva assunto un colore bianco simile a quello di un lenzuolo. Alzò un sopracciglio. Non si aspettava di vedere già segni di cedimento.

«Avanti, di' il mio nome.» lo sfidò.

«Akemi.» rispose l'altro sottovoce, cercando di prendere aria.

«Come? Temo di non aver sentito bene.»

«Akemi.»

«Akemi!» si mise a ridere l'altra, portandosi una mano fra i capelli che le coprivano il volto.

«Allora, qual è il mio nome, Arima?»

«Akemi. Il tuo nome è Akemi.»

Non soddisfatta della risposta iniziò a stringerlo con più forza.

«Qual è il mio nome!» gridò, come se stesse impartendo un ordine al posto della domanda.

«Akemi. Il tuo nome è Akemi!»

«Idiota. Non quel nome. Voglio sentire il mio nome. Il mio vero nome!»

«Akemi. Akemi. Akemi. Akemi... Ti prego.» sussurrò con un filo di voce, chiudendo gli occhi.

Era troppo stanco a quel punto. Non riusciva più a respirare. Le braccia gli scivolarono giù senza forza. Stava morendo. Finalmente capiva come doveva essersi sentita Akemi quella sera.

«Per favore.» chiese un'ultima volta. «Ora ho capito...»

Maya non si mosse, una rabbia profonda la agitava ancora in ogni sua parte.

Sentì un rumore provenire da distante e rilasciò Arima per usare la sua frusta contro il nuovo visitatore. Senza attendere un solo minuto penetrò il suo corpo e sorrise vittoriosa.

«Akemi...» lo sentì mugolare mentre un filo di sangue gli scendeva a lato della bocca.

Spalancò gli occhi e lo lasciò andare di colpo. Le sue iridi tornarono grigie e sentì le lacrime rigarle le guance.

«Haise...»

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