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Le strade di Tokyo si erano animate di ogni tipo di persona: giovani studenti, genitori assieme ai loro bambini e anziani in passeggiata. Il clima non era troppo rigido e rendeva la giornata ideale per trascorrere un po' di tempo all'aria aperta.

Akemi e Haise, dopo aver lasciato la sede della CCG, si fermarono di fronte alla porta d'ingresso del locale :re. Un profumo caldo e invitante di chicchi di caffè tostati proveniva dall'interno.

«Akemi, tu non sei mai stata qui?» le domandò Haise con un sorriso mentre apriva la porta per lei.

Akemi scosse la testa e si guardò intorno, cercando di imprimere l'immagine di quel posto nella sua memoria. La sala era ampia e decorata con piccoli tavolini rotondi alternati ad altri rettangolari in corrispondenza delle pareti. Alla sua sinistra c'era un lungo bancone di legno scuro, dietro al quale due camerieri stavano lavando delle tazze lavorate di ceramica bianca e un terzo serviva gli ospiti.
Al lato più corto del banco infatti, seduti su degli alti sgabelli intagliati, due giovani dall'aria bizzarra stavano sorseggiando del caffè scambiando brevi battute con una dipendente dai capelli viola scuro.

«Buongiorno.» salutò Haise richiudendo la porta dietro di sé con aria felice.

Gli sguardi di tutti si spostarono su di lui, che alzò la mano e la ondeggiò da entrambe le parti. Gli faceva sempre piacere tornare lì. Quel posto gli faceva provare un inspiegabile senso di nostalgia.

«Buongiorno.» rispose un uomo dai capelli chiari lunghi quasi fino alle spalle, che Akemi identificò come il proprietario del bar.

Haise la condusse a un tavolino tondo per due e le fece cenno di sedersi con dolcezza.

La giovane donna posò il dorso contro lo schienale della sedia e poi chiuse gli occhi cercando di capire perché quel posto le risultasse tanto familiare. Non era mai stata lì, nemmeno nella vita passata.

L'atmosfera all'interno era tranquilla, forse conseguenza del fatto che non c'erano molti clienti a quell'ora.

«Akemi, come mai sei voluta venire qui?» le chiese all'improvviso Haise accomodandosi davanti a lei.

L'altra batté gli occhi senza rispondere.
Al loro tavolo giunse il signore del banco e rivolse loro un piccolo sorriso.

«Signori, siete pronti per ordinare?»

«Sì. Due caffè, per favore.» rispose Haise.

«Gradite anche dello zucchero?»

«No, grazie.» confermò sempre lui con una scintilla negli occhi.

«Grazie a voi. I vostri caffè saranno pronti fra poco.» disse loro facendo ritorno alla postazione di poco prima e iniziando a preparare le bevande da servire con aria quieta e rilassata.

«Haise... Devo parlarti di una cosa molto importante.» iniziò Akemi sottovoce.

Haise annuì e raggiunse la mano che la giovane aveva posato sul tavolino con la sua, come per darle il coraggio necessario a continuare. Akemi abbassò gli occhi verso un punto indefinito e dopo un breve sorriso si schiarì la voce.

«Da quando mi sono svegliata ho iniziato a sentire qualcosa di diverso.»

Haise addolcì il suo sorriso.

«Cosa di preciso?»

«È come se il mio corpo provasse delle forti sensazioni che non riesco a provare. Forse... Si tratta dei sentimenti di cui voi altri parlate spesso.» commentò.

«C'è qualcosa che non va in tutto questo?»

«Io... Non avevo mai provato cose del genere. È tutto nuovo per me. Non so come reagire, come comportarmi...»

Haise le strinse la mano per darle sicurezza.

«Akemi, non devi avere paura! Tutti noi proviamo delle emozioni. È perfettamente normale sentirsi tristi, felici, arrabbiati...»

«Cosa... Dovrei fare allora?»

«Niente, Akemi! Lasciati andare e lascia che sia il tuo cuore ad agire!» le disse portando l'altra mano al petto.

Akemi abbassò gli occhi sul torace e poi si toccò nel medesimo punto del suo compagno.

«Il mio... Cuore.»

«Sì. Fidati del tuo cuore, Akemi.» la rassicurò.

Sul volto di Akemi comparve un sorriso impercettibile, che Haise non fece difficoltà a distinguere.

Un'altra volta. L'aveva vista sorridere un'altra volta.

«Ecco a voi.» li interruppe una voce femminile.

La giovane alzò lo sguardo e si specchiò a lungo negli occhi viola della cameriera mentre le serviva il caffè.

Riconosceva quel volto, quei capelli... Li aveva già visti.

Un dolore improvviso la colpì all'altezza delle tempie e la costrinse a mettere entrambe le mani come sostegno per la testa.

«Akemi! Va tutto bene?» chiese preoccupato Haise.

«Io... L'Anteiku...» balbettò con gli occhi serrati con forza e le dita tremanti nascoste fra i capelli.

Touka Kirishima, la cameriera, strinse a sé il vassoio mentre un'espressione sconvolta le dipinse lentamente il volto.

I capelli le erano cresciuti ed erano diventati bianchi, ma finalmente riconosceva la giovane donna che era entrata nel suo locale. Era proprio lei.

Maya. Maya Kenomi. Cuore di pietra.

29 gennaio.
05:54:13.

Erano passati tre giorni dalla visita al bar :re. Akemi e i Quinx avevano continuato ad allenarsi assieme per prepararsi nella maniera migliore alla rettata alla residenza Tsukiyama. Ogni cosa sembrava procedere per il meglio e nessuno aveva più fatto caso alle continue assenze di Akemi.

Da quel giorno si presentava solamente per gli allenamenti e poi spariva – una volta con la scusa di andare a fare visita al signor Arima, una con quella di doversi occupare di un nuovo lavoro d'ufficio, una con quella di voler fare una perlustrazione a sorpresa nella Ventesima. Nessuno sapeva di preciso cosa facesse in quelle otto ore di luce che precedevano la cena, e quando le si ponevano domande a riguardo rispondeva con il silenzio.

Dopo quei pochi giorni in cui sembrava aver riscoperto le emozioni e i sentimenti era tornata di nuovo quella bambola meccanica di una volta, costantemente persa fra i propri pensieri e assente da qualsiasi situazione. Nemmeno Haise riusciva a scambiare due battute con lei. Era come se la vera Akemi fosse scomparsa del tutto, lasciando solo la corazza esteriore.

La verità era che in quel bar aveva ricordato altre cose del suo passato. Da allora la sua parte di ghoul continuava ad emergere e l'unico modo per riuscire a tenerla sotto controllo era andare a sfamarla. Così, prendeva con sé una quinque non troppo potente e si addentrava nei vicoli più bui della Ventesima, con il volto coperto dalla maschera che una volta era appartenuta a Ken Kaneki – la famosa creazione che gli aveva fatto guadagnare il nome di benda sull'occhio.

Uccideva persone scelte casualmente che le capitavano sotto tiro, che fossero ghoul o umani poco aveva importanza. Li trafiggeva con la quinque, li trascinava negli angoli più nascosti e dava fondo ai loro corpi, lasciando solo mezzi mozziconi nascosti dietro a cassonetti o edifici abbandonati.

Prima di rientrare si fermava sempre alla tomba del signor Mado, e lì piombava in un lungo silenzio. Gli raccontava di quei suoi terribili peccati e chiedeva il suo perdono per lasciarsi controllare da un essere tanto sgradevole.

Stava male di nuovo, ma quella volta nessuno aveva la minima idea di cosa le stesse succedendo. Voleva risolvere da sola quei problemi. In fondo, si diceva con i pugni stretti, lei era un'adulta e sapeva come badare a se stessa.

Moonshine | Tokyo Ghoul :reDove le storie prendono vita. Scoprilo ora