Il sogno

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05:40:00.

Dopo una breve camminata ai lati del cortile adiacente all'ufficio per schiarirsi le idee, Kishou Arima si diresse verso la stanza in cui Akemi era tenuta sotto costante osservazione da un'equipe di medici scelti.

Il dottore a capo del gruppo a cui era stata affidata, il signor Ginke, aveva congedato i colleghi da qualche minuto e si era seduto su una delle due sedie all'esterno della stanza per riflettere meglio sul da farsi.

Avevano provato a farla reagire con ogni sorta di stimolo, fisico o elettrico che fosse, tuttavia non avevano ottenuto alcun segno di vita in risposta. Akemi era rimasta immobile, gli occhi chiusi, le mani sul busto e la pelle fredda come il ghiaccio.

Il battito del cuore rimaneva costante, i valori del sangue non erano cambiati nemmeno dopo un digiuno tanto lungo e l'assenza di luce naturale. Ogni cosa era nella norma. Da quel punto di vista, la giovane aveva una salute impeccabile.

Il dottor Ginke si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro per il corridoio, chiedendosi quale fosse stato il motivo scatenante di quel crollo così improvviso. Nel corso della sua lunga carriera non gli erano mai capitati casi simili. Sembrava proprio uno scherzo ben riuscito.

Arima arrivò quando il medico stava ancora borbottando fra sé nuove teorie e nuovi esperimenti da applicare al suo corpo. Si diede una rapida occhiata intorno e una volta accertatosi di essere solo assieme al dottore lo richiamò con un cenno autorevole della mano.

«Come sta? È successo qualcosa?» gli domandò con la solita calma.

«Niente!»

L'altro alzò gli occhi al cielo e scosse la testa sconsolato, come se avesse perso ogni speranza.

L'investigatore Arima annuì pensieroso, cercando di trovare un'altra soluzione al problema e finendo per sospirare contrariato.

Non gli veniva in mente nulla.

Forse perché effettivamente non c'era una soluzione.

«C'è qualcosa che posso fare per lei?» chiese il medico con cortesia, vedendo che l'espressione dell'investigatore si era inasprita.

«Nulla, al momento. Mi lasci solo. Ho bisogno di tempo.» concluse avviandosi verso la porta che lo separava dalla vice investigatrice.

Funeli Ginke non se lo fece ripetere un'altra volta e si allontanò in direzione dell'infermeria dove lo attendevano i colleghi per iniziare i trattamento sugli altri agenti rimasti feriti sul campo.

Arima entrò nella stanza e si avvicinò al letto dove giaceva Akemi.

Quel giorno la sua pelle sembrava addirittura più albina e le guance più infossate del solito. La mancanza di luce naturale e di nutrimenti solidi stava iniziando ad avere effetti sul suo aspetto fisico. In quella posa gli sembrava una di quelle marionette a grandezza naturale che si usavano nei vecchi teatri, pronta ad essere vesista con abiti stravaganti e legata alle corde del burattinaio per scendere sul palco fra gli applausi del pubblico.

Si abbassò a pettinarle i lunghi capelli bianchi, cercando una qualunque reazione involontaria al tocco sul suo volto.

Nulla.

Akemi sembrava in uno stato di pace talmente grande da non avere più alcun legame con il suo corpo. Le accarezzò le mani, le braccia e poi le sistemò le coperte. Nel momento del suo risveglio gli sarebbe piaciuto vederla così, in un piccolo mondo senza difetto. L'avrebbe attesa come il principe aveva fatto con la principessa Aurora.

«Arima... Sto morendo.»

«Avevi ragione.» mormorò. «Avevi ragione su ogni cosa: l'imitatore, Aogiri, la squadra Quinx, tutto.»

Si girò verso il tavolino dove erano stati portati tutti i doni che le aveva fatto Haise e sfilò una rosa bianca dal mazzo di fiori. Estrasse un coltellino dalla tasca e iniziò a togliere tutte le spine, gettandole nel cestino affianco al letto. Una volta terminato il lavoro, sistemò il gambo fra le mani di Akemi e si fermò a guardarla da distante.

Un angelo.

Akemi non era né una bambola né una macchina. Akemi era un diavolo con le sembianze di un angelo.

La porta alle sue spalle si aprì improvvisamente, rivelando due giovani reclute assieme all'investigatore Kori Ui.

Arima li osservò sospettoso. Non erano attese altre visite per quel giorno.

«Abbiamo l'ordine di procedere.» disse Kori Ui con un breve inchino sgraziato.

«Di chi è l'autorizzazione?» domandò l'altro con la solita assenza di emozioni.

«Yoshitoki Washu in persona.»

A quel nome Kishou Arima si congelò sul posto. Una delle persone più potenti dell'intera CCG aveva parlato.

«Hairu, fa' ciò che devi.» impartì Kori Ui alla compagna, la quale rivolse a sua volta un inchino elegante ad Arima prima di avanzare fino a trovarsi accanto la testiera del letto.

L'investigatore Arima si voltò verso di lei, il suo corpo improvvisamente pesante e le sue labbra incapaci di separarsi.

La giovane si chinò sull'altra e le sfilò il piccolo orecchino che serviva a inibire le sue capacità più pericolose.

«Fatto. Eccolo qui.» inclinò la testa a lato con un sorriso sadico e gli occhi socchiusi.

«Ora è libera. Possiamo andare.» la richiamò Ui.

I tre si congedarono quando Arima si trovava ancora in uno stato di confusione non distante dallo shock.

Quell'orecchino, quel piccolo dispositivo ad onde elettriche tanto importante per riuscire a contenere l'istinto distruttivo di Akemi era stato rimosso per ordine del capo.

Quello poteva significare solamente una cosa – Akemi era appena stata deposta dalla sua posizione di vice investigatrice, e probabilmente la CCG si sarebbe presto sbarazzata di lei.

Arima tornò a guardarla. Hairu le aveva scostato leggermente una ciocca, che ora le accarezzava la guancia corrispondente. Nonostante quel piccolo dettaglio fuori posto, Akemi sembrava ancora bellissima.

Dopo qualche attimo di silenzio si andò a sedere su una delle sedie fuori dalla stanza. Prese coraggio e strinse le mani sulle ginocchia. No, non avrebbe lasciato che il suo più grande successo, quella macchina perfetta, quella persona a lui così cara fosse gettata via da un giorno all'altro. Si sarebbe svegliata, ne era certo, e lui l'avrebbe attesa senza mai disperare. Avrebbe fatto di tutto perché la tenessero lì, anche a costo di andare contro i superiori.

21 gennaio.

Un suono vuoto e rimbombante echeggiò nelle sue orecchie. Era il suono che una goccia produce nell'istante in cui cade in un vaso pieno d'acqua.

Si alzò a sedere e si guardò intorno con sospetto. La testa continuava a girarle e i muscoli a farle male.

Era sul tetto di un palazzo, assieme al signore della visione precedente, il signor Yoshimura. Scosse la testa e poi mormorò un lamento confuso che richiamò l'attenzione dell'altro.

«Ti fa ancora male, Maya?» le chiese con la sua voce rassicurante.

Si alzò in piedi e barcollò fino a raggiungerlo. Stava guardando il panorama sotto ai suoi piedi, e così lei fece lo stesso.

«Sì. Più male di prima.» rispose accarezzandosi la nuca.

«Non senti mai nostalgia di quei tempi?»

«Quali tempi?»

Il signor Yoshimura ridacchiò.

«Quando loro ti volevano ancora. Ricordi? Ti hanno mandata via un paio di giorni fa.»

Scosse la testa, non riuscendo ad afferrare il senso delle sue parole.

«L'orecchino. Non ti sei accorta che non ce l'hai più?» spiegò.

Alzò la mano e si tastò il padiglione.

Finalmente capiva.

«Allora, sei sicura che non ti mancano neanche un po'?»

Moonshine | Tokyo Ghoul :reDove le storie prendono vita. Scoprilo ora