Maya (parte finale)

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«Haise...»

Il giovane uomo di fronte a lei le sorrise dolcemente, appoggiandosi al muro per sostenersi.

Maya se n'era andata.

«Sei tornata.» le disse mentre la sua ferita iniziava a rigenerarsi.

Akemi si accasciò lentamente a terra guardandosi attorno. Tutto quel sangue...

«Sono felice di rivederti, Akemi.»

Haise zoppicò fino a raggiungerla tenendo una mano sul centro dell'addome, dove i suoi tessuti erano più lenti a ripristinarsi. Chiuse gli occhi e si abbassò a stringerla fra le sue braccia con tutto l'affetto possibile.

«Come ti senti?» le domandò, ma anche quella volta non riuscì a sentire la sua voce. «Ora stai meglio, non è così?»

La giovane donna posò la testa sulla sua spalla e chiuse con forza le palpebre. Cos'era successo? Perché c'era tutto quel sangue?

I ricordi di quei momenti erano completamente svaniti dalla sua memoria. Haise... Anche lui era ferito.

Cercò di ricambiare l'abbraccio, senza però riuscirvi. Le mani le tremavano, così come le gambe e non riusciva a controllarle. Anche se non ne sapeva il motivo, in quel momento il suo corpo manifestava un profondo senso di paura.

«Akemi.» si sentì chiamare debolmente da una voce diversa.

Si raddrizzò e si girò dall'altra parte, scivolando fuori dalla presa dell'investigatore di prima categoria, il quale rimase a guardarla con gli occhi sognanti di chi ha appena trovato la salvezza.

Akemi trattenne il respiro alla vista. Kishou Arima giaceva in terra a qualche metro da lei, con un braccio proteso nella sua direzione e gli occhi socchiusi. I suoi abiti erano sporchi di sangue, ma a un primo esame quelle macchie sembravano semplici trasferimenti accidentali.

«Signor Arima...» disse sottovoce provando a trascinarsi in avanti per afferrare la sua mano.

Sul volto dell'investigatore comparve un sorriso spento. Era felice.

«Perdonami.» chiese tirandosi lentamente a sedere. «Non avevo capito quanto stessi male con quel dispositivo di inibizione.» scosse il capo ripensando alle sue ultime parole prima di sprofondare nel lungo sonno.

«Ora sto bene.» gli assicurò con voce quieta.

Haise si fermò ad osservarla. Sembrava tornata quella di prima, come se non si fosse mai addormentata. Era bellissima anche in quell'aspetto crudo e disordinato. Si tirò in piedi. Il suo corpo era guarito del tutto.

«Akemi, portiamo il signor Arima alle sue stanze.» le disse.

La ragazza annuì. La sua espressione era tornata piana e imperturbabile, ma sul suo volto era comparsa una cicatrice profonda appena sotto all'occhio sinistro che raggiungeva la metà della guancia. Haise la fissò stupito. Era sicuro di non averla mai vista, nemmeno negli ultimi minuti. Sembrava cresciuta dal nulla, come un marchio a fuoco sulla pelle. Cacciò quei pensieri nell'istante in cui vide Akemi chinarsi e posizionare le braccia di Arima attorno al suo collo. Lo tirò a sé e curvò la schiena in avanti in modo da tenerlo sollevato da terra di qualche centimetro.

«Akemi, ti prego, lascia che ti aiuti.» si propose guardando la sua esile figura comprimersi sotto quel peso.

«Negativo.»

Il suo sguardo cupo e il tono autoritario gli tolsero momentaneamente la capacità di muoversi. No, non era tornata quella di prima. In lei c'era qualcosa di terribilmente sbagliato.

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