Maya (parte 3)

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L'operazione iniziò alle 11 in punto.
Il dottor Ginke entrò nella stanza con un solo infermiere a seguito e iniziò subito il suo compito, senza nemmeno controllare i parametri vitali di Akemi. In poche parole, la ragazza veniva già considerata morta, che il suo cuore battesse o meno.

Dopo aver anestetizzato la zona con un paio di punture preventive, il medico procedette con delicatezza ad aprire un taglio non troppo profondo in corrispondenza della cicatrice lasciata dagli interventi precedenti.

«La pinza.» chiese restituendo all'aiutante il bisturi mentre manteneva aperta la ferita facendo pressione ai lati con il guanto.

Stranamente, Akemi quella volta non perdeva molto sangue e la ferita risultava quasi del tutto asciutta. Era come se il suo corpo fosse diventato d'un tratto un blocco di marmo, un ammasso compatto duro e senza vasi sanguigni su cui poter commettere ogni violenza senza ricevere segni di opposizione.

Il dottore ricevette la pinza e iniziò ad affondare lentamente le punte nella sua carne alla ricerca del chip. Si asciugò il sudore e poi urtò quella che al suono sembrava una piccola capsula di vetro.

Trovato.

Proprio allora il battito cardiaco di Akemi si interruppe, trasformandosi in una lunga linea piatta che percorreva lo schermo da parte a parte.

Il signor Ginke si voltò pietrificato in direzione del monitor e controllò una seconda volta la retta orrizontale verde intenso.

Era... Finita?

«Maya.»

Una voce calma e leggera la svegliò dal lungo riposo.

La ragazza aprì gli occhi e inclinò il capo.
Era seduta su un divano grigio, davanti a un tavolino basso con al centro una coppa di caramelle e confetti.

Allungò la mano e ne raccolse uno, soffermandosi ad osservarne la forma perfettamente sferica. Riusciva quasi a percepire il suo contenuto con il solo sguardo. Zucchero, cioccolata, noce, cacao amaro... e al centro un'amarena indurita. Lo avvicinò alla bocca e iniziò a mordere il sottile rivestimento con forza. Sì, era proprio lei. L'amarena senz'osso che tanto le piaceva.

Le sue pupille si dilatarono al sapore dolce e gustoso. Era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva assaggiato un confetto così buono. Tanto che pensava di aver dimenticato quell'incredibile sensazione paradisiaca.

«Si può sapere cosa ti è saltato in mente? Ti avevo detto di andare a comprare del pane per i panini e invece tu sei rimasta qui tutto il giorno a guardare la TV! Così non avevo nulla da fare e mi è toccato litigare di nuovo con quel Nishiki di merda!» urlò una voce acuta femminile.

Dall'oscurità comparve la sagoma di una ragazza poco più giovane di lei, con i capelli indaco scuro e gli occhi dello stesso colore. Indossava una divisa da lavoro e un grembiule nero che le davano l'aspetto di una qualunque cameriera di un bar.

Akemi batté gli occhi. Nishiki. Di nuovo quel nome.

«Mi stai a sentire o no!?»

«Calmati, Touka.» la rimproverò la voce calda del signor Yoshimura. «Maya oggi non si sentiva molto bene.»

«Ma capo!» si lamentò nuovamente.

«Vedrai che le cose fra te e Nishiki miglioreranno.» le promise con un sorriso.

Touka scomparve, e così fece il signor Yoshimura.

Akami prese un altro confetto simile al primo e si raddrizzò.

Di nuovo quei ricordi, quei volti.

«Ehi, razza di stupida dal cuore di pietra. Tu non vieni mai a servire ai tavoli?» sbuffò una nuova figura.

Questa volta si trattava di un ragazzo piuttosto alto dai capelli chiari come il miele. Portava degli occhiali che le ricordavano quelli di Arima e vestiva la stessa mise del signor Yoshimura.

«Ehi, ho detto a te. Cosa c'è di divertente da guardare?»

Akemi non rispose, provando a dare un nome a quell'individuo sconosciuto.

«Scommetto che se non fossi un'allieva del capo probabilmente saresti già stata tagliata fuori.» sospirò prima di sparire nel nero.

Abbassò gli occhi sulla ciotola davanti a lei. I confetti erano svaniti, così come le caramelle. Anche il tavolino stava iniziando a svanire. Raccolse le gambe al petto e si guardò intorno. Non c'era più nulla.

Di colpo un dolore lancinante la colpì all'altezza del collo, appena sotto alla mandibola. Portò le mani verso quel punto, saltò in piedi e iniziò a gridare di dolore. Qualunque fosse la causa, doveva fare qualcosa per farlo smettere.

Affondò le unghie nella carne e sentì il sangue scorrerle sulla pelle.

Spostò l'altra mano sulla nuca per compensare la pressione applicata dall'altra parte, ma scoprì una profonda cicatrice nascosta dai capelli.

Le tornarono alla mente le parole del signor Yoshimura.

«Allora, come stai? La ferita alla testa è guarita?»

«Non è guarita! Non è guarita!» urlò serrando gli occhi e cercando di contenere quel tremendo dolore. «Non è guarita per niente! Mi stanno uccidendo!»

La sua vista divenne bianca e si ritrovò stesa sul pavimento, immersa in una pozza di sangue fresco. Non sentiva più nulla, né riusciva a mettere a fuoco il nuovo ambiente. Ogni cosa era stata assorbita da quel manto bianco.
Si tastò il collo e si ritrovò a sorridere con malizia. Rise a lungo, incapace di trattenersi. Era libera.

«Ho vinto!» esclamò serrando i pugni. «Ora è il mio turno. Pronti o meno, sto venendo a cercarvi. Maledetti. Ecco cosa si prova ad essere l'assassino e non la vittima.»

Si alzò in piedi e si coprì il volto con una mano. Ora finalmente ricordava. La verità su di lei e sulla sua natura era di nuovo chiara. Senza quello stupido orecchino poteva finalmente guardarsi allo specchio per quello che era. Barcollò in avanti in quel bianco senza fine, spargendo gocce di sangue mano a mano che si allontanava dal posto dove si era svegliata.

«Oh, sì, adesso sarò io a divertirmi con voi. Akemi! Akemi! È questo il nome patetico che mi avete dato, eh? Che bel nome! Akemi! Mi piace Akemi. Peccato che il mio nome non sia Akemi.»

Cadde in ginocchio e iniziò di nuovo a ridere con i movimenti convulsi tipici di una crisi isterica.

«Akemi! Akemi!»

Si rialzò e inarcò dal basso le braccia verso il cielo.

«Akemi non c'è più!»

Alzò le spalle con rabbia.

«Maya! Maya! È così che mi dovete chiamare, sacchi di spazzatura!»

Avanzò ancora, fino a che davanti a lei non trovò una porta, anch'essa bianca, che sembrava ondeggiare nel nulla, pronta ad essere aperta. Afferrò la maniglia e la spalancò con violenza. Il sorriso che le illuminava il volto era pieno di furia e malvagità.

«Tremate! Nascondetevi meglio che potete! Maya è tornata per uccidervi tutti, vi vedrà cadere l'uno dopo l'altro! E non si fermerà finché non vi avrà tolto di mezzo tutti. È una promessa.» sussurrò le ultime parole e si gettò al di là di quella sagoma.

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