Maya (parte 2)

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24 gennaio.
07:55:20.

Quel 24 gennaio era un giorno del tutto particolare. A differenza di tutte le settimane che lo avevano preceduto, il sole brillava alto nel cielo e non c'era traccia della minima brezza a rinfrescare l'atmosfera. La temperatura era notevolmente salita e finalmente il cielo aveva perso quel tipico color cenere che lo aveva caratterizzato per tutto l'inverno. Sembrava che finalmente la situazione si fosse sbloccata.

Al quartier generale della CCG le cose sembravano volgere per il meglio.

Grazie agli interventi degli investigatori più influenti le squadre erano state rimescolate e molti agenti promossi ai gradi superiori. I ricercatori, inoltre, avevano terminato la serie di nuove quinque a cui stavano lavorando da settimane e quella notizia aveva ravvivato lo spirito di molti. Nell'aria aleggiava una strana felicità e ognuno era felice di riprendere le attività interrotte nel mese precedente.

Le uniche eccezioni erano il classe speciale Arima e il prima categoria Sasaki, i quali erano ancora scossi dagli avvenimenti di qualche giorno prima.

In giro per la CCG non si sentiva più nulla su Akemi. Sembrava che la ragazza fosse totalmente scomparsa dagli interessi e che non ci fosse mai stata nessuna vice investigatrice Ren di cui andare fieri.

Bugie.

Kishou Arima affondò il pugno nella scrivania. Era riuscito a farsi concedere ancora una settimana di custodia per Akemi, a patto che la ragazza fosse trasferita nei suoi appartamenti e tenuta sotto stretta sorveglianza per tutto il giorno. Cos'altro avrebbe potuto fare per lei? Nulla, purtroppo. Il tempo era agli sgoccioli. Altri quattro giorni e l'avrebbero uccisa definitivamente.

All'improvviso, Akira entrò nella stanza seguita da Haise. L'espressione sui loro volti era cupa e pensierosa.

Arima si raddrizzò sulla poltrona e abbassò gli occhi sul fascicolo con i dati del caso che stava per affidare loro.

«La famiglia Tsukiyama.» spiegò apponendo il timbro sul cartoncino e porgendo il tutto ad Akira, di modo che la donna potesse dare un'occhiata ai dettagli del caso con i suoi occhi.

«La potente e famosa famiglia Tsukiyama in realtà è formata da ghoul molto pericolosi e collegati al caso Rose, come avrete senz'altro capito anche voi. Vi dirigerete alla loro residenza assieme alle altre divisioni al completo. La data prevista per la missione vi sarà comunicata a breve.»

«Cosa dobbiamo fare?» chiese Akira raccogliendo il fascicolo e infilandolo nella borsa.

«Sterminateli. È un ordine di Yoshitoki.»

Haise annuì deciso non appena sentì quel nome. Tutta la tristezza dei giorni passati era scomparsa, rimpiazzata dalla consapevolezza che Akemi era ancora sotto la protezione di Arima.

«Come sta?» gli chiese esitante abbassando la voce.

«Non si è ancora ripresa. Voi andate. Ci penso io a lei.»

Haise e Akira si allontanarono tanto velocemente quanto erano comparsi. Arima li seguì poco dopo e fece ritorno alla sua camera.

Perdonami.

Quando aprì la porta della camera ciò che vide lo fece barcollare sul posto.

L'investigatore Kori Ui reggeva Akemi fra le braccia e si era appena voltato nella sua direzione come per andarsene assieme alla ragazza.

Arima piantò i piedi in corrispondenza della porta.

«Quattro giorni.» scandì con uno sguardo truce. «Mi era stata data una settimana.»

«Non faranno la differenza. Lei viene via con me. Dobbiamo raccogliere gli ultimi dati da lei prima di eliminarla.» sbuffò, spazientito dalla testardaggine dell'altro.

Kishou Arima non aveva la possibilità di opporsi a quelle parole così autoritarie. Ciò che aveva detto era la verità.

«Una volta che avrete estratto i dati di cui avete bisogno tornerà dov'era.» rispose assumendo una posa meno aggressiva.

L'investigatore Ui annuì distrattamente.

«Perché no. In fondo non fa alcuna differenza dove starà questo mucchio di spazzatura prima di essere gettato.»

10:47:49.

Il dottor Ginke aveva preparato ogni cosa con cura: gli strumenti che avrebbe utilizzato, le siringhe con cui le avrebbe anestetizzato la zona e i vestiti da indossare una volta entrato in sala operatoria. Stavano per affrontare uno degli interventi più complessi mai tenuti alla CCG, il prelievo dei dati dal chip elettromagnetico situato sulla parte destra del collo appena sotto alla mandibola. In poche parole, avrebbero praticato un piccolo taglio verticale, avrebbero scollegato il chip dall'apparecchio madre posizionato sulla bassa nuca e l'avrebbero estratto per sostituirlo con uno nuovo. Un'operazione che doveva svolgersi regolarmente ogni 3 mesi a cui Akemi aveva già preso parte altre volte senza riscontrare troppi problemi.

Arima si sedette di fronte alle porte della stanza, perso fra i propri pensieri. Ciò che avevano fatto ad Akemi, il modo in cui avevano inserito quei dispositivi nel suo corpo prima di darle quella nuova identità era stato l'esperimento di uno scienziato pazzo. Avevano robotizzato una povera ragazza solo per il bene degli abitanti di Tokyo.

Scosse la testa. In quell'istante gli sembrò di avere un peso enorme sulle spalle, un macigno pronto a schiacciarlo non appena avesse allentato la presa. La verità era che Akemi era diventata come una figlia per lui. Per quanto le decisioni che aveva preso su di lei si stessero rivelando sbagliate, quella ragazza oltre le pesanti porte oscurate della sala operatoria era il risultato delle sue idee e della sua volontà. Non era solo il suo più grande successo. Era una sua creazione, un essere modificato e istruito come aveva voluto lui. Una figlia vera e propria.

Un infermiere uscì dalla porta della saletta preparatoria e si avvicinò all'investigatore con la mascherina abbassata.

«Signor Arima, l'operazione inizierà a breve. Non ci vorrà molto, solamente una mezz'ora.» spiegò prima di rientrare in velocità e finire di cambiarsi.

Già. Una mezz'ora.

Guardò l'orologio che portava al polso. Haise avrebbe già dovuto essere lì. Prese il telefonino e compose il suo numero, poi infilò l'auricolare e si mise in attesa della riposta.

«Signor Arima.» rispose al primo squillo con il fiatone. «Sono quasi arrivato.» si scusò.

La linea cadde all'improvviso e Arima accavallò le gambe, rimanendo in attesa.

Haise arrivò dopo una manciata di minuti, il sudore gli rigava la fronte e l'impermeabile gli era scivolato quasi del tutto dalle spalle. Aveva ancora con sé una valigetta e Arima non ci mise molto a capire che probabilmente aveva lasciato di corsa l'allenamento quando aveva ricevuto il messaggio.

«Scusi il ritardo.» respirò a fondo e si sedette al suo fianco. «Come le sembrava questa mattina?»

«Andrà tutto bene.» rispose meccanicamente.

Haise spalancò gli occhi e si calmò ritrovando una respirazione più regolare.

«Lo spero anch'io.» annuì.

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