L'imitatore (parte 5)

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12:23:44.

Mentre le strade erano invase dalla confusione derivante dalla festa, la squadra Quinx si era riunita in cucina per preparare il tanto atteso pranzo di Natale. Ognuno di loro aveva la sua postazione e il suo compito e non avrebbe lasciato la stanza prima di averlo completato.
L'unica a mancare all'appello, come sempre dopotutto, era Akemi.

La giovane investigatrice, invece di rientrare, aveva preferito avviarsi verso la Ventesima circoscrizione alla ricerca di qualche ghoul della strada con cui divertirsi.

Dopo aver trascorso un paio d'ore senza incappare in alcun sospetto si era fermata di fronte a un edificio crollato anni prima, che portava i segni di un probabile incendio. Un'insegna rotta giaceva in terra, il vetro colorato sparso sull'asfalto come il segno di un brutto incubo che aveva trovato la fine.

Ora ricordava. Quella costruzione anni prima era stata la sede del bar Anteiku, con ai piani superiori gli appartamenti dei dipendenti.

In quel periodo era appena entrata a far parte della CCG e proprio in quanto novizia non le era stato permesso di partecipare alla missione sul campo.

Aveva un ricordo oscuro di quel giorno. Koutarou Amon, uno dei due agenti più influenti della squadra di cui faceva parte, aveva perso la vita – o almeno così le era stato detto – nello scontro con benda sull'occhio.
Quello fu colpo molto duro per lei, dopo la morte di Kureo Mado.

Tornò a camminare, cercando di non dare troppo nell'occhio.

La Ventesima era probabilmente la zona d'azione dell'imitatore e lei non aveva a disposizione armi di difesa sufficientemente potenti per un confronto con lui. Con la dozzina di pugnali nascosti nell'impermeabile – un armamento più che sufficiente ad uccidere un ghoul mediocre – non avrebbe potuto fare altro che difendersi da uno forte come l'imitatore.

Raggiunse in poco tempo la zona di confine e scese a prendere la metropolitana per fare rientro più velocemente possibile alla CCG. Purtroppo non c'era nient'altro che potesse fare in quelle condizioni. Avrebbe dovuto attendere ancora un paio di giorni perché l'organizzazione tornasse totalmente in funzione. Un paio di giorni che sarebbero stati senz'altro fatali per dei giovani ragazzi come Hiroto Nagashi. L'imitatore si sarebbe dato da fare, istigato dall'assenza del suo più grande nemico.

29 dicembre.
02:33:34.

Akemi si svegliò di colpo. Uno spesso strato di sudore le imperlava la fronte e le mani le tremavano di continuo.

Si alzò dal letto e si chiuse nel bagno privato della sua camera.

Era in uno stato di disordine totalmente estraneo alla sua persona composta ed elegante.

Aveva la febbre molto alta. Probabilmente nei giorni passati non si era coperta nel modo adeguato e il suo corpo aveva finito per risentire dei continui sbalzi di temperatura a cui lo sottoponeva.

Si sedette sulla tavoletta del water e accese la luce dello specchio, osservando il suo riflesso con disinteresse.

I capelli erano arricciati in mille nodi, le labbra arrossate e due pesanti occhiaie nere le riempivano le guance. Il sonno le era totalmente passato.

Rimase lì qualche minuto, le allucinazioni da febbre le affollavano la mente e le impedivano di concentrarsi nella maniera adeguata. Vedeva luci abbaglianti, zone di buio e numeri impressi da ogni parte, come in una realtà deformata e fantastica.

Aprì il rubinetto e si sciacquò il viso con l'acqua ghiacciata mentre tornava lentamente in sé.
Si asciugò e poi tornò a sedere. Provare a dormire in quel momento sarebbe stato inutile. Doveva fare qualcosa. Non poteva buttare via il suo tempo con l'ozio.

Spense la luce e tornò in camera, dove si posizionò sul ciglio del letto a guardare il cielo stellato oltre la portafinestra. Avrebbe semplicemente potuto rimanere lì, controllare le email e aspettare che il sole sorgesse, ma l'idea le provocava uno strano ribrezzo. Nonostante la videosorveglianza fosse ancora attiva decise di vestirsi e uscire. Un breve giro in città con le dovute precauzioni non avrebbe fatto male a nessuno.

Prima di lasciare la stanza si fermò alla scrivania, dove lasciò un messaggio per chiunque la stesse guardando.

Ventesima. Rientro previsto: ore 04:00.

Raccolse la piccola valigetta argentata accanto al comodino, una piccola quinque di modesta potenza appartenuta al signor Mado e affidatale la sera precedente dall'investigatore Arima, e abbandonò l'appartamento senza fare rumore.

Una volta uscita scese a prendere la metropolitana, cercando di farsi passare per una giovane donna d'affari in viaggio di lavoro grazie a un class pass e un paio di occhiali da sole dall'aria costosa.

Non appena passò di fronte al posto di blocco espose un cartellino falsificato con professionalità che le avrebbe assicurato la massima tranquillità durante il breve viaggio.

Nome: Ashley Morgan.
Età: 25.
Reparto Business.

Procedette e salì in testa. Nel vagone dove si trovava c'era solamente un giovane uomo, sulla ventina, con un cappello nero a falda larga e una valigetta simile alla sua.

Un'altra Colomba.

«Vice Ren.» salutò con voce appena percepibile.

«Prima classe Nai.» rispose l'altro, sorpreso dalla sua comparsa.

«Ventesima.»

«Ventitreesima.»

La conversazione si concluse lì e per il resto del viaggio ci fu silenzio.

Akemi scese alla sua fermata con passo calmo e controllato, forse un po' più insicura del solito a causa della febbre che le confondeva la mente.

Salì dalle scale e attraversò la strada, portandosi a camminare affianco alle pareti degli edifici più alti.

Voleva provare ad entrare in quell'edificio in rovina, la sede dell'Anteiku. Magari lì avrebbe trovato qualche indizio sul Gufo dall'unico occhio, figlio dell'omonimo. Una simile scoperta avrebbe forse dato un senso a quel suo capriccio.

Camminò in silenzio fino a raggiungere il suo obiettivo. Le strade erano vuote, i lampioni perfettamente funzionanti e le insegne dei locali più alla moda ancora accese. L'atmosfera per una missione in solitudine non avrebbe potuto essere migliore.

Si fermò e strinse con più forza la valigetta. Per quanto non sapesse da dove venisse quel sospetto, in quell'istante sentiva che all'interno avrebbe trovato qualcun altro che, come lei, era alla ricerca di informazioni.

Entrò da quello che una volta doveva essere stato il vano della porta e si fece strada fra le condutture e i pilastri che erano franati nell'incendio.

Dopo essersi osservata intorno con più calma e razionalità si tolse gli occhiali da sole e iniziò a salire su ciò che rimaneva di una scala di servizio. Sospirò. Del piano terra non era rimasto altro che polvere.

«La Colomba bianca.» sussurrò a un certo punto una voce nell'oscurità.

Due occhi scuri la stavano guardando attraverso un ampio buco nel pavimento del piano superiore. Due occhi che Akemi conosceva molto bene.

Black Rabbit.

Moonshine | Tokyo Ghoul :reDove le storie prendono vita. Scoprilo ora