Erano passati quattro giorni dalla telefonata con Jeremia.
Miguel non aveva perso d'occhio la sua protetta neanche per un secondo.
Aveva dormito pochissimo ma per uno della sua età il sonno era poco importante. Bastavano un paio d'ore per riprendere le forze e lui ne approfittava quando Nadia si addormentava.
Neanche lei aveva dormito molto. Sentiva che si agitava, riusciva a percepire il suo nervosismo. Non era un sonno tranquillo il suo. Era perseguitata dagli incubi che, quando era un po' più piccola, Miguel cercava di mettere a bada entrandole nella mente e facendole fare bei sogni.
Ma erano passati troppi anni e non si sentiva più di entrare nella sua mente ormai adulta.
Volò un po' più un basso stando ben attento a mantenere l'invisibilità per non farsi vedere dagli abitanti di Green River. La maggior parte di loro credeva in loro, alcuni li avevano addirittura incontrati ma la maggior parte impazziva, sveniva o provava a toccarli, soprattutto le ali. Non era vietato farsi vedere a poi che dopo cancellassero la memoria al soggetto che li aveva avvistati. Ma Miguel non voleva arrivare a tanto. Tenersi a distanza o nascondere le ali quando camminava tra loro era abbastanza.
Nadine si stava stringendo nel suo cappotto beige. Aveva una grossa sciarpa avvolta sul collo che le copriva metà viso mettendo in mostra solo i suoi grandi occhi color cioccolato.
Camminava svelta verso il locale in cui una settimana prima si era consumato quell'omicidio.
Miguel aveva portato personalmente la ragazza all'Enclave degli Angeli ma era stato troppo tardi per lei. Era morta quasi sul colpo.
Vide Nadine entrare nel locale e si sistemò sul tetto dell'edificio di fronte. Non poteva vederla quando era lì dentro e non aveva nessuna buona scusa per entrare e comportarsi da umano con il solo scopo di sorvegliarla meglio.
Il suo sguardo cadde su una locandina appesa sulla porta del locale.
Sorrise quando capì che quella poteva essere la sua occasione.Con la testa ancora invasa da mille pensieri, Nadia iniziò a sistemare il locale in vista della serata che Matt aveva organizzato in occasione dell'anniversario della fondazione della città.
In realtà era solo un pretesto per fare baldoria in un posto in cui non esisteva neanche una discoteca. Il Balcky era davvero il miglior locale che si trovava a Green River!
– Come pensi di far entrare tutta quella gente qua dentro? – gli aveva chiesto Nadia qualche giorno prima, quando Matt gli aveva detto che avrebbe spostato alcuni tavoli ai lati della grande sala e che avrebbe messo tutti gli altri impilati nel magazzino.
Il capo era lui quindi Nadia non poteva fare altro che dargli una mano a sistemare tutto quanto in vista della serata che, guardando il grande orologio, sarebbe cominciata a breve.
La band che avrebbe intrattenuto la gente, i River's Devils, era arrivata già da qualche ora e avevano aiutato Nadia a sistemare il locale prima di iniziare il sound check.
– Nadia! – la chiamò Matt dal retro del locale.
Non avrebbe voluto raggiungerlo laggiù. Non ci metteva piede da una settimana. Da quando...
Scosse la testa e si costrinse a non pensare a quello che era successo altrimenti avrebbe evocato tutti i ricordi di quella notte e tutto ciò che era successo dopo.
Raggiunse Matt.
Era piegato su uno scatolone. I cappelli incollati alla fronte per via del sudore.
Era bello, quel genere di bellezza che non passava affatto inosservata.
Tutte le ragazza con cui era uscito erano gelose di Nadia e del rapporto che c'era tra loro. Ma la verità era che, per quanto la prima volta che lo aveva visto lo aveva trovato interessante, ormai era solo un suo amico. Non aveva mai più pensato a lui in quel modo. Anche se sospettava che invece lui aveva iniziato a guardarla con occhi diversi da almeno un paio di anni.
– Nadia? Mi stai ascoltando?
Tornò in sé – Devo mettere queste lanterne fuori dalla porta principale – ripeté lei che, nonostante fosse assorta nei suoi pensieri, aveva sentito cosa Matt le aveva chiesto di fare.
Lui sorrise e gliele passò – Ce la fai? – le chiese.
Lei annuì e si diresse verso la porta.
Trasalì quando un ragazzo le andò a sbattere contro facendole cadere tutto quanto per terra.
Nadia non disse nulla. Sospirò e si abbassò a raccogliere le cose per terra.
Il ragazzo per un momento sembrò volerla aiutare ma poi la superò e andò dentro.
– Idiota – sussurò Nadia.
Appese le lanterne fuori e una ventata gelida la fece rientrare dentro immediatamente.
Amava il freddo ma quello era un freddo gelido e molto strano. Portava con sé uno strano odore di... terrore?
Nadia trasalì quando si rese conto a cosa stava pensando.
Prese un respiro, per la milionesima volta in quella giornata, e si preparò mentalmente alla serata.
Miguel si posizionò in un angolo, dietro il palco in cui suonava la band.
Avrebbe dovuto aiutare Nadia a sistemare quelle lanterne anziché far finta di nulla ma rischiava di confonderla se lei avesse sentito il suo odore.
Il chitarrista della band gli passò accanto e si fermo di scatto quando lo superò. Tornò sui suoi passi e lo guardò meglio.
– Miguel?
Trasalì quando capì che quel ragazzo lo conosceva.
Lui aveva sicuramente intuito e gli sorrise sfoderando i suoi denti bianchissimi – Sono Javier – disse piano.
Non gli servì altro per capire. Lo guardò meglio scostandosi gli occhiali da sole – Sei in perfetta forma! – l'ultima volta che lo aveva visto era in una pozza di sangue in un campo di grano in Spagna. Era stato curato ma non abbastanza in tempo da preservare la sua umanità.
– Sei qua per la ragazza?
– Sto solo dando una controllata – disse in tono troppo agitato per essere credibile.
Javier scosse la testa – Non devi giustificarti Miguel. Ti conosco da tanti anni e so che cosa è successo... – poi spostò lo sguardo su Nadia – Stai attento Miguel. C'è qualcosa che non va in questa città, me lo sento – disse senza spostare lo sguardo dalla ragazza.
Poi si allontanò e salì sul palco, pronto a iniziare la serata.
Quindi non erano solo voci. Se anche Javier aveva avuto questa sensazione, qualcosa stava accadendo davvero. Era solo questione di tempo.La musica era così alta che Nadia temette che le orecchie le sarebbero fischiate per almeno due giorni.
Tutto sommato non era poi così male questa band che aveva ingaggiato Matt per un centinaio di dollari. Non era il genere di musica che le piaceva ascoltare ma nel complesso erano bravi.
Erano stati carini ad aiutarla a sistemare il locale, soprattutto il chitarrista. La guardava come se la conoscesse da anni e anche lei aveva avuto la sensazione di averlo visto da qualche parte. Solo che i suoi ricordi erano spesso confusi quindi probabilmente si stava sbagliando.
C'era più gente di quella che avrebbe mai immaginato, forse addirittura troppa.
Ma la cosa inquietante, notò Nadia, era che tutti erano vestiti di nero. Riguardò la locandina ma non c'era scritto nulla a proposito dell'abbigliamento total black. Era piuttosto insolito che tutti quanti, la dentro, vestissero allo stesso modo.
Cercò Matt con lo sguardo e notò che anche lui era vestito di nero. Matt non indossava MAI il nero.
Il panico le serrò la gola quando notò che alcuni di loro indossavano addirittura dei cappelli.
– Merda – disse piano.
Improvvisamente la grande sala cominciò a sembrare troppo piccola. Si sentiva soffocare e il fumo finto che usciva dal palchetto in cui stava suonando la band non era assolutamente d'aiuto.
Cercò l'acqua ma non c'era neanche una bottiglia nel frigo. Doveva spostarsi nel magazzino ma le sue gambe sembravano così pesanti che ci mise un bel po' a raggiungerlo.
Aprì la porta e, in quel momento, la lampadina sopra di lei fece una scintilla e andò in frantumi.
La stanza piombò nel buio mentre nella sala la band continuava a suonare e la gente cantava, urlava, beveva e si dimenava.
La porta si chiuse alle sue spalle e Nadia cercò disperatamente la maniglia ma il panico la stava facendo confusa. Camminava con le mani in avanti per cercare un appiglio, un punto di riferimento per capire in quale punto della stanza si trovasse.
I suoi occhi si abituarono al buio e Nadia capì dove si trovava la porta. Fece un passo avanti ma un rumore metallico la fece trasalire.
Aveva sentito la lama passarle vicino all'orecchio. Pochi millimetri e l'avrebbe colpita.
Si voltò di scatto e lo vide.
Anche al buio poté scorgere i suoi occhi rossi e lucenti. Il cappello non c'era ma era sicura che era uno di quegli uomini.
– Questa volta non puoi fuggire zuccherino – le disse l'uomo poco prima di avventarsi su di lei.
Nadia riuscì a schivarlo e aprì la porta chiudendo la creatura la dentro. Non era umano, questo era certo.
Non era facile scappare con tutta quella confusione. E soprattutto non sarebbe stato facile capire se c'erano altre creature come quello considerando che erano tutti vestiti nello stesso identico modo.
In qualche modo riuscì ad arrivare all'ingresso ma non appena tentò di uscire fuori, lo stesso aggressore di poco prima le si parò davanti insieme a un altro, ancora più grosso di lui. Erano a mani nude ma erano il doppio di lei.
Tornò indietro, svelta verso l'uscita che dava sul retro con la speranza di riuscire a prendere le scale.
Purtroppo quelle creature erano incredibilmente veloci e riuscirono a prenderla. La trascinarono via per i piedi mentre lei urlava e si dimenava nel vano tentativo che qualcuno la sentisse. Ma sapeva anche lei che era impossibile.
– Lasciatemi! – urlò – Non ho fatto nulla!
Riuscì a sferrare un calcio in faccia a uno degli uomini e questo, per tutta risposta, afferrò un coltello e glielo piantò sulla coscia creando uno squarcio.
Provò un dolore lancinante e per qualche secondo la sua vista si appannò.
– Se devi uccidermi fallo e basta! – gli ordinò a denti stretti.
Una risata agghiacciante e la creatura si posizionò sopra di lei.
– Mi piacerebbe tanto giocare un po' con te prima di ucciderti – le accarezzò la guancia con un dito gelido – Ma il Padrone ti vuole viva.
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The Protectors
FantasyIl freddo era arrivato presto nella ormai tranquilla cittadina di Green River. Quella sera Nadia non avrebbe dovuto fare tardi. Avrebbe dovuto finire il suo turno al Blacky, correre verso l'ultimo autobus che l'avrebbe portata verso casa, mettere le...