CAPITOLO UNDICI

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Un coltello le atterrò accanto.
– Devi concentrarti! – gli urlò Javier.
Avevano iniziato a usare le armi perché a mani nude non sarebbe mai stata capace di difendersi se uno di quegli uomini si fosse rifatto vivo.
Per tutta risposta Nadia prese pugnale che aveva nascosto nella manica e glielo lanciò, facendo centro sulla sua spalla.
Javier, anziché arrabbiarsi, rise di gusto. Era già passato un mese da quando aveva iniziato ad allenarla e, per quanto fosse bravo, spesso dimenticava che aveva pur sempre a che fare con un'umana inesperta nel combattimento.
A Nadia non dispiaceva. Non voleva essere trattata con delicatezza, l'avrebbe fatta sentire vulnerabile.
Le sue giornate ormai iniziavano sempre in modo frenetico. Si alzava presto, andava a correre e si incontrava con Javier sul tetto del palazzo di Jeremy.
Finiti gli allenamenti si preparava per il lavoro e una volta finito il turno, si trascinava nel suo monolocale. La maggior parte delle volte tornava a casa scortata da Javier e quando lui non l'aspettava fuori dal locale, sapeva che c'era Miguel a vegliarla dall'alto
Non lo vedeva quasi mai. Il giorno percepiva la sua presenza ma manteneva sempre le distanze.
Tranne la notte.
Ogni notte l'angelo entrava dalla sua finestra e si sedeva sulla poltrona di suo padre.
Nadia non la spostava da quella notte. Era rimasta vicino al suo letto, per lui.
"Parto per qualche giorno. Javier starà con te"
Così c'era scritto sul biglietto che le aveva lasciato due giorni prima sul tavolo della cucina.
Mai e poi mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe ritrovata ad avere a che fare con dei vampiri, né tanto meno con degli angeli. Non aveva ancora ben capito come funzionava la questione di Protetti e dei Protettori, ma poco importava.
Qualcuno la fuori voleva farle del male e prima o poi lo avrebbe fatto. A lei spettava il compito di difendesi e pian piano stava imparando.
– Stai diventando brava – disse Javier estraendo il coltello senza tradire la minima espressione di dolore.
La guardò con quei suoi occhi da predatore mentre sul viso aveva ancora stampato un sorrisetto che non prometteva nulla di buono.
Javier aveva un carattere estremamente opposto a quello del fratello. Era menefreghista, sfottente, egoista. Aveva l'aria di uno che avrebbe venduto chiunque, probabilmente anche la persona a lui più cara, pur di restare in vita.
Però era molto affascinante. I capelli cortissimi e il viso pulito, senza neanche un filo di barba. Aveva grandi occhi scuri e labbra carnose, come Jeremy. Ma il suo sguardo era totalmente diverso.
Aveva la sensazione che fosse il più terribile dei predatori e il più passionale degli amanti. Uno di quelli che faceva urlare le sue donne di piacere e dolore allo stesso tempo.
– Perché mi guardi così zuccherino?
Zuccherino.
Rabbrividì nel sentire quel nomignolo. Lo stesso con cui l'aveva chiamata quell'altro vampiro la sera dell'aggressione mentre le stava sopra e cercava di legarle le mani.
Nadia gli lanciò l'altro pugnale ma questa volta Javier, con sua grande sorpresa, lo afferrò e glielo rimandò indietro. Non si aspettava un'azione simile e non riuscì a scansarsi abbastanza in fretta.
Il pugnale le sfiorò l'orecchio lasciando un piccolo graffio da cui iniziò a colare del sangue. Nadia riusciva a sentirlo mentre scorreva sul suo orecchio fino a raggiungere il lobo.
Lo sguardo di Javier cambiò e uno strano profumo iniziò a disperdersi nell'aria. I suoi occhi diventarono rossi e i canini cominciarono a scendere.
Quelle creature erano così veloci che Nadia non fece in tempo a recuperare il pugnare per difendersi. Javier si avventò su di lei con una forza tale da farla scivolare indietro.
Di nuovo la paura le raggelò il sangue ma, questa volta, non si limitò a dimenarsi e urlare. Questa volta doveva combattere.
Cercò di spingerlo via come poteva. Comincio a prenderlo a pugni e tento di bloccargli la testa ma era inutile. Lui era troppo forte e lei ancora troppo inesperta nel combattimento corpo a corpo.
Riuscì a divincolarsi e a dargli un calcio sul petto prima che lui stringesse di più la presa sulla sua gola. Il vampiro si rimise in piedi, visibilmente sorpreso per il colpo che le aveva appena sferrato Nadia.
Non era per nulla arrabbiato. Sorrideva, come se provasse gusto nel combattere.
Si avventò nuovamente su di Nadia ma, questa volta, lei non si fece cogliere alla sprovvista. Afferrò il pugnale che poco prima Javier le aveva scagliato contro e glielo conficco sul collo girandolo all'interno della carne.
Il vampiro urlò e inizio a contorcersi. Non sarebbe morto ma il ricordo del dolore che stava provando gli avrebbe fatto passare la voglia di attaccarla di nuovo in quel modo.
Cominciò a dire delle parole in una lingua che Nadia non conosceva, probabilmente si trattava di insulti.
Corse verso l'ufficio di Jeremy prima che Javier potesse riprendersi e si sentì sollevata quando trovò la porta aperta.
Rosemarine spalancò gli occhi quando la vide.
– Oh santo cielo – esclamò.
Nadia si guardò nello specchio posto dietro la compagna di Jeremy e pensò la stessa identica cosa.
Aveva dei graffi sulla guancia e sangue quasi asciutto sull'orecchio.
Rosemarine, che nel frattempo era andata a prendere delle garze e del disinfettante, la fece accomodare nell'ufficio di Jeremy.
Le medicò le ferite con delicatezza e si scusò con lei tutte le volte che la faceva trasalire.
– Jeremy non c'è?
Rosemarine, che non staccò gli occhi dal suo orecchio ferito, sospirò – Aveva delle cose da sbrigare all'Enclave.
– Enclave? – ripetè Nadia.
Rosemarine annuì – Il luogo in cui si trovano gli angeli.
Forse era lì che si trovava Miguel. Probabilmente erano anche insieme.
– Forse non dovrei dirtelo – Rosemarine la guardò negli occhi e Nadia fu colpita da come riuscisse a mantenere nascosta la sua vera natura – E' molto pericoloso...
– Chi ? Javier? – sorrise – Voleva solo farmi spaventare un po'.
Rosemarine scosse la testa – Parlavo di Miguel – disse gelida – Non immagini neanche di cosa sia capace.
No, non lo immaginava. Ma sapeva che in passato lo aveva visto uccidere Asos, il suo primo angelo protettore. Non ricordava benissimo come fosse successo, ma sapeva che era stato Miguel a giustiziarlo.
– Non mi farà del male.
– Ma ne farà a chiunque cercherà di fare del male a te.
E con quelle parole che le ronzavano nelle orecchie, Nadia si diresse nel suo monolocale.
Di Javier non c'era nessuna traccia ma adesso sapeva come fare ad avvertire la sua presenza: profumava di tabacco.
Quando si riguardò allo specchio, dopo la doccia, il sangue incrostato era del tutto sparito ma i segni sul suo volto no. Javier l'aveva graffiata su una guancia e le aveva lasciato dei lividi sul collo, nel punto in cui l'aveva afferrata.
Cercò di camuffare il tutto con un po' di trucco ma Matt la riempì ugualmente di domande quando la vide entrare nel locale.
– In genere chi cade dalle scale non si graffia la faccia – le aveva detto in tono sospettoso, ma lei lo aveva ignorato e aveva continuato a lavorare nonostante i dolori a braccia e gambe.
L'attacco di Javier era stato inaspettato e spaventoso, ma il fatto che fosse riuscita a difendersi la faceva sentire fiera di sé.
– Meglio se non prendi l'autobus stanotte – gli disse Matt mentre chiudeva la porta del locale.
– Ti dispiacerebbe accompagnarmi?
Lui sorrise e le fece segno di salire in auto.
Matt accese la radio e guidò piano fino a casa sua.
Una volta arrivati sotto casa, Matt spense la macchina e la guardò.
– Va tutto bene?
No, pensò. Ma si limitò ad annuire.
– Non scherzavo quando dicevo che avresti bisogno di qualcuno che si prenda cura di te.
– E io non scherzavo quando ti ho risposto che non ne ho bisogno – ribatté lei scocciata.
– A me non sembra – disse serio. Spostò lo sguardo davanti a sé – Sai cosa penso?
Non lo aveva mai visto così.
– Che cosa?
Matt sospirò e riportò gli occhi su di lei – Tu hai paura.
– Non capisco di cosa stai parlando...
Matthew rimase in silenzio per qualche silenzio – Non tutte le persone a cui vuoi bene vanno via Nadia – disse d'un tratto.
Non ne aveva mai parlato con lui. Erano amici, ma non erano così in confidenza.
Eppure lui aveva capito quanto fosse difficile per lei legarsi alle persone. Temeva che tutto potesse svanire nel nulla e, di conseguenza, non si affezionava mai. Non aveva mai avuto relazioni stabili, solo qualche perdita di tempo.
– Io potrei prendermi cura di te Nadia, devi solo permettermelo.
Le veniva da piangere. Sentiva le lacrime che stavano per fare scendere giù e quel bruciore allo stomaco che provava tutte le volte in cui tentava di ricacciarle indietro.
Prima che potesse rispondere a quella frase, Matt le prese delicatamente il volto tra le mani e la baciò.
Lei rimase immobile, colpita da quel gesto. Lui non aveva mai superato quella linea sottile che lei aveva creato tra sé stessa e la gente.
– Matt...
– Nadia io...
Un lampo squarciò il cielo e fece trasalire entrambi.
– Devo andare – disse piano. Gli mise una mano sul viso e lui arrossì – Grazie.
Non attese la sua risposta. Uscì di corsa dall'auto e si diresse nel portone di casa chiudendosi la porta alle spalle.
Il cuore le martellava nel petto ma non era sorpresa. Sapeva che Matt provava qualcosa per lei, lo aveva sempre sospettato.
Una ragazza normale sarebbe stata entusiasta di avere al suo fianco un ragazzo del genere. Matt era dolce, premuroso, protettivo. Ma non poteva proteggerla da quello che le stava succedendo, lo avrebbe solo messo in pericolo.
Sentì degli strani rumori provenire dal suo appartamento e pensò che probabilmente il vento aveva spalancato la finestra e la pioggia stava entrando dentro.
Aprì la porta e nonostante il buio notò qualcosa di strano. L'odore di tabacco aleggiava nell'aria. Ma non era solo quello. C'era qualche altro odore forte, metallico.
Accese la luce e le si gelò il sangue nelle vene.
Javier era seduto sulla sedia. La testa china davanti a sé in modo innaturale.
– Che cosa ci fai qua?
Javier ignorò la sua domanda e scosse la testa.
– Mi dispiace Nadia.
La sua voce era strana, strozzata.
Quando alzò la testa, Nadia capì il motivo.
Aveva un cappio stretto al collo. La corda era spessa e impregnata di sangue.
Non se lo era fatto da solo visto che le sue mani erano completamente dilaniate.
Si avvicinò e gli prese il viso tra le mani – Chi ti ha fatto questo?
Si, quella mattina lui l'aveva spaventata a morte. Ma nessuno meritava una tale sofferenza.
Cercò di slacciare le corde ma era impossibile a mani nude
– Mi dispiace! Mi dispiace! – continuava a urlare.
Sangue in quasi tutto il suo corpo.
– Non fa nulla Javier! Non mi hai fatto nulla.
Lui scosse la testa – Li ho portati qua da te.
– Chi hai portato qua?
La risposta la vide nello sguardo del vampiro.
Si voltò e vide uno di quei vampiri vestiti di nero.
Era molto esile. Se fosse stato davvero lui a ridurre Javier in quel modo lo aveva sicuramente stordito in qualche modo. Oppure aveva molti più anni di quelli che Nadia potesse mai immaginare.
– Ci rincontriamo.
Nadia riconobbe la sua voce – Tu sei..
– Quello che stava per spararti – finì lui la frase – Che peccato non esserci riuscito. Avrei ricevuto una bella ricompensa!
– Avete ucciso quella ragazza innocente!
Lui alzò le spalle – Piccoli incidenti di percorso.
Fece dei passi verso di lei. Era terrorizzata ma non poteva mostrarlo.
Si attorcigliò una ciocca dei suoi capelli tra le dita – Da vicino sei ancora più bella – disse sorridendo – Somigli molto a tua madre.

Una risata inquietante spezzò la quiete della sua casa.
- E'incantevole Annabelle!! Somiglia tanto a te.
- Non osare toccarla neanche con un dito!
L'uomo rise di nuovo.
- Marcus ti sarà davvero riconoscente quando gliela porterò al suo cospetto.
- No! – urlò sua madre – Scappa Nadine! Scappa.

La stretta del vampiro sul suo braccio la riportò al presente.
– Clark – disse guardando il vampiro che, per tutta risposta, sorrise.
– Stai ricordando bambolina. Questo mi fa piacere – strinse di più il braccio – Adesso vieni con me, prima che decida di fare a pezzetti il tuo amichetto.
Avevano attaccato Javier perché sapevano che lei lo avrebbe difeso.
Vampiro o meno, l'aveva salvata anche lui quella notte.
Nadine estrasse la pistola dalla tasca e sparò.
Non aveva mai sparato e quando sentì l'urlo del vampiro sentì una strana adrenalina scorrerle nel corpo.
– Pallottole di legno – disse tossendo – Molto astuta!
Di legno? Era sorpresa. Che cosa se ne faceva suo padre di una pistola con pallottole di legno.
Poi capì. Lui sapeva, sapeva che prima o poi si sarebbe trovata in pericolo. Gliel'aveva lasciata di proposito quella pistola.
Riprese a premere il grilletto. Voleva annientarlo.
Aveva fatto del male a lei, a sua madre, a Javier...
Mentre sparava lui rideva – Le tue pallottole stanno per finire bambolina!
E così fu. Premette il grilletto in modo convulso ma oramai la pistola era scarica e lei non aveva la più pallida idea di dove si trovassero le munizioni né se ce ne fossero.
Il vampiro si sollevò e si pulì le ginocchia.
– Adesso tocca a me.
E, con un balzo, si avventò su di lei.




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