CAPITOLO CINQUE

1.9K 100 2
                                    

Sentiva l'asfalto duro sotto di lei mentre l'altro, Bob, le stava legando piedi. Strinse il nodo così forte che ebbe la sensazione che le si stessero staccando i piedi.
Cercò di catturare quanti più dettagli possibili. Se fosse riuscita a uscirne viva, li avrebbe sicuramente fatti arrestare quei due!
Bob aveva dei lunghi capelli biondi legati in una coda. Un tatuaggio che raffigurava una luna nella guancia destra, proprio sotto l'occhio.
L'altro, di cui non aveva percepito il nome, aveva i capelli dello stesso colore ma erano molto più corti di quelli di Bob. Anche lui aveva lo stesso tatuaggio ma sul collo, proprio dietro l'orecchio. Era un posto un po' più discreto per nasconderlo. Non per niente lui gli sembrò più astuto dell'altro.
Avevano detto che il Padrone la voleva viva ma non riusciva a capire di cosa si trattasse.
Pensò che forse si trattava di quella setta che rapiva le ragazze ancora pure per venderle al mercato nero ma lei non era pura da un pezzo quindi non poteva essere quello il motivo.
Una volta finito di legarle i piedi, si trascinò su di lei e Nadia pensò che stesse per fare qualcosa di peggio.
– Tranquilla tesoro. Non sei il mio tipo.
Le afferrò i polsi per legarle le mani e in quel momento l'istinto di sopravvivenza le disse che era l'unico momento in cui poteva approfittare per fare qualcosa. Si diede uno slancio e con tutta la forza che aveva in corpo gli diede una testa.
– Cazzo! – imprecò Bob che, per tutta risposta, le mollo un ceffone così forte che le fischiarono le orecchie.
Svelta cercò di sciogliersi il nodo ma non fece in tempo. Bob era nuovamente su di lei e stava armeggiando con la corda per legare le mani.
Nadia scrutò il suo volto inumano: gli occhi rossi, i denti appuntiti e scintillanti.
– Che cosa sei?
L'uomo sorrise alla sua domanda un po' ingenua – Non ti è ancora chiaro?
– Muoviti Bob! Tutto quel sangue mi sta facendo impazzire! – disse l'altro.
– Non possiamo dare un piccolo assaggio? Il Padrone non se ne accorgerà nemmeno!
L'altro scosse la testa – Non possiamo toccarla.
Bob la guardò con quei suoi occhi disumani e famelici – Solo un assaggio – si chinò su di lei.
Nadia chiuse gli occhi. Non voleva guardare.
Ci fu un tonfo e il vampiro dietro di Bob cadde per terra esanime.
Bob scattò in piedi. Aveva lo sguardo intriso di paura e, quando Nadia si rotolò su un fianco per capire che cosa ci fosse alle sue spalle, capì perché quella creatura era così spaventata.
Davanti ai suoi occhi si scagliò l'immagine di una figura imponente. Un uomo altissimo con grandi ali blu stava fissando la creatura che l'aveva aggredita.
Non poteva vedere i suoi occhi ma sapeva che stavano emanando un'intensa luce dorata.
Era confusa. Non sapeva se ciò a cui stava assistendo fosse vero o se si trattasse di un'allucinazione.
– Da quando i Protettori interferiscono con gli umani? – disse Bob che, nel frattempo, aveva ripreso coraggio.
L'uomo alato rise e gli puntò gli occhi addosso.
– Neanche i vampiri dovrebbero aggredire gli umani. Non per niente abbiamo fatto un accordo millenni fa – disse con un tono che non lasciava trapelare nessuna emozione – Marcus non controlla più i suoi schiavi?
– Non sono uno schiavo! – rispose Bob con una punta di rabbia nella voce – E' stato lui a mandarmi – disse postando lo sguardo su di lei – Vuole la ragazza.
L'uomo alato non rispose. Poco dopo Bob cadde sulle ginocchia e iniziò a urlare tenendosi forte la testa.
Nadia strizzò gli occhi. Il dolore era sempre più forte e cominciava a sentire le goccioline fredde di sudore che le scivolavano dalla fronte.
Cercò di restare sveglia ma sapeva che il suo corpo la stava abbandonando. Stava perdendo molto sangue.
Sentì un tocco leggero sulla spalla e trasalì non appena incrociò altri occhi rossi.
– Non ti faccio nulla – disse quello piano – Voglio solo aiutarti.
Nadia lo guardò meglio: era il chitarrista della Band che, stranamente, stava ancora suonando dentro il locale.
Il ragazzo non le chiese il permesso di toccarla. Si strappo un pezzo della maglia e la legò intorno alla coscia.
Nadia urlò e lui si scusò per essere stato troppo brusco.
Nel frattempo il vampiri smise di urlare e dimenarsi e sul suo viso comparve una cicatrice profonda che somigliava più che altro a un marchio di fuoco.
– Maledetto! – urlò.
L'uomo alto fece qualche passo fino a raggiungere il vampiro.
– Questo è solo un avvertimento – disse in tono gelido – La prossima volta che qualcuno si avvicina alla ragazza non avrà la fortuna di poterlo raccontare – il bagliore intorno a lui si fece più intenso – Adesso andate via. Prima che vi faccia pentire il giorno in cui siete stati creati.
Bob caricò in spalla il vampiro svenuto e in un battito di ciglia scomparve.
La testa le pulsava e capì che il suo corpo la stava abbandonando nuovamente. Sto morendo, pensò.
L'uomo alato le si avvicinò e Nadia tentò di indietreggiare.
Aveva una paura pazzesca di quella creatura potentissima.
– Sta ferma Nadine. Altrimenti perderai altro sangue – le disse la creatura alata che, un secondo dopo, si chinò e appoggiò una mano sulla sua ferita.
Non protestò quando la toccò. La sua mano emanava un calore confortante ed ebbe la sensazione che la sua pelle si stesse rimarginando.
Cercò di scrutare il suo sguardo. Voleva capire se erano davvero del colore dell'oro quegli occhi.
Ma non fece in tempo.
Un attimo prima di svenire riuscì a incrociarlo quello sguardo dorato.
– Miguel – sussurrò.
Poi buio totale.

Miguel era scosso dal fatto che la ragazza avesse pronunciato il suo nome.
– Ti ha riconosciuto? – chiese Javier, come se stesse leggendo i suoi pensieri. Ma i vampiri non potevano sentire con gli angeli se questi ultimi non glielo permettevano.
– Non lo so – ammise. Alzò lo sguardo verso Javier – Grazie per aver fermato l'emorragia. Non credo che sarei riuscito a salvarla se...
– Ci saresti riuscito – disse Javier con un sorriso – Ci riesci sempre.
Quelle parole lo sollevarono ma non era esattamente convinto che fosse davvero così.
– Qualcuno la dentro ha notato qualcosa? – chiese al suo amico vampiro.
Javier scosse la testa – Ho fatto in modo che nessuno notasse nulla. Però mi chiedo come sia possibile che tu abbia lasciato che la tua protetta frequentasse un luogo simile. E' molto pericoloso.
Normalità. Era questa la parola che aveva pronunciato Jeremia. Nadia aveva bisogno di vivere una vita normale. Doveva frequentare i suoi coetanei umani, niente angeli né tanto meno vampiri.
– Comunque – aggiunse il vampiro senza aspettare la sua risposta – Se Marcus ha mandato qua i suoi uomini ci sarà un motivo.
Miguel guardò il corpo privo di sensi di Nadia. Aveva un'espressione beata, tutto merito del suo potere. Aveva fatto in modo che non sentisse più dolore ma la ferita c'era ancora e avrebbe lasciato una cicatrice.
Anche il viso sembrava essere stato colpito. La rabbia gli ribollì nelle vene quando capì che l'avevano colpita al volto.
– Scoprirò che cosa sta succedendo – disse infine – Tu sei...
– Disponibile al cento per cento – rispose il vampiro con un sorriso.
– E la band? – scherzò Miguel.
– Faranno a meno di me – rispose Javier stando allo scherzo – Preferisco impugnare una spada piuttosto che una chitarra elettrica.
Miguel sorrise e raccolse il corpo di Nadine. Era più leggera di quanto si aspettasse. I capelli le ricaddero indietro scoprendo la fronte imperlata di sudore. Doveva essersi spaventata a morte.
– Resta nei paraggi Javier – disse prima di librarsi in volo – Abbiamo una nuova missione.
Javier sorrise e fece un piccolo inchino per poi sparire nel buio.
Avrebbe avvertito l'Enclave il giorno successivo. In quel momento doveva portare la Protetta al sicuro.


Stava attraversando il giardino della zia Caliane correndo.
Suo padre era appena tornato a casa dopo una settimana di lavoro fuori città. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che mettere delle x sul calendario per segnare i giorni che erano passati in modo che l'arrivo del padre le sembrasse sempre più vicino. Aveva esasperato la zia per tutto il tempo, chiedendo in continuazione se suo padre avesse chiamato per parlare con lei.

Il profumo di sapone di casa le aveva invaso le narici quando lui l'aveva presa tra le braccia.
– Mi princesa – le aveva sussurrato il suo papà.
– Te extrañé, papá – gli aveva detto lei stringendolo forte.
Suo padre aveva origini portoricane e le aveva insegnato un po' di spagnolo.
Lui aveva stretta più forte per poi darle un bacio sui suoi folti ricci castani.
– Vieni, ti faccio conoscere un mio caro amico.
Lei non aveva fatto domande. Strinse la mano che lui le stava porgendo e si fece condurre nella grande casa in cui si era trasferita dopo che sua madre era svanita nel nulla.
Mai avrebbe immaginato di ritrovarsi davanti un'essere simile.
In un primo momento, spaventata, si nascose dietro suo padre.
– Non preoccuparti Nadine. Lui è nostro amico. Non ti farà del male.
Anche lei aveva avuto la sensazione che quell'uomo non le avrebbe fatto del male. Non erano come quelli che aveva visto davanti casa quando la mamma era andata via.
Si mise davanti a suo padre e ricambiò il sorriso dello strano uomo che aveva davanti.
Lui si inginocchiò e fece un piccolo inchino con la testa.
– Ciao Piccola Nadine. Il mio nome è Miguel.

The ProtectorsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora