CAPITOLO SETTE

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Quando l'angelo spiccò il volo, le vennero alla memoria una serie di immagini.
Piume blu e oro nelle sue piccole mani paffute.
– E' un regalo – le disse quel uomo altissimo che suo padre le aveva presentato qualche mese prima – So che le collezioni.
Un'altra immagine le passò per la mente.
Un bicchiere che cadeva per terra rompendosi in mille pezzi.
Le urla di sua madre che chiedeva aiuto e le diceva di nascondersi.
Grandi ali nere e occhi rossi.
Si rimise in piedi e andò in bagno a sciacquarsi il viso.
La testa stava iniziando a farle sempre più male.
Io sono Miguel – le aveva detto porgendogli la mano. Non appena l'aveva afferrata aveva capito che lui era come quegli uomini con le ali nere solo che Miguel le ali non ce le aveva. Era buono e profumava di vaniglia.
La stanza girava e quasi si sentì mancare il pavimento da sotto i piedi.
Scappa Nadine! Scappa!
E lì le aveva viste, le sue ali.
Erano cosparse di sangue ma erano comunque bellissime.
Scivolò per terra.
Stava sudando freddo, proprio come la notte precedente. Ma questa volta erano i suoi ricordi che le stavano facendo del male.
Deve dimenticare – disse una voce troppo familiare.
– Papà? – lo aveva chiamato con quel poco di voce che le era rimasta ma lui l'aveva sentita.
– Amore mio – le aveva detto facendole una carezza – Jeremia ci aiuterà a farti stare bene.
Jeremia si avvicinò e le sorrise. Aveva il viso buono – Ti va di parlare con me? – le aveva chiesto quando suo padre aveva lasciato la stanza – Ricordi che cosa è successo?
Lei aveva annuito e aveva iniziato a parlare.
Non erano più incubi, lei stava ricordando.
Era successo qualcosa nel suo passato, qualcosa che aveva dimenticato o che le avevano fatto dimenticare.
E Jeremy era l'unico che poteva aiutarla a rimettere insieme i pezzi.
Senza avvisarlo si precipitò di corsa nel suo ufficio prendendo un taxi che stava sicuramente finendo il turno.
Era ancora molto presto. Jeremy non lavorava mai a quell'ora ma non importava. Prima o poi sarebbe arrivato.
Salì le scale dell'edificio e, con sua grande sorpresa, lo trovò proprio lì.
Aveva un abbigliamento un po' troppo informale, come se qualcuno lo avesse buttato giù dal letto.
– Ti aspettavo – le disse. Non aveva il solito sorriso incoraggiante. I suoi occhi erano un po' cupi e la sua pelle sembrava più chiara del solito.
Lo guardò e in quel momento avrebbe voluto fargli tante domande ma non sapeva da dove iniziare.
Lui le fece cenno di entrare e chiuse la porta alle sue spalle.
Le fece un caffè e la fece accomodare nella sala in cui faceva le sue sedute.
– So perché sei venuta – disse lui spezzando il silenzio – Sicuramente sei in cerca di risposte e la tua mente ti avrà ricordato che sono io che posso dartele.
Non si stupì del fatto che Jeremy sapesse il motivo della sua visita improvvisa.
– Mi sono ricordata di alcune cose – fece una breve pausa – Ieri notte mi hanno aggredita dei...– ancora stentava a credere a quello che le era successo ma doveva dirlo, altrimenti non si sarebbe mai resa conto – Dei vampiri...
Jeremy non si scompose. Era seduto dietro la sua scrivania e la guardava fisso negli occhi.
Nadia continuò il suo racconto fino ad arrivare a quella mattina.
– Quando quella creatura si è alzata in volo mi sono venuti alla mente una serie di ricordi.
– Che genere di ricordi? – Era la prima cosa che diceva da quando lei aveva iniziato a parlare.
– Un uomo dai capelli scuri e il viso buono che mi regalava delle piume...
– Stai parlando di Miguel?
Nadia spalancò gli occhi e in quel momento capì – Tu lo conosci.
Non era una domanda ma una pura affermazione.
Jeremy annuì – E' stato lui a portarti da me.
– Ma io credevo che mio padre...
– Tuo padre ti ha accompagnata fisicamente ma è stato Miguel a contattarmi – sospirò e assunse una posizione un po' più rilassata – Eri molto piccola e quello che ti era successo ti aveva scosso così tanto che non riuscivi più a parlare. Miguel ed io avevamo lavorato insieme per qualche secolo ma poi io sono andato via. Ero stanco di... – una breve pausa – di determinate situazioni.
Cercava di usare le parole giuste ma probabilmente non c'era nessun modo giusto per dirle che cosa stava per dire.
Ignorando il fatto che Jeremy avesse pronunciato proprio la parola secoli, Nadia si concentrò sulla cosa più importante.
– Che cosa mi è successo Jeremy?
Jeremy le prese le mani – Quando sei venuta da me eri molto confusa. Non riuscivi a parlare. Abbiamo fatto grandi progressi in poco tempo. Sei sempre stata molto collaborativa – disse con un sorriso – Ma non mi hai mai detto che cosa ti era successo prima di venire qua – Aveva lo sguardo triste – Nessuno lo sa. Solo tu e le persone che erano insieme a te quella notte.
Ripensò a quello che aveva ricordato e altri pezzi si aggiunsero a quel puzzle confuso.
– Ricordo due uomini. Sono entrati in casa mia mentre papà non c'era e hanno portato via mia madre – lo ricordava così bene... come se fosse appena successo. Eppure perché per tutti quegli anni non aveva mai ricordato? – Uno mi conosceva – aggiunse – Aveva ali nere e gli occhi quasi trasparenti.
Lunghi capelli bianchi legati in una coda.
– Stai tranquilla tesoruccio. Io voglio proteggerti. È il mio lavoro.

– Quello era Asos – disse Jeremy riportandola al presente – Il tuo primo Protettore.
– Protettore?
Jeremia annuì – Ad alcuni umani vengono affidati dei Protettori. Sono degli Angeli che vegliano sulla vita degli umani più...
– Deboli?
– Speciali – la corresse – Tua madre era una figura importante di chissà quale organizzazione e l'Enclave decise che sarebbe stato opportuno affidarvi un Protettore, a te in particolare. Asos era bravo con i bambini quindi lo ritennero il più adatto.
– Che cosa è andato storto? – chiese Nadia intuendo che qualcosa era pur successo se Asos non era più il suo protettore.
– Questo non spetta a me raccontartelo – disse con voce severa – E forse sarebbe meglio che tu non cercassi di scavare a fondo...
– Credo di avere il diritto di scoprire che cosa mi è successo.
Jeremy restò in silenzio per attimi che a Nadia sembrarono infiniti
– I tuoi ricordi potrebbero spezzarti – disse d'un tratto – Oppure potrebbero aiutarti a capire perché quegli uomini volevano portarti dal loro Padrone.
Dunque era come pensava: tutto aveva un senso. Era tutto collegato.
Sua madre. Le ali nere di quegli angeli. E Miguel.
Quell'angelo spaventosamente potente che si era presentato nel suo appartamento quella mattina aveva il suo ruolo in tutta quella faccenda.
– Dov'è Miguel? – Qualcosa le diceva che era passato da lì dopo aver lasciato il suo appartamento. Riusciva a sentire il suo odore nell'aria.
Jeremy sorrise – Ti sta aspettando sul tetto.


Sentì i suoi passi leggeri sulle scale ma non si voltò. Attese che lei gli fosse vicino.
Poco dopo si mise al suo fianco. Lo sguardo fisso sulla città in movimento.
– Avresti potuto dirmelo – disse senza neanche guardarlo.
– Che sono il tuo Protettore? E a quale scopo?
– Non ti avrei puntato una pistola sulle tue magnifiche ali.
Aveva voglia di ridere. La situazione era più critica di quello che sembrava eppure lei sembrava stranamente rilassata.
– Qual è il piano? – chiese spostando lo sguardo su di lui.
Sapeva che incontrare quello sguardo gli avrebbe fatto male ma non poteva evitarlo per sempre.
– Partiremo stanotte. Ho già preparato...
– No – ringhiò lei – Green River è casa mia. Io da qua non mi muovo.
Quel tono. Come osava rivolgersi a lui in quel modo?
– Forse non hai bene in mente la situazione! – disse nel tono più calmo possibile – Qualcuno vuole farti del male e restando qua non farai altro che facilitargli le cose.
– E quindi la cosa migliore sarebbe scappare? – era una domanda retorica – Da qua non mi muovo. Che mi prendano! Non ho nulla da perdere qui!
Le afferrò un braccio – Senti ragazzina! C'è gente che implorerebbe di avere la possibilità di salvarsi e tu, che sei così fortunata da poterlo fare, ti metti a fare i capricci?
Si aspettava che lei crollasse per terra per il terrore, proprio come ogni mortale o immortale a cui aveva parlato con quel tono. E invece si liberò dalla sua presa e gli puntò addosso suoi grandi occhi color cioccolato.
– Ho detto che non scapperò!
Di fronte a quell'affronto, avrebbe dovuto punirla.
Rimase in silenzio sostenendo più che poteva lo sguardo di quella creatura complicata.
Annullò la distanza tra di loro. Gli si fece così vicino che quasi poteva sentire il suo respiro sul viso.
Erano passati un po' di anni dalla prima e ultima volta in cui si era ritrovato così vicino a lei.
– Vuoi che ti pedini giorno e notte?
Nei suoi occhi vide un po' di esitazione.
– Se questo vuol dire restare nella mia città e allora sì.
– Questo vuol dire che avrò accesso al tuo appartamento, al locale del tuo amico e a tutti i luoghi che frequenterai senza che tu possa opporti.
Non sembrava per nulla spaventata.
– A una sola condizione.
– Non puoi patteggiare Nadine.
Lei lo guardò con rabbia ma non fu sgarbata – Non puoi seguirmi da Jeremy.
– Affare fatto.
Non aveva mai pensato, neanche lontanamente, di seguirla durante i suoi incontri con Jeremia. Rispettava troppo la sua privacy .
La ragazza stava camminando verso le scale.
– Dove stai andando?
Lei si voltò – A lavoro – disse sorridendo – Devo pur guadagnarmi da vivere.
Avrebbe dovuto fermarla, dirle che non era opportuno che lavorasse quella sera considerando cosa era successo la notte precedente.
Aveva ancora lo zigomo un po' gonfio e violaceo e i suoi occhi erano velati da profonde occhiaie.
– Ci vediamo la – disse invece.
Si precipitò giù dal palazzo per poi risalire di colpo.
Sarebbe stata dura gestire la situazione restando in quella città ma se la sarebbero cavata.
Lei se la sarebbe cavata. 

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