CAPITOLO TREDICI

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La frenata brusca dell'autista la fece sobbalzare.
Stando a quanto segnava l'orologio sul display del suo cellulare, erano passate tre ore da quando si erano messi in viaggio.
Miguel le sfilò il cellulare dalle mani e lo distrusse.
– Ma sei pazzo?
Notò lo sguardo terrorizzato dell'autista. Infondo stava parlando con un angelo capace di tutto. Non aveva certo dimenticato il modo in cui aveva fatto precipitare nel vuoto quel vampiro.
– E' un modo per farti rintracciare più in fretta.
– Prima o poi mi troveranno. Lo hai detto tu stesso – ribatté lei.
Miguel sospirò. Si stava forse irritando?
– Scendi – le ordinò.
Avrebbe voluto ribattere anche su quel tono di voce ma preferiva restare viva ancora per un po'.
Quando scese dall'auto si ritrovò davanti a una reggia.
Una casa grande quanto tutto il quartiere in cui viveva divisa su più piani. Su ogni piano c'era un terrazzino. Le portefinestre erano altissime e i vetri erano oscurati.
– E' stata costruita per gli angeli – pensò ad alta voce.
– Per forza – rispose Miguel che nel frattempo aveva preso la sua borsa – Altrimenti come avrei fatto a entrarci?
Nadia lo guardò – Questa è casa tua.
Era già stata in quel luogo, ne era certa. Ricordava benissimo il largo viale costeggiato da alberi che portava nel grane portone di legno della villa.
– Della mia famiglia – la corresse lui – Ma oramai siamo rimasti solo io e Aodhan.
Un angelo dalle ali grigio scuro e i capelli neri all'indietro apparve sul vialetto e iniziò a camminare verso di loro.
Si stavano fissando e, quando lui ormai vicino le sorrise, Nadia si sentì un po' in imbarazzo.
– Benvenuta Nadine – disse con un leggero inchino – Il mio nome è Aodhan.
– Piacere di conoscerti – rispose lei con un sorrisetto.
In quel momento doveva sembrare sicuramente un'idiota ma gli angeli erano così belli che era impossibile resistere a tale bellezza.
Gli occhi di Aodhan erano di un azzurro intenso. Aveva labbra carnose, come quelle di Miguel. Sembrava molto giovane rispetto al suo Protettore, ma non troppo.
Anche Aodhan la stava osservando come se stesse cercando di cogliere ogni minimo dettaglio del suo viso.
Piegò la testa di lato e sorrise – Adesso capisco perché mio fratello è così ossessionato da te. Sei proprio bella.
Quel commento la mise un po' in imbarazzo, ma ci si sarebbe sentita anche se lui non le avesse appena fatto un complimento. Aveva uno sguardo penetrante ma non sembrava severo come quello di Miguel.
– Fratellastro – lo corresse Miguel – Adohan se non sbaglio hai degli umani da sorvegliare.
Adohan non staccò gli occhi da Nadia – Avremo modo di conoscerci – disse con un alzata di spalle e, senza aggiungere altro, salì in alto tra le nuvole. La tentazione di seguirlo con lo sguardo era fortissima ma Nadia riuscì a resistere.
– E' così esuberante – disse Miguel alzando gli occhi al cielo. Un gesto così umano che sembrava non gli si addicesse per niente.
– Perché tutti sono convinti che hai un ossessione nei miei confronti?
Miguel sembrava sorpreso da quella domanda e, come tutte le volte in cui non sapeva cosa dire, la ignorò.
– Entra in casa e scegliti una stanza – disse facendole segno di entrare – Possibilmente lontana da quella di Adohan.
Mentre Miguel prendeva le delle cose in auto, compresa la sua borsa, Nadia iniziò a percorrere quel viale tanto famigliare. Era strano, ma c'era molta familiarietà in quell'ambiente.
Entrando nella villa Nadia non rimase colpita dal fatto che non fosse particolarmente lussuosa. L'arredamento era semplice, molto modesto considerato gli individui che vi ci abitavano.
C'erano molti quadri appesi alle pareti. Alcuni moderni, altri un po' più antichi.
L'istinto le disse dove si trovavano le scale che portavano al piano superiore, quello in cui si trovavano le camere da letto.
La prima stanza era quella di Aodhan. C'era una targa appesa alla porta con sopra scritto il suo nome, probabilmente appesa molti anni prima a giudicare dalle condizioni.
Avrebbe potuto scegliere la prima stanza a caso ma qualcosa la spinse a camminare fino alla fine del corridoio per poi fermarsi davanti alla porta della penultima stanza a sinistra. La porta era socchiusa e Nadia la spinse piano e ci entrò osservandone ogni centimetro quadrato.
– Sono già stata qua – disse tra sé.
– Hai vissuto qua per un breve periodo.
Non sussultò quando sentì la voce di Miguel alle sue spalle, lo aveva sentito arrivare.
– Sono venuta dopo che hanno portato via mia madre.
– Si.
L'angelo si era fatto più vicino e adesso riusciva a vedere la sua ala sinistra riflessane nello specchio di fronte a lei.
– Ma sono entrata in questa stanza anche da grande.
Ricordava la sua figura esile riflessa in quello specchio. Miguel di fronte a lei che la guardava con quegli occhi dorati velati di tristezza.
– Ero venuta a parlare con te – Si voltò per guardarlo negli occhi – E' stato prima che mio padre...
Lo sguardo di Miguel era identico a quello del suo ricordo. Era la seconda volta in un giorno che le sembrava un po' più umano.
Miguel sapeva molte più cose di quanto Nadia pensasse ma fargli delle domande non era semplice. Era molto schivo, cercava sempre di non parlare del passato.
– Quindi questa è la tua stanza.
Era meglio deviare il discorso e concentrarsi su altro. Non era ancora il momento di parlare.
Le pareti della stanza erano chiare e non c'era nulla di particolarmente personale a parte un quadro. Era il ritratto di Miguel disegnato a matita.
– Un po' egocentrico – scherzò.
Lui non rise – Lo hai fatto tu.
Si avvicinò per scrutarlo più da vicino e notò le sue iniziali infondo al foglio insieme alla data.
– Avrò avuto circa quindi anni quando l'ho fatto.
– Sedici – la corresse lui.
Si voltò a guardarlo – Da quanto tempo ci conosciamo? – la domanda le venne spontanea.
– Vent'anni.
I conti tornavano. Si erano conosciuti dopo che sua madre era stata portata via, dopo che i vampiri e quell'angelo dalle ali nere era arrivato in casa sua.
Ricordava di essere stata in quella stanza, di aver dormito in quel letto. Di aver urlato ogni notte perché sognava e risognava quelle ali nere.
– Perché mi hai portato in casa tua?
– E' il posto più sicuro che conosco. Qui nessuno può trovarti.
– E allora perché prima mi hai detto che prima o poi mi prenderanno?
– Perché c'è la possibilità che accada.
Nadia era sull'orlo di una crisi di nervi. I ricordi stavano cominciando a ritornare nella sua mente e la stavano confondendo.
– Se prima o poi morirò che senso ha farmi nascondere?
– E' il mio lavoro. Sono il tuo Protettore e tu sei la mia Protetta.
– Solo lavoro? – Era una domanda che non era riuscita a tenere per sé.
– Non potrebbe essere altrimenti.
Quella risposta la ferì un po'. Lei gli aveva permesso di entrare in casa sua ogni notte e di sedersi in quella maledetta sedie a vegliarla. E anche in passato, nonostante non ricordasse molto, gli aveva permesso di stare al suo fianco, si era fidata di lui. E per cosa? Per sentirsi dire che era solo lavoro?
Uscì dalla stanza a grandi passi e si rifugiò nella stanza di fronte a quella di Aodhan ignorando il consiglio che gli aveva dato Miguel poco prima nel cortile.



Miguel sospirò per la frustrazione quando sentì Nadia che sbatteva la porta della sua nuova stanza dietro di sé.
Non sapeva com'era riuscito a sostenere quello sguardo. Non ci riusciva mai.
Per un momento aveva temuto che lei ricordasse l'ultimo giorno in cui si erano visti, lì, in quella stanza.
Sapeva di averla in qualche modo ferita dicendole in quel modo, ma non sapeva come comportarsi quando lei iniziava a fargli domande sul passato.
Quasi ogni giorno aveva pensato a quello che era successo quella notte di otto anni fa. Per un periodo se l'era anche presa con sé stesso e forse un po' era anche colpa sua.
Nadia lo aveva avvertito. Gli aveva detto che c'era qualcosa che non andava, che qualcuno stava spiando lei e suo padre. Gli aveva chiesto di fare delle indagini, di chiedere ai superiori di auitarlo.
E invece lui pensava che fosse la paura a farla parlare. Aveva paura che qualcuno le portasse via suo padre, come le avevano portato via la madre. E aveva ragione.
Quella notte l'aveva mandata a casa con uno dei suoi autisti e si era messo a letto per riposare un po'.
Poche ore dopo gli arrivò quella maledetta telefonata da Jeremia: Charles Blain era stato brutalmente assassinato. Era stata Nadia a trovarlo al suo ritorno.
Tutti pensavano che quella era stata l'ultima sera in cui Miguel aveva visto Nadia ma non era stato così.
Le aveva fatto visita dopo il funerale del padre. Lei lo aveva riempito di pugni sul petto accusandolo del fatto che fosse colpa sua, che se lui l'avesse ascoltata Charles non sarebbe morto. E aveva ragione.
Si era fatto colpire da quelle piccole mani strette a pugno così forte che le si erano conficcate le unghie nei palmi.
Gli era stato proposto di non vegliare più sulla ragazza perché stava per diventare una cosa troppo personale. Ma aveva rifiutato di lasciare il suo incarico.
Aveva fatto una promessa a Charles e l'avrebbe mantenuta a costo della sua stessa vita.
– E' davvero incantevole.
Aodhan entrò nella sua stanza lentamente. Era rientrato prima del previsto e a Miguel non serviva chiedere per capirne il motivo.
– Non infastidirla Aodhan.
– Sai benissimo che non obbedirò a nessuno dei tuoi ordini, fratello.
Incrociò lo sguardo cristallino del più giovane dei suoi fratelli – Potresti farle del male.
– Come gliene hai fatto tu?
Aodhan era davvero scontroso quando ci si metteva. Il suo scopo era quello di ferirlo, come lui lo aveva ferito quando aveva giustiziato Asos. Aodhan non gliel'avrebbe mai perdonata.
– Voglio scoprire che cos'ha di così speciale.
Miguel socchiuse gli occhi – Chi ti dice che lo sia?
Lui sorrise – Se non lo fosse non l'avresti portata qua di nuovo.
E se davvero fosse ossessionato da quella ragazza? Se avesse dovuto lasciare l'incarico quando glielo avevano proposto?
– Stai attento con lei Aodhan.
Aodhan uscì dalla stanza e gli diede le spalle.
Sapeva che avrebbe fatto di tutto per farsi notare dalla Protetta e questo era positivo. L'avrebbe vegliata nei momenti in cui lui si sarebbe dovuto allontanare e l'avrebbe protetta se qualcuno le si fosse mai avvicinato.
Uscì anche lui dalla sua stanza e si diresse nel suo ufficio. Era giunto il momento di pensare a un piano. 

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