CAPITOLO DODICI

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Nadia stava tentando di lottare con tutte le sue forze.
Se aveva pensato che Javier fosse molto forte, si sbagliava. La forza di Clark era cento volte superiore rispetto a quella del vampiro con cui aveva lottato quella stessa mattina.
A differenza di qualche settimana prima, però, Nadia non aveva paura. Aveva già affrontato un vampiro, sapeva quali erano i punti deboli. Il fatto di non avere armi non era positivo ma avrebbe fatto in modo di rimanere viva. O almeno ci avrebbe provato.
Dopo averla fatta cadere a terra facendole sbatterla testa, Clark attese che Nadia si rialzasse prima di sferrare un altro colpo.
Se era vero che il suo padrone la voleva viva, lui non l'avrebbe uccisa. Voleva solo giocare un po' e Nadia decise di assecondarla nonostante i muscoli doloranti e i lividi che si era procurata quella mattina.
Si giravano intorno come due cani che stavano per sbranarsi. Lui la stava studiando e lei stava tentando di fare la stessa cosa.
Con Javier era un po' più semplice. Aveva capito quali erano i suoi punti deboli. Clark non lo conosceva e, seppure sapeva quali fossero i punti vitali dei vampiri, ognuno di loro aveva il proprio tallone d'Achille.
Clark si stava per avventare nuovamente su di lei, ma si spostò abbastanza in tempo da farlo andare a sbattere contro il tavolino della cucina che, con il peso e la troppa velocità del vampiro, andò in frantumi.
– Javier ti ha addestrata bene! – esclamò il vampiro dopo essersi pulito il sudore dalla fronte.
Probabilmente la stavano osservando da tempo e avevano atteso il momento migliore per attaccarla.
– Se non vuoi uccidermi perché mi stai aggredendo? – chiese secca.
Lui rise – Lo sai che ci piace giocare. Il vecchio Javier te ne ha dato una dimostrazione questa mattina – Dondolava da una parte all'altra, come se volesse bilanciare il peso.
E Nadia capì dove doveva colpire.
Corse verso la cucina e Clark, da bravo cagnolino, la seguì. Si buttò per terra quando lui tentò nuovamente di afferrarla e prese un pezzo del tavolo andato in frantumi.
Glielo conficco nel fianco, all'altezza dei reni.
Il vampiro inarcò la schiena e, poco prima che potesse avventarsi nuovamente su di lei, i vetri della sua finestra si ridussero in mille pezzi.
Nadia alzò lo sguardo e sospirò sollevata.
Non era mai stata così felice di vederlo.

Aveva cercato di sentire Nadia per tutto il giorno ma ogni tentativo era stato vano. Così, quando per l'ennesima volta in quel giorno non riuscì a mettersi in contatto con la protetta, aveva deciso di raggiungerla nel suo appartamento.
Quando aveva sentito l'odore di sangue aleggiare vicino al palazzo di Nadine si era precipitato in picchiato dentro casa mandando in frantumi la porta finestra.
Il vampiro non ebbe neanche il tempo di voltarsi che subito lo mandò a sbattere contro una parete della cucina di Nadine.
La rabbia gli ribolliva nelle vene in modo pazzesco.
– Come hai osato introdurti nella casa della mia protetta? – gli urlò.
Il vampiro era diventato più pallido del solito e non riusciva a parlare.
– Marcus la vuole per se! – disse quasi tra le lacrime – E' lui che mi ha mandato fin qui!
– Perché la vuole?
Il vampiro scosse la testa – Dice che è speciale – posò lo sguardo alle sue spalle, probabilmente per guardare la ragazza – Speciale come sua madre.
Non capiva di che cosa stava parlando e da un lato non gli interessava neanche.
Clark non era il più importante tra i vampiri di Marcus. Era sotto contratto con lui da qualche decennio e aspirava ad arrivare ai piani alti. Ma questo non giustificava la sua azione.
– Avevo già avvertito i tuoi amici di stare alla larga dalla ragazza – disse facendosi più vicino.
Afferrò il vampiro per la gola e lo fece penzolare fuori dalla finestra.
– Ultime parole prima di morire?
Il vampiro stava annaspando. Gli mancava l'aria nei polmoni ma non sarebbe mai morto soffocato.
– Le tue ossessioni ti uccideranno – disse il vampiro con un fil di voce.
Anziché rispondere, Miguel mollò la presa sulla gola del vampiro e lo fece precipitare di sotto.
Non era solito farsi prendere la mano da gesti tanto crudeli. Nonostante le voci che circolavano in giro su di lui, era abbastanza clemente quando si trattava di punire un colpevole. Ma aveva avvertito gli uomini di Marcus ben due volte. Sapeva che Marcus non aveva nessun interesse per la vita dei suoi adepti e che avrebbe mandato qualcuno a cercare Nadia.
Sentiva lo sguardo bruciante della ragazza sulla sua schiena.
Prese il cellulare e chiamò Jeremia.
– Vieni a prendere tuo fratello.
Chiuse la chiamata prima ancora di udire la risposta di Jeremia che, di lì a poco si sarebbe precipitato nell'appartamento. O in quello che ne restava.
La stanza era completamente sottosopra. Mobili danneggiati,tende strappate, i vetri della portafinestra sul pavimento.
Si voltò verso Nadine e quando incrociò il suo sguardo, con gran sorpresa, non vide nessuna traccia né di paura né di rabbia.
Aveva appena ucciso un altro uomo davanti ai suoi occhi, eppure lei non lo stava guardando nello stesso modo in cui lo aveva guardato anni prima.
Jeremia entrò senza neanche bussare e caricò il fratello in spalla.
– Si rimetterà – gli disse Miguel.
Jeremia sospirò – Lo spero tanto – e andò via.
Nadia, nel frattempo, stava cercando di mettere a posto quello che restava della casa che tanto amava.
Quando ebbe la conferma che Jeremia era abbastanza vicina da non poterli sentire, si avvicinò alla sua protetta.
– Nadia...
– Lasciami in pace – gli urlò lei – Lasciatemi tutti in pace!
Era furiosa, ed era anche colpa sua.
– Non avrei dovuto lasciarti sola.
La sentì tirare su col naso.
– Marcus mi sta distruggendo la vita – disse quasi in un sussurro – Prima mia madre. Poi mio padre. Ha fatto uccidere una ragazza solo perché mi somigliava. Ha fatto torturare Javier. Mi ha fatto distruggere la casa – Si asciugò le lacrime con il dorso della maglia e si voltò a guardarlo – Se davvero fossi speciale come dice, non metterebbe in pericolo la vita degli altri. Mi prenderebbe e basta!
– Non è così che funziona...
– E come funziona Miguel? – lo incalzò lei – Quante altre persone devono soffrire prima che lui mi prenda?
Gli puntava addosso quegli occhi e lui non sapeva assolutamente che cosa dire. Non sapeva come consolarla, non sapeva dargli nessuna spiegazione perché neanche lui ne aveva.
Era andato fino all'Enclave per parlare con i Superiori e capire che cosa stava succedendo. Non solo questi non sapevano nulla ma li avevano anche presi per pazzi quando lui e Jeremia avevano esposto le vicende delle settimane precedenti.
C'era una sola cosa da fare.
– Dobbiamo andare via da qua – Per il momento era meglio ignorare le mille domande della ragazza – Prepara le tue cose e saluta i tuoi cari.
Si avvicinò alla portafinestra che aveva distrutto.
– Fai in fretta. Gli uomini di Marcus stanno iniziando a cercare Clark e ci metteranno poco a risalire a te.
Si lanciò nel vuoto e risalì in cielo.
Poteva aspettare, aiutarla a sistemare le sue cose. Ma non voleva. Aveva bisogno di riprendersi da quello che aveva appena fatto. Era un immortale molto antico ma uccidere non faceva per lui.


Crollò sulle ginocchia pianse per quelle che le sembrarono ore.
Dopodiché raccolse quel poco che era rimasto della sua vita in quella casa e lo mise in un borsone.
Per quanto inizialmente si fosse opposta ad abbandonare la sua città, era davvero molto pericoloso rimanere a Green River.
La prima persona a cui fece visita fu Jack.
Di Miguel non c'era alcuna traccia, non la stava seguendo.
La pioggia stava continuando a scendere prepotente e quando bussò alla porta di Jack era bagnata fradicia.
Fu proprio lui ad aprirle la porta e, da come la guardò, ebbe l'impressione che la stesse aspettando.
– Sei un po' sciupata Nadine! – le disse sua moglie.
Sorrise – Sono solo stanca.
Mentre Marguerite le faceva un mucchio di domande, Jack se ne stava seduto su una sedia della cucina con lo sguardo perso. Era un atteggiamento piuttosto insolito. Era un uomo di pochissime parole, ma non con lei.
Salutò Marguerite e si avviò verso l'uscita con Jack che l'accompagnava.
Quando arrivarono alla fine del vialetto Jack l'attirò a se in abbraccio.
– Sei in buone mani – le disse piano all'orecchio.
Nadia ebbe un sussulto – Tu sai...
Jack annuì e strinse l'abbraccio. Le baciò la testa. Un gesto molto paterno.
– Ci vediamo presto – le disse.
Quando si staccarono, Nadia notò i suoi occhi lucidi.
Quella frase l'aveva detto a se stesso, come se lui si volesse convincere del fatto che si sarebbero rivisiti. Sapeva anche lui che era ricercata da gente pericolosa, che c'era il rischio che avrebbe fatto la stessa fine dei suoi genitori.
Quel pensiero le tirò così giù di morale che non riuscì a mascherare il suo stato d'animo quando andò dalla seconda persona più importante della sua vita.
Matt le andò incontro e le sorrise timidamente ma il suo sorriso si spense immediatamente quando gli fu abbastanza vicino da notare i suoi occhi lucidi.
– Che succede? – poi lo sguardo si spostò sul suo borsone – Stai partendo?
Nadia annuì. Sentiva nuovamente le lacrime che stavano per fare capolino nei suoi occhi.
– Devo lasciare la città per un po' – riuscì a dire.
Matt aggrottò la fronte – Se è per ieri sera.. Io...
– No – disse mettendogli una mano sul petto – E' molto più difficile di quello che credi Matt...
Lui scrutò i suoi occhi. Probabilmente avrebbe preferito avere delle spiegazioni ma non fece altre domande.
– Quando pensi di tornare?
Nadia scosse lo sguardo – Non lo so.
Non poteva dirgli che quella poteva essere l'ultima volta che si vedevano, ma poteva fare in modo che lui la ricordasse
Spostò la mano dal suo petto al suo viso e mettendosi leggermente sulle punte gli diede un leggero bacio sulle labbra.
Sentì le lacrime scendere sul suo viso ma non se ne vergognò.
– Abbi cura di te Matthew.
Lui annuì e gli passò una mano sulla guancia per acchiappare una lacrima che le stava rigando il viso.
Uscì dal locale senza aggiungere altro.
Vide Miguel dall'altro lato della strada e lo raggiunse.
Sapeva che Matt la stava guardando e sapeva che lui non poteva vedere Miguel.
– Fai in modo che nessuno gli faccia del male.
Miguel la guardò perplesso ma poi annuì – Manderò qualcuno a vegliare su di lui.
Salì su una grande auto nera insieme all'angelo.
– E adesso che succede?
Miguel non mostrava la benché minima emozione.
– Starai al sicuro fino a che...
– Fino a che?
La guardò con quei suoi occhi disumani e bellissimi – Fino a che non capiranno dove ti ho portata. 

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