La dolcezza di una bambina

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Quando Caleb si svegliò, una decina di minuti dopo Samantha, la ragazza aveva raccolto abbastanza motivi per odiarlo, così quando lui alzò la testa dal letto trovò due occhi di ghiaccio a guardarlo.
«Che ci fai qui? Tra poco arriverà Jason, è meglio per te che non ti trovi qui» disse fredda Samantha.
«Buongiorno anche a te little fighter» la salutò lui ignorandola ed esibendosi in uno sbadiglio.

Lei sospirò irritata.
«Non ti hanno insegnato a metterti la mano davanti quando sbadigli?» commentò acida, ma quasi subito se ne pentì. Stupida, Caleb era cresciuto in un orfanotrofio e non aveva mai conosciuto i suoi genitori. Certo, non aveva intenzione di essere gentile con lui, ma quello era un argomento da non toccare anche per lui. Lo sapeva perché lo aveva provato sulla sua pelle.

Caleb restò un attimo in silenzio e il suo sguardo si rabbuiò, per un attimo Samantha credette che si sarebbe arrabbiato.
Ma durò solo un istante, poi ritornò il ragazzo spavaldo che era.
«No, in realtà no» disse semplicemente «Come ti senti?» aggiunse poi.

Samantha lo guardò di sottecchi cercando di capire cosa gli passasse per la testa e a che gioco stesse giocando.

«Sei serio?» chiese.
«Puoi non fare la dura? È colpa mia se sei su questo letto, dimmi almeno come stai no?» sbuffò lui.
Samantha aprì la bocca per rispondergli a tono, ma Caleb la precedette.
«Sì lo so, per te non sono più niente vero? Solo per quella storia di tuo fratello e Brandon» disse con voce annoiata.

La ragazza lo guardò furente ed incredula.
«Solo?!» disse «Mi sa che abbiamo concezioni diverse di cosa sia grave o no qui»
«Sì ma ho forse fatto qualcosa a te?» le disse lui.

Samantha lo guardava sempre più incredula, cercando di capire se stesse scherzando o no.

«Se fai del male a mio fratello o ad una persono a cui tengo, fai del male a me» gli disse guardandolo negli occhi «Ma evidentemente non mi conosci abbastanza da capirlo»
Sapeva di averlo colpito nel profondo, perché erano sempre stati molto legati e si conoscevano perfettamente a vicenda.

Infatti Caleb sbuffò distogliendo lo sguardo.
«Ma perché diavolo sono venuto qui...» bisbigliò mentre si alzava dalla sedia.
«Esatto, perché sei qui Cohen?» gli disse la ragazza incrociando le braccia.
«Perché pensavo che... niente, lascia stare» ci rinunciò lui, sapendo che qualsiasi cosa avesse detto, Samantha gli sarebbe stata contro.
«No, adesso mi dai una valida motivazione che spieghi perché sei ancora qui quando ti ho chiaramente detto di sparire dalla mia vita» disse Samantha, ma mentre pronunciava quelle parole la ragazza sentì una sensazione strano dentro di se, che non seppe definire meglio.

«A che scopo? Tanto mi saresti comunque contro» disse lui mettendosi il cappello e dirigendosi verso la porta.
«Non ti azzardare ad uscire!» lo fermò però lei «Voglio una risposta» aggiunse, ed era vero, perché voleva capire una volta per tutte cosa diavolo voleva da lei.

Caleb si fermò con la mano appoggiata alla maniglia della porta.
«Niente, mi sentivo solo in colpa per averti fatto finire in un letto di ospedale» disse lui aprendo la porta.
Samantha sapeva che non era la vera motivazione, o almeno che non era tutta la motivazione, ma lo lasciò uscire.

~~~~~

E Samantha aveva ragione, perché la verità non era quella, ma Caleb aveva preferito tenerla per se e uscire.
Cos'avrebbe dovuto dirle, "pensavo che forse tra noi due poteva tornare tutto come prima e che poteva ancora esserci qualcosa"?
L'avrebbe ricoperto di insulti parlando di "tradimenti" e di "famiglia", come al solito.
Magari ci avrebbe riprovato più avanti, chi lo sa.
Ma a cosa stava pensando? Da quando gli importava di poter essere di nuovo considerato importante da quella ragazza?
Sicuramente erano i sensi di colpa del momento per quell'incidente.
Poi quella sensazione sarebbe passata.

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