QUATTRO

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Sabato mattina mi svegliai con un peso sullo stomaco.

Rimasi qualche minuto ferma ad osservare il soffitto bianco sopra alla mia testa. In quella tela inespressiva, riuscivo a intravedere il mio probabile/quasi certo futuro. Sola, senza Anna, senza Fabio. Dispersa in quella che sarebbe stata la mia fine.

Lentamente mi alzai dal letto e mi infilai i primi jeans che trovai nell'armadio, abbinandoli ad una semplicissima maglia nera e a delle Adidas dello stesso colore. Mi raccolsi i capelli in una coda alta e mi truccai leggermente il volto. Dopo aver indossato la mia collanina portafortuna, inforcai gli occhiali e raggiunsi mia madre, già pronta sulla porta.

«Vedrai che la nuova scuola ti piacerà tantissimo!», esclamò emozionata, come se non si rendesse conto che per me quel giorno era più simile ad un funerale che al giorno di Natale.

Il viaggio non durò molto, ma l'ansia che cresceva dentro di me, aumentava mano a mano che i chilometri si accorciavano. Mi sentivo soffocare da tutta quella frenesia che si stava impossessando di mia madre. Non fece altro che parlare per tutto il tragitto di come stava bene assieme al suo nuovo compagno, mentre la sola cosa che avevo voglia di fare era addormentarmi di botto. Mi concentrai sulla canzone dei Maroon 5 che stavano trasmettendo alla radio. Alzai il volume di Girls Like You per cercare un po' di pace in tutto quel casino che era diventata la mia vita. Per fortuna mia madre sembrò cogliere l'antifona e mi lasciò stare per il resto del viaggio.

La macchina si fermò proprio davanti ad un complesso abbastanza grande, sul quale era scritto IIS Enrico De Nicola. Ero arrivata: la mia nuova scuola, il mio carcere.

Dopo aver parcheggiato, varcai la cancellata marrone e raggiunsi l'ingresso, costituito da enormi vetrate spesse. Appena misi piede sul marmo chiaro, sentii come un brivido corrermi lungo la schiena. Mia madre chiese informazioni alla Segreteria. Fummo spedite in presidenza dove la mamma parlò attentamente con la vicepreside. La donna dall'aria molto cordiale, mi rivolse un sorriso a trentadue denti.

«Vedrai Camilla che il prossimo anno ti troverai magnificamente qui da noi», mi rassicurò, o almeno tentò di farlo.

Annuii anche perché non sapevo che altro avrei dovuto fare.

Qualcuno bussò alla porta. «Mi scusi prof, ha chiamato?», domandò una ragazza piccolina coi capelli neri e gli occhiali tondi. Sarà stata alta un metro e cinquantasette ed era davvero magrolina.

«Si Susanna, entra pure», disse la vicepreside. «Lei è Susanna Belloni, una delle nostre tutor più qualificate», disse presentandocela. «Susanna, lei è Camilla. Dal prossimo anno sarà una studentessa della nostra scuola, puoi farle vedere l'istituto?»

Susanna annuì. «Certo, seguimi pure», disse indicando la porta con la testa.

Salutai la vicepreside e mia madre e seguii la mia guida.

Susanna era davvero minuta, più la osservavo più mi convincevo della cosa. Indossava un paio di leggins neri che sottolineavano le sue gambe magre e una tshirt a righe bianca e rosa.

«Allora, direi di iniziare dall'aula multimediale», disse facendomi strada.

Varcammo una porta al di là della quale una classe stava tenendo una lezione. «Non ti preoccupare, è del tutto normale di questi tempi. Di solito vengono i ragazzini delle medie agli open day, come mai non sei venuta prima?», mi bisbigliò per non farsi sentire dagli alunni intenti a guardare Orgoglio e Pregiudizio in lingua originale.

Mi strinsi nelle spalle. «Diciamo che ho saputo solo recentemente che i prossimi due anni non li avrei trascorsi nella mia vecchia scuola», ammisi con un po' di rammarico.

Susanna si sistemò gli occhiali sul setto nasale. «Oh, mi dispiace molto. Si capisce che non sei proprio felice della cosa», mi rassicurò e io le feci un sorriso tirato.

«Già, puoi dirlo forte.»

Susanna mi portò a visitare diverse aule, come quella di Informatica, il laboratorio di Scienze e l'aula di Plastiche.

«Dunque, calcolando che fai Figurativo ti manca da visitare l'aula di disegno dal vero», m'informò. «Poi abbiamo la palestra e l'auditorium.»

Annuii ad ogni sua parola. «Tu che cosa frequenti?»

Lei tenne lo sguardo fisso davanti. «Geometra.»

Aggrottai la fronte. «Come mai conosci così bene le aule delle mie lezioni?»

Spostò lo sguardo sul mio. «Sono una tutor. È ovvio che sappia dove siano le aule», mi fece notare. «Inoltre molti dei ragazzi di Architettura sono dei miei allievi.»

«Come mai proprio Geometra?», chiesi curiosa. Susanna mi sembrava il tipo di persona con la quale fosse facile fare amicizia. Era spontanea e sincera e a dirla tutta, mi piaceva parecchio.

«Perché ho sempre trovato affascinante realizzare le cose e non solo concepirle, credo che rendere vero qualcosa sia molto più gratificante del progettarlo», mi rivelò con occhi sognanti e io rimasi affascinata da quel suo discorso.

Arrivammo davanti ad una porta rossa. Susanna bussò e una voce femminile ci disse di accomodarci.

«Mi scusi prof Cirillo, c'è qui una studentessa che vorrebbe vedere l'aula», mormorò Susanna.

Entrai in quella che scoprii essere la 3F ovvero la mia futura classe.

Iniziai a scrutare il viso di ogni compagno senza riuscire a vedere nessuno che mi ricordasse Matteo Rossi. Filippo sarebbe dovuto essere in questa classe. Notai una ragazza dalla pelle perfetta che indossava un sandalo con il tacco. Rimasi stupita da quella mise. Chi cavolo se ne andava in giro conciato così a sedici anni? In una scuola, poi? Spostai gli occhi su una coppia di fidanzatini che si passavano biglietti d'amore, ad una di compagni di banco che ascoltavano la musica dallo stesso Ipod.

«Ciao, tu sei?», mi domandò la prof tendendomi la mano. Era alta e magra, coi capelli biondi corti a caschetto e gli occhiali tondi che le davano un'aria più matura nonostante la sua giovane età. Avrà avuto si e no trent'anni.

«Salve, mi chiamo Camilla Brambilla e dal prossimo anno studierò qui», mi presentai porgendole la mano.

«Bene Camilla. Questa è la classe di Pittoriche. Non farti spaventare da queste belve dei tuoi futuri compagni. Mancano pochi giorni alla fine della scuola e ognuno di loro è convinto di poter fare quel cavolo che gli pare», disse alzando sempre di più la voce. «Ehi, ragazzi!», riprese l'aula, la quale si zittì solo dopo che la prof aveva lasciato cadere pesantemente un volume sulla cattedra. «Grazie. Dicevo che lei è Camilla Brambilla e dal prossimo anno sarà...», stava dicendo quando la porta alle mie spalle si aprì e comparve un ragazzo. Era alto, dal fisico slanciato. I suoi capelli castano scuri gli ricadevano sulla fronte e i suoi occhi azzurri si intrecciarono ai miei.

«Oh qual buon vento signor Rossi, ha deciso di farci compagnia?», lo riprese la professoressa.

Signor Rossi? Quello era Filippo Rossi? Il mio fratellastro? No doveva esserci sicuramente un errore. Mi voltai verso Susanna e la vidi farsi piccola piccola. Non potevo certo darle torto. Chi poteva resistere ad un tipo del genere?

Filippo si rivolse alla prof. «Non si scaldi, ero solo a pisciare», sorrise. Mi fissò per un istante, rivolgendomi un flebile: «Ciao.»

Feci un sorriso tirato, ricambiando il saluto.

«Complimenti per il lessico signor Rossi, mi ricorderò di farlo presente alla prof Tamilia», lo schernì riferendosi probabilmente alla docente di Lettere. «Come stavo dicendo, Camilla sarà la vostra futura compagna di corso, il prossimo anno», concluse la professoressa e io spostai lo sguardo su Filippo. I suoi occhi erano seri e mi stavano scrutando attentamente mentre un sorriso sghembo era disegnato sul suo volto. Non sapevo il perché ma la sensazione che mi davano i suoi occhi non avrebbe portato a nulla di buono.

VIENI CON ME (1-The Rossi's Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora