VENTISETTE

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Erano passate ormai tre settimane dal mio compleanno. Ogni mattina, quando scendevo a far colazione, aprivo la credenza, fissavo la tazza bianca e le facevo la linguaccia. Poi afferravo la mia rosa, quelle grigie dei gemelli e la beige di Cesare. Facevo il caffè nel microonde e poi lo servivo a ciascuno di loro.

 Stranamente quella mattina anche mia madre si era alzata presto per aggregarsi a noi. «Buongiorno ragazzi!», ci salutò entrando di corsa in cucina.

«Buongiorno Francy», la salutarono in coro.

 La mamma si avvicinò a me, dandomi un bacio sulla fronte. «Ciao tesoro.»

«Ciao mamma, come mai già in piedi?», domandai afferrando una brioche alla ciliegia.

 Mamma afferrò un bicchiere di latte e lo bevve d'un fiato. «Oggi devo essere al lavoro prima, devo sostituire una mia collega quindi... mi devo muovere o farò tardi!», esclamò tutta agitata. Mia madre non era fan delle prime ore. Solitamente iniziava a lavorare dalla terza ora. Beata lei...

Ci salutò tutti chiedendoci cosa volessimo per cena.

Arrivati a scuola, scesi dall'auto di Cesare sorridendo. Se ripensavo a tutte le storie che facevo prima all'idea di stare assieme a lui, nella sua macchina, mi vergognavo un po'.

 Non era più successo nulla tra di noi. Dopo la doccia che avevamo fatto assieme qualche settimana prima, ci eravamo comportati da bravissimi fratello e sorella. Cesare mi aveva chiesto di non prenderlo in giro, di non giocare coi suoi sentimenti e io mi ero comportata di conseguenza.

L'amicizia tra me e Filippo cresceva sempre di più. Ormai eravamo compagni di banco in classe, lavoravamo sempre in gruppo assieme e a ginnastica eravamo la coppia perfetta. Quando Monica, una nostra compagna di classe si avvicinò a me, sapevo già dove volesse andare a parare. «Ma quindi tu e Filippo state insieme? Siete inseparabili!», s'informò.

Scossi la testa sistemandomi meglio lo zaino sulle spalle. «No, tranquilla è tutto tuo!», esclamai dandole una pacca sulla spalla.

Certo volevo gran bene al mio "fratellino" ma non avrei mai ceduto al suo costante corteggiamento platonico, nemmeno se fossimo stati in una differente situazione. Visto con quale frequenza cambiava partner probabilmente avrei dovuto fare l'esame del sangue almeno una volta al mese.

Camminai per i corridoi verso l'aula tutor.

 «Ehi Cami!», mi gridò qualcuno e, voltandomi, vidi Ottavio avvicinarsi a me.

«Ehi ciao! Come mai da queste parti? Non dirmi che devi recuperare qualcosa», lo supplicai fissandolo negli occhi e notando il suo sorrisetto colpevole, alzai gli occhi al cielo.

«Si, devi sapere che la matematica mi fa proprio schifo», dichiarò.

«In tal caso non sono sicura che Architettura sia stata la scelta migliore per te», gli feci notare. Ottavio mi fissò come se non sapesse di cosa stessi parlando.

Alzai gli occhi al cielo. «Lasciamo perdere», mi rassegnai. «Ti serviva qualcosa?», chiesi posando i libri di testo sul tavolo di legno scuro nell'aula tutor.

«A dire il vero sì», rispose lui grattandosi la nuca. Con la mano gli feci segno di sedersi accanto a me e così fece. «Volevo sapere se questo weekend dopo la partita/festa Cecilia potrebbe dormire a casa vostra.»

Sbattei gli occhi. «Beh, ma certo. Non dovevi nemmeno chiederlo. Certo che può stare da noi. Tanto ho un letto bello grande e in due ci stiamo comodamente», confermai. «Posso chiederti come mai mi hai chiesto una cosa del genere?», domandai super curiosa.

VIENI CON ME (1-The Rossi's Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora