DIECI

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Quando quella mattina aprii gli occhi, mi resi conto che era iniziata. Era il mio primo giorno di scuola all'Istituto De Nicola.

La mia sveglia continuava a suonare imperterrita e, allungando la mano sinistra la spensi. Mi stiracchiai nel letto e mi alzai sbadigliando. Misi i piedi sul pavimento fresco e mi diressi verso la cabina armadio.

Erano passati quattro giorni dal mio trasferimento e ogni mattino mi svegliavo domandandomi come prima cosa, dove fossi. Poi, come se fosse il trailer di una puntata precedente, rivivevo tutta la scena fino alla mattina in questione.

Cosa avrei dovuto indossare?

Fissai l'orologio rendendomi conto che erano le sei del mattino. Mi voltai verso la finestra dalla quale si intravedeva la luce dell'alba che lottava contro la notte.

Sorrisi e accesi la luce per poter osservare al meglio i miei indumenti.

Indecisa sul da farsi afferrai l'accappatoio e mi fiondai in bagno.

La casa dormiva ancora, eccetto la sottoscritta. Il bagno più vicino era in fondo al corridoio e lo raggiunsi saltellando sulle dita dei piedi.

Dal momento che le stanze dei gemelli si trovavano dall'altro lato del corridoio e che quella di mia madre e Matteo al piano superiore ero più che tranquilla di non disturbare nessuno. Mi chiusi la porta alle spalle e mi intrufolai nella doccia. Il bagno era sulle tonalità del grigio, con una doccia enorme, aperta, con una parte in vetro e l'altra fatta a specchio. Salii sul gradino e mi crogiolai sotto il getto dell'acqua calda. Adoravo farmi la doccia di prima mattina. Era come se le ansie e gli incubi notturni scivolassero nello scarico assieme allo shampoo in eccesso.

Mi insaponai i capelli con il balsamo e spensi l'acqua aspettando qualche minuto prima di risciacquarli. Chiusi gli occhi, sedendomi sul muretto piastrellato dietro di me. Il vapore che mi circondava era talmente caldo che per un attimo non mi resi conto di ciò che stava succedendo.

Quando sentii il rumore di un lavandino mi bloccai. Sbirciai dalla parete a specchio e notai Cesare Rossi con addosso un semplice paio di pantaloncini che si stava lavando i denti.

Che cazzo ci faceva già sveglio? I miei occhi si buttarono famelici su quel poco di pelle che riuscivo ad intravedere dalla parete di specchio e dal vapore che mi circondava. Fissavo i muscoli delle braccia muoversi in base allo spazzolino e gli addominali, contrarsi ogni volta che sputava il dentifricio.

Accidenti...

Dopo essersi sciacquato la bocca ed essersi asciugato la faccia, si era girato ed era uscito dal bagno. Non si era accorto di me, probabilmente stava ancora dormendo per rendersi conto di qualunque cosa.

Riaprii l'acqua e mi sciacquai i capelli dal balsamo. Mi allacciai l'asciugamano attorno al seno e ne misi uno sui capelli bagnati. Lentamente aprii la porta del bagno, controllando che non ci fosse nessuno prima di rifugiarmi nuovamente in camera mia.

Cesare stava uscendo dalla sua stanza, indossando una tuta con il cappuccio ben calato sulla fronte. Chissà cosa stava facendo?

Quando sparì, corsi in camera. Appena chiusi la porta sospirai. C'ero riuscita. Per la miseria, quel deficiente mi aveva quasi vista nuda! Aprii l'armadio e mi rifugiai all'interno. Alla fine optai per un paio di jeans chiari a vita alta e una tshirt bianca. Indossai delle scarpe da ginnastica color cammello e mi truccai gli occhi di marrone. Dopo essermi asciugata i capelli lisci e averli raccolti in una coda alta, inforcai gli occhiali e scesi per fare colazione. In quel momento, notando Cesare di ritorno dalla sua passeggiata con il Golden retriver, decisi di versare il caffè in un'altra tazza.

Quando varcò l'ingresso della cucina, trovandomi seduta al bancone mentre sorseggiavo la bevanda, si bloccò a fissarmi.

«Cosa ci fai già sveglia?», domandò brusco, sorpassandomi.

Mi accigliai. «Oh, buongiorno Camilla, hai visto che splendida giornata oggi? Ti sei alzata presto. Speriamo che il tuo primo giorno di scuola sarà fantastico», lo canzonai e lui mi guardò storto. Alzai gli occhi al cielo. «Per tua informazione quando vado a scuola mi sveglio sempre così presto.»

Si limitò ad annuire e si sedette accanto a me, afferrando la tazza bollente che gli avevo preparato. Ne mandò giù una sorsata, stringendo gli occhi per il tepore caldo che emanava.

«Oh, figurati, non devi ringraziarmi», lo ripresi gentilmente.

I suoi occhi incrociarono i miei.

«Buongiorno», ci salutò Filippo sbadigliando e ci raggiunse. Si sedette al mio fianco e bevve dalla mia Mug.

«Ehi!», esclamai indignata.

«Beh, che c'è? Stai bevendo dalla mia tazza», mi disse e solo allora, dopo averla osservata bene mi resi conto che stavo bevendo dalla Mug grigia scura con la scritta COFFEE. Sbattei gli occhi, imbarazzata.

«Scusami, non ci avevo fatto caso», mormorai a disagio. Mi alzai e presi un'altra tazza tutta bianca. «Questa va bene?», chiesi e tutti e due annuirono in silenzio.

Okay, potevo farcela.

Alessandro ci raggiunse a sua volta. «Buongiorno», ci salutò stiracchiandosi i muscoli tonici.

«'Giorno, vuoi una tazza di caffè?», domandai con un sorriso e lui, confuso, annuì.

Ed eccoli lì, i miei fratelli, i Rossi. Tutti al tavolo attorno a me e nessuno che mi prendeva in considerazione. Era come se per loro non esistessi, il che era anche peggio dell'odio. Sorrisi amaramente quando i miei occhi si scagliarono sulla tazza che tenevo tra le dita. Era bianca, senza scritte. Del tutto anonima.

Le loro invece... ognuna di loro aveva la scritta COFFEE. Quella di Filippo era grigia scura, quella di Ale color ghiaccio, mentre quella di Cesare era beige. Mi ricordava il colore dei mobili della mia stanza da letto e vederlo portarsela alle labbra, mi provocò un brivido lungo il corpo.

«Quindi come ci organizziamo?», chiese Filippo al fratello.

«Non lo so, lo devi chiedere a Cesare», mormorò il gemello.

Il maggiore posò la tazza sul bancone della cucina. «Io vado a prendere Ottavio e Cecilia, immagino che ci vedremo direttamente a scuola», disse fissando i fratelli.

Alessandro si strinse nelle spalle. «Io vado in moto a prendere Regina, tu Fili?»

«Io mi sa che mi farò dare uno strappo dal nostro fratellone, tanto un posto ce l'ha!», sorrise.

Cesare lo fissò intensamente. Non sapevo cosa si stessero dicendo ma non m'importava. Non avevo alcuna intenzione di passare altro tempo con loro, motivo per cui mi ero studiata l'intero itinerario che mi avrebbe portato a scuola. Avevo visto i pullman, gli orari migliori, i cambi necessari e se fossi uscita da casa entro venti minuti sarei arrivata addirittura in anticipo a scuola.

Dal momento che non avevo chiesto nessun passaggio e che nessuno di loro me ne aveva offerto uno, mi alzai dallo sgabello. Posai la tazza bianca nel lavandino e mi avviai verso le scale. Mi lavai i denti e dopo aver preso lo zaino uscii nuovamente di casa. I miei fratelli non c'erano più, probabilmente stavano finendo di prepararsi. Mi resi conto di non aver preso una bottiglietta d'acqua, così rientrai. Raggiunsi il frigorifero e proprio in quel momento, il mio sguardo scivolò nel lavandino. Le tazze dei miei fratelli erano l'una accanto all'altra, esattamente dalla parte opposta della mia. Mandai giù il boccone amaro che era diventata la mia esistenza. In quel preciso istante, trovavo più similitudini con quella tazza che con il resto del mondo, perché come lei mi sentivo anonima e messa all'angolo.


VIENI CON ME (1-The Rossi's Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora