DICIOTTO

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A metà ottobre, le foglie ingiallite ricoprivano già le strade. Io e Filippo eravamo seduti vicino sul pullman mentre il traffico di macchine non sembrava volesse diminuire.

«Cazzo, non so come farò a fare la verifica di matematica oggi, non ho capito niente», si lamentò stringendosi nella sua giacca di pelle.

«Se vuoi puoi copiare da me», mormorai e i suoi occhi si sbarrarono speranzosi.

«Dici davvero? Sarebbe una figata!», esclamò vittorioso. «Sicura che non ti da fastidio?»

Scossi la testa. «No, quando frequentavo l'altra scuola anche la mia amica Anna era sempre in difficoltà e la maggior parte delle sue verifiche le ha copiate da me», confidai.

Filippo scoppiò a ridere come un pazzo. «Chi l'avrebbe mai detto che sotto sotto eri una pecora nera, proprio come me!»

«Perche ti definisci una pecora nera?»

Filippo era gentile e simpatico. Si, conoscendolo meglio avevo anche scoperto che era un puttaniere di prima categoria dal momento che cambiava ragazza come se fosse aria, ma non era certo uno che si potesse definire pericoloso.

I suoi occhi mi fissarono, mentre la sua mano sfiorò la mia. «Non ti sei mai chiesta perché faccio figurativo?»

Annuii. «Ammetto di essermelo chiesto il primo giorno che tuo padre mi ha parlato di voi.»

«Ho scelto quell'indirizzo perché non volevo che la mia famiglia potesse controllarmi. L'ha già fatto fin troppo spesso e per una volta volevo poter scegliere io. Sai anche Cesare adora dipingere, lui però... ha preferito non trasgredire.»

«Davvero Cesare dipinge? Non l'ho mai visto», rivelai e Filippo fece un sorriso malinconico.

«Sono tre anni che non tocca più una tela. Era una cosa che faceva assieme a mamma. Da quando lei è morta, credo che abbia smesso del tutto», mi rivelò lasciandomi senza parole.

Spostai lo sguardo sul traffico e mi persi nell'immagine del sole pallido che lentamente sovrastava sulle case.

Io e Cesare non parlavamo da parecchie settimane. Esattamente dalla festa di Ottavio. Tutte le mattine facevamo colazione assieme in perfetto silenzio.

Mi andava bene così. Forse per noi era meglio.

Salutai mio fratello e raggiunsi Susanna.

«Ehi, ciao», la salutai e lei mi sorrise timida.

«Ciao Cami, come stai?»

Mi strinsi nelle spalle. «Così. Sei sparita, tutto bene?»

Susanna annuì. «Si, è solo che sono stata molto impegnata con le lezioni, ma se vuoi magari oggi ci vediamo all'intervallo», propose ed io annuii entusiasta.


Al termine della verifica di matematica, Filippo mi sollevò in aria euforico. «Sei assolutamente la migliore!»

Scoppiai a ridere. «Non è vero, sei tu che sei una capra!»

Filippo si finse indignato dalla cosa e mise un finto broncio.

Quando raggiungemmo la classe di pittoriche, Regina fece la sua entrata. «Mi scusi prof Cirillo, ma la vicepreside vorrebbe vedere Camilla Brambilla», mentì e la mia insegnante mi fece segno di seguire la rappresentante d'Istituto.

Seguii mia cugina per i corridoi deserti della scuola fino al bagno delle ragazze.

«Cosa credi di fare?», domandai scorbutica.

VIENI CON ME (1-The Rossi's Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora