CAPITOLO VENTIDUESIMO-Felicità

241 20 53
                                    

A scuola mi domandarono cosa volessi essere da grande. Io scrissi “essere felice”. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io risposi che loro non avevano capito la vita.

«Tutto ciò è inquietante» commentò Phineas, quando la porta della sala si chiuse da sola alle loro spalle.
«Nah. A me mette adrenalina» confessò Gladys, guardandosi intorno con un sorriso soddisfatto.
«Sono d'accordo con lei» confermò Credence, guardando la ragazza.
«Ancora statue?!» fece il Legilimens, ignorando entrambi e sgranando gli occhi.
«A quanto pare sì» rispose la ragazza, ridacchiando.
«Questo ha proprio un bel muso» commentò l'Obscuriale, avvicinandosi a una statua parecchio alta, dai capelli ricci e il fisico muscoloso. In spalla aveva un arco e una faretra.
«Ci puoi contare, amico» replicò la statua, facendogli l'occhiolino e ammiccando a Gladys.
«Ehm…» balbettò Phineas, guardando in giro come se stesse cercando un'uscita alternativa.
«Oh, sta' zitto, Crinierafolta!» lo riprese Credence «Comincia a piacermi, questo posto. Guarda!».
Indicò il viso della statua ormai animata, come se volesse completare la frase con “Lui sorride!”.
«La tua prova è semplice, amico» spiegò quello che evidentemente era la statua di Apollo, con un sorriso che sarebbe potuto partire da un orecchio e finire all'altro «Dovrai comporre due poesie!».
Credence si girò di nuovo verso gli amici e Phineas lesse i suoi pensieri:
“Sentito? Ho una prova!”.
«Mi lasci carta bianca, eh?» domandò l'Obscuriale ad Apollo.
«No. Dovrai comporre due poesie su di me. Una in rima e un haiku. Dovranno passare sotto il mio giudizio» rispose lui. Phineas avrebbe potuto giurare di aver visto dei denti bianchi e lucenti nel sorriso di quella statua.
«Com'è?» gli sussurrò Gladys.
«A scrivere? Tremendo. Non sa nemmeno cosa sia, un haiku» mormorò lui.
«Rassicurante» commentò la ragazza, sospirando.
«Sono prontis-» iniziò Credence.
«No che non lo sei!» lo fermarono i due in coro, ma Apollo aveva già allargato ancora di più il suo sorriso da modello.
«Via!».
Phineas spalancò la bocca sentendo Credence iniziare a parlare quasi subito:
«Apollo, Apollo,
hai il sorriso di un pol-».
«NO!» urlò il Legilimens, mentre Gladys soffocava una risatina.
«Deve passare sotto la sua approvazione!» gli fece notare la ragazza.
«Cavoli» commentò Credence «Non restate nemmeno un po'meravigliati vedendomi così acculturato da sapere che siamo davanti a una statua di Apollo?».
«È scritto sul piedistallo…» mormorò lei, scuotendo la testa.
«Finiscila di distrarti e concentrati!» lo riprese Phineas, in tono accusatorio.
«Va bene, va bene. Dunque… Apollo, eh?
Oh Apollo, oh Apollo,
bello fin dentro il midollo,
al chiar di luna mi hai baciato
e il tuo sole m'hai abbagliato.
Ora andrò dentro il tuo tempio
e seguirò sempre il tuo esempio».
«Impossibile» commentò Phineas «Deve esserselo preparato prima».
Credence si girò con una mano sul petto e l'espressione sconcertata:
«Hai così poca fiducia in me, Crinierafolta!» esclamò, drammaticamente.
Gladys alzò gli occhi al soffitto, ridendo.
«Armonioso!» tuonò Apollo, battendo le mani.
«Che esagerato…» sussurrò Gladys.
«E ora vai con l'haiku, amico!» continuò la statua, ammiccando.
Credence sbadigliò:
«Apollo divo,
Insegnami a suonare
E cantare» canticchiò.
«Sempre più stupito?» chiese Gladys, scuotendo il braccio di Phineas.
«Sbagliato!» ruggì Apollo, il sorriso sempre più finto.
«Cosa? Ma Gimina… Nagini mi aveva spiegato…» balbettò Credence, impallidendo.
«Chi diavolo è Nagischifo?» domandò la ragazza.
«Lunga storia» si affrettò a rispondere il Legilimens.
«L'ultimo verso è di quattro sillabe: e-can-ta-re. Dovevano essere CINQUE!» ringhiò, mentre la sala si ricopriva di una fitta nebbia scura.

Credence tossì:
«Ma andiamo! Era soltanto una sillaba!».
Quando, però, riuscì a riaprire gli occhi, rimase come di ghiaccio: la statua non c'era più. La sala non c'era più. Era tutto nero. Era morto? Era l'Inferno? O stava soltanto per incontrare anche la statua di Ade? Ridusse gli occhi a fessure, per cercare di vedere qualcosa. C'erano… c'erano due figure scure. Sembravano un uomo e una donna. Stavano avanzando verso di lui. Quando furono abbastanza vicini perché potesse riconoscerli, trasalì: non aveva mai scordato il sogno che lo aveva perseguitato per anni.
La donna era Mary Lou Barebone. Avanzava con aria maligna stringendo la sua solita cintura in mano.
L'uomo, invece, era Henry Shaw Jr, ghignante, con la mazza da baseball che suo fratello aveva preso in mano quel giorno alla redazione. Diamine, erano passati cinque anni.
Per un attimo restò tranquillo: quando si sogna, ci si sveglia. Si ricordò solo dopo, a causa di una questione di abitudine, che quello non era un incubo. Non si sarebbe mai svegliato, perché era la realtà. Un momento… non era nemmeno quella! Quei due erano morti per mano sua, e aveva imparato con gli anni che nemmeno la magia porta indietro le persone dalla morte. Doveva reagire. Doveva controllarli. Si concentrò, racimolando tutti i brutti ricordi che aveva con entrambi.
Tieni, strambo, gettalo nella spazzatura. È quello il vostro posto.
Prese un respiro e strinse i pugni.
Non sono la tua mamma. Tua madre era contro natura. Una donna malvagia.
Strinse i pugni ancora più forte.
Toglitela.
Urlò. Avvertì uno strappo all'ombelico e iniziò a girare per quel luogo nero sotto forma di Obscurus. Questa volta non avrebbe dovuto porgere alcuna rosa al pubblico. Questa volta si sarebbe sfogato, avrebbe affrontato ciò che doveva.
Il buio sparì e, lentamente, Credence tornò normale, respirando profondamente. La sala era completamente intatta. Persino Apollo era tornato al suo posto, fermo, immobile, come ogni altra statua. C'era solo un biglietto ai suoi piedi. Era molto breve:
Non sorridere mai per finta. Le persone tristi hanno sempre i sorrisi migliori.
Paul
Credence non si porse domande. Si girò soltanto verso Gladys e, con lo sguardo a terra, le chiese:
«Ti ho spaventata, vero?».
Lei rise:
«Perché avresti dovuto?» domandò.
«Sono un mostro orribile» mormorò lui, fissando una delle piastrelle.
«No» sentenziò la ragazza, avvicinandosi a lui «No, non lo sei. Hai idea di cosa voglia dire controllare una forza del genere?».
«Forse» sospirò lui, asciugandosi una lacrima.
Lei rise di nuovo, accarezzandogli la guancia:
«Il tuo potere non ti rende terribile. Non sei un mostro. D'accordo?».
«D'accordo» rispose lui, premendo le labbra contro le sue.

~My space~
Newtina
Jakweenie✓
Adrelody
Credys✓
Ci siamo quasi? Ci siamo quasi.
Ecco la domanda di Giuseppetritto9!
In quali personaggi ti rispecchi di più, oltre a Melody?
Duuunque
Inizio chiarendo una cosa: probabilmente avete frainteso ciò che ho detto in Preoccupati e soffri due volte. Avevo scritto che, se avessi dovuto scegliere un cast, avrei preferito interpretare io Melody, perché è un personaggio che, per essere interpretato, ha bisogno di essere conosciuto alla perfezione. Con questo non volevo assolutamente dire che siamo la stessa persona. Mi ritrovo moltissimo in lei, ma ha molte qualità che mi piacerebbe avere. È, per me, come un esempio. Ma non siamo assolutamente la stessa persona. Non fatevi ingannare dal mio nome utente: registrandomi su Wattpad non trovavo nome che mi piacesse che qualcuno non avesse già preso (infatti mi firmo Camy) e, siccome Melody “già esisteva” ho scelto di chiamarmi così. Spero di essere stata chiara.
Dunque, a parte in lei, mi ritrovo tantissimo in Tina, Newt, Katie e Sebastian.
Beh, in Tina mi ci sono sempre ritrovata, perciò non c'è nemmeno bisogno di spiegare.
Mi ritrovo in Newt perché sono leale con le persone a cui tengo e… vabbè, anche un altro motivo troppo lungo per essere spiegato.
In Katie e Sebastian perché entrambi pensano prima di agire.
E ora *rullo di tamburi* LA DEDICA DELLA FANTASTICA MARIACHIARAAAAAAAA!

“CAMY TESOROOOO” ormai è diventata un'abitudine (guardate la mia bacheca per capire il disagio).
Camy❤🎶

Sei uno di noi oraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora