CAPITOLO VENTISETTESIMO-Ribellione

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Chi combatte rischia di perdere, chi non combatte ha già perso.
Bertolt Brecht

«Quindi manco solo io?» chiese Gladys, incredibilmente tranquilla.
«Sembrerebbe così» rispose Phineas, forse ancora rintronato da ciò che aveva visto.
«Sei forte» disse Credence «Ce la farai senza problemi».
«Lo so» sorrise lei.
Il fatto era che non avrebbe mai rinunciato a farsi sembrare forte e imbattibile: certe volte, cercava di darlo a vedere così intensamente che finiva col crederci davvero.
Ma una paura la aveva eccome, e se ne vergognava da sempre: le pareva una paura talmente stupida e infantile che non ne aveva mai parlato nemmeno con Katie, sebbene avesse qualche sospetto, dato che quando tiravano fuori inevitabilmente l'argomento, la Corvonero si sistemava gli occhiali, agitata, e cercava di cambiare discorso.
Sperò che la nebbia riuscisse ad offuscare la vista di tutti, al contrario di come era successo con Phineas: aveva visto lo specchio e la donna, ma non aveva capito perché fosse tanto adirato.
«Vuoi provare? Se non vuoi, possiamo riportarti indietro, all'entrata» commentò Credence, premuroso, probabilmente notando un'ombra sul volto della ragazza.
«Certo che no!» ribatté immediatamente lei, scuotendo la testa, indignata, guardandolo come se avesse appena ucciso un cucciolo di Snaso.
«Scusa, allora. Sei coraggiosa, lo so» mormorò lui, annuendo e arretrando.
Strano che fossero così seri, due Furfanti.

Gladys si girò verso le statue. Non si abbandonò al destino, ma scelse quella di un uomo altissimo, il più robusto fra tutte le altre nella sala: era vestito come un soldato greco, con un elmo piumato, e teneva in mano uno scudo.
La ragazza aveva sempre avuto un certo debole per il dio della guerra, Ares, dato che le era sempre risultato un uomo audace e, a volte, vanitoso. Un tipo schietto, con la testa sulle spalle e senza peli sulla lingua. E, in quella statua, era ritratto veramente bene.
«Salve, ragazzina» cominciò Ares. Aveva una voce parecchio bassa, da basso, e teneva gli occhi ridotti a fessure, scrutando Gladys davanti a sé.
«In realtà» lo corresse «Ho ventun anni, ma continui pure a darmi della ragazzina».
«Sarcasmo» commentò lui «Lo apprezzo molto. Come mai mi hai scelto?».
«Perché mi ritrovo in Ares» rispose semplicemente.
All'inizio aveva avuto intenzione di replicare “Perché mi ritrovo in lei”, ma quel tipo si stava già dando fin troppe arie per essere comparato a una divinità greca.
«Molto bene» continuò la statua, con una punta di delusione nella voce: aveva colpito nel segno «Perciò sei anche coraggiosa».
«Sì» ribatté. Non voleva dilungarsi, dal momento che sapeva ciò che sarebbe successo.
«Allora dovresti essere pronta».

La solita nebbia scura riempì tutto, forte come uno schiaffo o un'onda particolarmente violenta.
Gladys si chiese come mai Credence avesse avuto l'opportunità di superare la prova e avesse avuto solo dopo uno sbaglio la sua penitenza. Pensò che fosse dovuto al fatto che Apollo volesse giocare un po'con lui, prima di mostrargli la vera prova. Si domandò se non fosse successo qualcosa del genere anche all'altra parte del gruppo.
«Gladys!» fece una voce.
La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e lo cercò di focalizzare qualcosa, sebbene avesse riconosciuto quel tono per nulla amichevole.
«Padre» disse, cercando di mantenere la calma.
Riuscì a distinguere la sua sagoma nell'oscurità, e gli si avvicinò. L'uomo la avvolse in un abbraccio.
Era successo poche volte, e quella volta una scossa percorse la schiena della ragazza, come se suo padre le volesse dire qualcosa di molto importante.
«Ho sentito che sei via. Ti avevo detto di non lasciarti coinvolgere da quegli strambi!» tuonò lui, sciogliendo quasi immediatamente l'abbraccio e assumendo un'espressione minacciosa.
«Non sono strambi, padre» rispose lei, sperando di non lasciar trasparire la rabbia che le ribolliva dentro come lava che tentava di uscire da un vulcano «E avevano bisogno di me».
«Torna a casa immediatamente, Gladys Elizabeth Bennett» comandò irremovibile il padre.
«No» ribatté lei «Fammi finire questa missione».
«Devi sposarti, Gladys, con l'uomo che ami» disse il padre, con un tono leggermente più dolce, come se volesse promuovere una sua creazione.
Lei arrossì:
«Come fai a sapere che lo amo?» chiese, con il cuore a mille.
«Stiamo organizzando il matrimonio da mesi, figliuola. Sono contento che ami Adrian Hills, dal momento che la cerimonia sarà tra tre giorni».
«Con Adrian? Tra tre giorni?!» domandò, incredula e spaventata.
L'uomo strinse la mascella e Gladys arretrò di un passo: non avrebbe mai smesso di vergognarsi di avere paura del suo stesso padre.
«Farai bene a presentarti» continuò il padre «E a muoverti anche per avere dei bambini».
Tutta la rabbia che la ragazza aveva sentito fino a quel momento esplose.
Si avvicinò al padre, furiosa, e, guardandolo negli occhi, sentenziò:
«Non sarò la tua bella bomboniera da esporre alla gente. Non mi venderai a qualcuno che non amo. Non sposerò Adrian Hills».

Il padre non rispose. Si limitò a guardare sua figlia, come se cercasse di capire le motivazioni di tanta ira, e il suo viso si rilassò. Si avvicinò lentamente a lei, sollevando la mano.
Gladys chiuse gli occhi aspettandosi una carezza, ma il dolore arrivò veloce come un lampo, e lei fu costretta a cadere a terra.
«Di' ancora una cosa simile e non verrai riconosciuta come mia figlia!» urlò lui, mentre lei portava una mano alla guancia.
Quello schiaffo era stato lacerante. Sentiva la gota in fiamme e la vista era diventata sfuocata.
«Sposati e potrai vivere tranquillamente. Non presentarti, e non tornerai più a casa e provvederò alla scomparsa di quei tuoi amici strambi. Sono stato chiaro?».
Avrebbe voluto rispondere “L'unica cosa chiara che vedrai sarà un pugno sul naso” o ancora “Prova a dirlo di nuovo e vedrai come non sarò più tua figlia”, ma mormorò soltanto:
«Cristallino, padre».
La nebbia si dissolse, e lei chiuse gli occhi, senza smettere di toccare la guancia, come nella speranza di farla guarire passandoci sopra le dita.
Non era stata una visione: suo padre era stato veramente lì, e le aveva annunciato la notizia che meno avrebbe voluto sentire in quel momento.
Sentì un tocco sull'altra mano: erano le dita di Credence che la stringevano. Sorrideva, come per rassicurarla: non aveva visto nulla, allora.
Lei, invece, non riuscì a muovere un singolo muscolo facciale.
«Il mio biglietto» sussurrò.
Phineas accorse alla statua di Ares e prese un pezzo di carta. Lo lesse ad alta voce. Diceva semplicemente:
«Che la tua ribellione abbia inizio»

~My space~
And so voilà this capitolo!
Mi sento very very Skender, oggi. Comunque, ecco a voi degli altri editi che WAAAAAAAAAAAAAAAAAH QUANTO SBAVO (by Giuseppetritto9 always)

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Io boh, complimenti! (Credo di averli messi tutti-)Manca una prova sola, my friends!Camy❤🎶

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Io boh, complimenti! (Credo di averli messi tutti-)
Manca una prova sola, my friends!
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