It's never too late
Kathleen's p.o.v
E' davvero bello non sentirsi soli.
So che con Gween posso sempre lasciarmi andare, essere me stessa e basta.
E' per questo che subito dopo aver salutato Alexander mi sono catapultata da Gweendoline a raccontarle tutto.
Lei mi ha ascoltata, mi ha consigliato ed io poi mi sono sentita in colpa perchè lo vedo il suo sguardo tormentato.
Non sono per niente una brava persona.
Così ho cercato di intavolare la sua situazione con lei e anche se eravamo tese come due corde di violino, lei poi ha cominciato a parlare parlare e ancora parlare, facendo fuoriuscire un mare di parole, preoccupazioni e paure.
«Quindi adesso che si fa?» chiedo a Gween, impaziente di conoscere il suo piano, lei ne ha sempre uno, di piano, è studiata. L'ammiro molto. Lei non si pone queste piccole peripezie come ostacoli, anzi lei prende e risolve, così in un attimo.
Lei si sistema la maglietta e mi guarda di sfuggita mentre tenta di mettere apposto il casino nella sua stanza «Anche se sono molto spaventata credo che stavolta non ci sia niente da fare. E' mio figlio e di sicuro lo terrò. Non mi interessa cosa Garreth vuole.» mi risponde, molto pacata e controllata.
Del resto lei è sempre stata così. Agisce in silenzio, senza chiedere aiuto a nessuno, ne andrebbe del suo orgoglio. Eppure, sotto sotto, vedo che sta cercando un minimo di solidarietà da parte mia, cosa che ovviamente gli darò, altrimenti non mi considererei più una 'migliore amica', questo per quanto io odi le etichette.
«Lo sai che su di me puoi contare,vero Gweendoline?» la trascino sul suo letto, accanto a me «E smettila di sistemare che mi fai venire l'ansia!» la butto sul ridere, mentre lei mi rivolge un sorrisino sincero e si accomoda vicino a me.
«Lo so che posso sempre contare su di te KeyKey. Il problema è che non ne ho bisogno, sul serio. So cosa devo fare, ho già deciso.» dichiara lei, mentre mi accarezza la cicatrice sul ginocchio scoperto.
La guardo nostalgica, la cicatrice, e «Te la ricordi come me la sono fatta?» domando guardando quegli occhi adesso scuri, forse per la tristezza, forse per la rabbia.
«Come potrei dimenticarmene? Mi facevi venire gli infarti già da piccola!» scoppiamo a ridere mentre la mia mente va diretta sull'avvenimento accaduto all'incirca cinque, sei anni prima.
«Oh no Kath! La palla sta scendendo a valle!» urlò la bambina dalle trecce buffe, ma pur sempre bellissima e pia. Presi un bel respiro e la tranquillizzai «Tranquilla Gweenny, adesso vado io a prenderla.»
Lei mi guardò spalancando gli occhi e la bocca contemporaneamente «Ma sei impazzita! Lo sai che se scendi giù è pericoloso, per non contare poi il terreno scivoloso, gli animali selvaggi e cosa importantissima i burroni coperti dalle foglie secche dell'autunno-» provò a farmi ragionare, ma i miei piedi avevano già preso rotta verso la discesa, divisa solamente da una staccionata rovinata.
«Che vuoi che sia G, non voglio che i tuoi genitori se la prendano di nuovo con te per un altro pallone perso. Tu fai così, da qui al mio ritorno conta fino a centottanta, tre minuti, vedrai che alla fine, se non prima sarò già di ritorno.» le promisi, cominciando a scendere - con attenzione - verso la direzione della palla, captando già i numeri espressi ad alta voce dalla mia amica.
Attentamente, evitando rovi ed ogni simile schifezza che avrebbe potuto uccidermi, mi avvicinai al pallone e lo recuperai senza tante difficoltà.
Solamente quando mi voltai per tornare da dove ero venuta, il mio piede magicamente si incastrò in mezzo a dei rami secchi, essi poggiati a sua volta su delle pietre appuntite, facendomi cadere su di esse e facendomi un male cane, degno di una cicatrice grossa e profonda.
Digrignai i denti e «Porca miseria» mi uscì solamente, ero ancora troppo casta e pura per farmi sfuggire dalla mia boccuccia di rosa qualche parolaccia, onde evitando 'cavolo' o 'diavolo'.
«Kathleen? I centottanta secondi sono finiti! Dove sei? Mi stai facendo uno scherzo, non è vero?» urlò la mia migliore amica, la voce intrisa di preoccupazione e paura «Kathleen!» sbottò nuovamente.
Mi morsi la lingua per non sbottare e a mia volta gridai «Sto avendo un piccolo contrattempo, ora arrivo!» ululai in modo tale da farmi sentire forte e chiara, scandendo a dovere le lettere.
«Adesso scendo anche io K, così ti aiuto!» sbraitò, come se volesse aggiustare qualcosa di ormai irreparabile. Mi ero fatta male e basta, non c'era nient' altro da fare. Avrei solamente dovuto aspettare che il tempo guarisse e defraudasse ogni traccia di quell'episodio.
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A Fantastic Goal
ChickLitIn una scuola superiore prettamente maschile, una ragazza, Kathleen Chelsea Darrison, lotta per la sua squadra di calcio. Alexander Chanex, capitano della squadra, cerca in tutti i modi di convincere il coach a lasciare un unica squadra. Kathleen, d...