Tell me I'm safe, you've got me now, would you take me if I lose control?

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~Take me home, Jess Glynne.

Sciauuuu.
Questo capitolo è parecchio deprimente.
Non so, scriverlo mi ha inquietata.
Divertitevi <3

Domenica mattina~
"Pronti?"
"Si."
Affermò Finn, stringendo la mano del suo ragazzo.
Jack si fece prendere dal panico.
Credeva di essere pronto ma invece era solo terrorizzato all'idea di rivedere suo padre.
Il suo primo pensiero fu "E se iniziasse a gridare? E se fosse peggiorato?"
Prese una boccata d'aria abbassando il finestrino dell'auto di sua madre e le sorrise nello specchietto retrovisore.
Quest'ultima girò la chiave e il motore si accese.
L'auto partì, diretta verso il carcere maschile fuori città.

Il posto era parecchio squallido, pareri grigie e vetri rotti qua e là.
La hole, quasi claustrofobia, aveva una porta d'ingresso rinforzata dal metallo e un'altra, che faceva accedere al corridoio, anti-fiamme.
Una donna di colore, grassa e sulla cinquantina, sostava alla cattedra che riempiva mezza stanza.
"Vorremmo incontrare il signor Grazer Gavin."
La donna si issò gli occhiali sul naso bitorzoluto e fece scorrere il dito sul lungo elenco di detenuti.
"Entrate di là, sempre dritto, sulla destra troverete le camere per parlare con i carcerati, fate domanda lì."
I tre annuirono.
Stavano per andare ma la donna gli richiamò.
Tossì per attirare la loro attenzione.
"La chiave. Devo aprirvi."
Annunciò, sventolando il grosso e ingombrante mazzo di chiavi sotto il naso di Angela.
"Se posso permettermi, chi siete?"
Chiese, squadrando Angela e poi la coppia di ragazzi, puntando dritto alle loro mani unite.
"La moglie di Gavin."
Disse Angela, un lieve velo di tristezza celato sotto quella breve risposta.
La donna sulla cinquantina gli diede libero passaggio e raggiunsero la "Phones room", o almeno così diceva si chiamasse il cartello attaccato sulla porta scorrevole.
La sala era parecchio ampia, a differenza della hole e del corridoio stretto, ma sempre del medesimo colore grigiastro.
Su una parete erano poggiati una serie di telefoni, probabilmente usati dai detenuti per chiamare le proprie famiglie.
"Gavin non ha chiamato per scusarsi." Pensò Jack.
Questo gli fece male tanto quanto gliene faceva doverlo chiamare padre.
Tutta la stanza era occupata da cubicoli composti da due tavolini separati da del plastiglass.
Sul muro che divideva ogni cubicolo era appeso un telefono per lato, con tanto di cornetta.
"Salve."
Angela fermò gentilmente un uomo in uniforme militare.
"Vorremmo parlare con Gavin Grazer."
L'uomo le sorrise e gli invitò a seguirlo.
Li condusse verso un'altro corridoio.
Una volta entrati a Jack mancò il respiro.
C'erano celle ovunque e decine di guardie.
Loro stavano percorrendo il corridoio principale, che si disperdeva in altri cinque da un lato e cinque dall'altro.
Guardandosi intorno si incontrava inevitabilmente lo sguardo di qualcuno dei carcerati.

Finn si ritrovò a pensare a cosa avesse fatto ognuno di loro.
Rinchiusi dietro le sbarre, come degli animali in gabbia.
Sicuramente avevano combinato qualcosa di cattivo e sbagliato per trovarsi lì.
Era davvero deprimente. Deprimente ma giusto.
Girarono l'angolo, sentendosi fissati da un vecchio uomo dal fare arrabbiato chiuso nella cella più vicina a loro.
Finalmente, percorrendo il corridoio secondario fino in fondo, arrivarono alla cella 201.
Gavin scattò in piedi non appena li vide e Jack fece un passo indietro.
L'uomo gentile che aveva aiutato Angela lo fece uscire dalla prigione e, ammanettandolo, lo affidò ad un suo collega.
Gavin non spiccicò parola e Jack se ne stupì.
La guardia diede indicazioni ai tre su come tornare alla "Phones room" e seguì il suo collega e Grazer.

Tornati alla stanza dei telefoni, si ritrovarono Gavin già dietro il plastiglass di un cubicolo.
La prima a sedersi davanti a lui fu Angela.
Lei gli pose tante domande, ma non rispose a nessuna di esse. La guardava in modo apatico, ma non cattivo.
"Che ti succede, Gav?"
Domandò, arresa al silenzio di suo marito.
"Nulla, angioletto."
Le fece un sorriso finto e lei si alzò, coprendosi gli occhi dal pianto.
Era stanca.
E gli mancava l'uomo di cui si era innamorata.

Poi toccò a Jack.
Portò la cornetta all'orecchio.
Suo padre gli sorrise.
Ma Jack sentiva una brutta e spiacevole sensazione a guardare quel sorriso.
Qualcosa di malvagio. Un retrogusto di amaro in bocca.
"Guarda come è finito il tuo vecchio, eh Jack?"
Esclamò in tono scherzoso Gavin.
"Mamma chiederà il divorzio appena possibile."
Ecco. Aveva buttato all'aria tutto ciò che avevano organizzato: l'effetto sorpresa e la possibilità che Gavin fosse cambiato.
Ma quel sorriso...
"È per questo che siete venuti?"
"Per cos'altro sennò?"
Gavin si rallegrò ancora.
"Per vedere me. Il tuo papà."
Jack andò su tutte le furie.
"Ma ti rendi conto che sei in prigione proprio a causa del tuo comportamento con me, la mamma e il mio ragazzo?! Lo volevi uccidere! Ti rendi conto di quanto fai schifo tu e non noi?! Credevo potessi cambiare sul serio, non prendermi in giro!"
Sbatté la cornetta sul tavolino.
Gavin ringhiò.
Di nuovo silenzio, entrambi si calmarono ma Jack aveva ancora in nervi tesi per lo spavento e la rabbia.
Suo padre tornò apatico.
Poi fece ancora quel sorriso.
"Stai ancora con Finn, a quanto vedo, ometto mio."
Il sorriso gli si spense per un istante brevissimo.
"Certo che l'alcol ti manca tanto..."
Sussurrò Jack.
"Mi mancate tu e Angela."
Jack lo fissò nelle iridi castane, come le sue, incerto.
Sorrideva. Sorrideva. Sorrideva.
Dietro le sbarre: sorrideva...
"Ma che ne è di mio padre?"
Pensava Jack.
"Questo non è più lui. Non è più lui, da tempo."
Si ripeteva.
"Ti voglio bene, Jack. Tienilo a mente. Io voglio solo..."
Gli fece l'occhiolino, anche se sembrava più una sottospecie di tic.
"...Il tuo bene."
Si guardarono a lungo, il castano era quasi sollevato dalle parole che l'uomo aveva pronunciato.
Peccato che lo sguardo di Gavin lo tradisse completamente.
Poi qualcuno gridò in un microfono ammaccato.
"Ora di pranzo, tutti i detenuti devono tornare in cella."
Una guardia venne ad ammanettare Grazer e questo si degnò di prestare finalmente attenzione a sua moglie.
"Ci rivedremo presto, amore. Molto, molto, molto presto."

Jack si alzò dal tavolino del cubicolo una decina di secondi dopo che suo padre fosse andato via.
Finn lo abbracciò da dietro, sentendolo tremare.
"Tranquillo, non può fare nulla ora, ci sono io qui..."
Sussurrava il corvino, cercando di calmare il più basso.
Fissava il vuoto, ancora intento ad assimilare ogni parola che suo padre aveva detto da quando aveva iniziato a parlare pochi minuti prima.
"Jack. Vieni qui."
Jack corse da sua mamma e la strinse tra le braccia.
Piansero.
Ma le loro lacrime segnavano qualcosa di importante.
La chiusura di un capitolo della loro vita, forse destinato a finire.
Magari con un po' di fortuna, non l'avrebbero più rivisto.
Una liberazione.

Stavano richiudendosi dietro la porta anti-fiamme alla fine del corridoio quando videro Jaeden sostare nella hole.
Aveva una mano che gli copriva gli occhi e piangeva.
"Sono in auto."
Affermò Angela, uscendo rapidamente, in modo da poter passare un paio di minuti da sola.
"Jaeden!"
Jack gli corse incontro e lo abbracciò.
"Che succede, Jae?"
Domandò Finn.
"Non avete sentito le ultime notizie?!"
Lieberher tirò su col naso, tremando.
I due ragazzi fecero di no con la testa.
"Hanno trovato il ragazzo che è stato visto con Jacob."
Singhiozzò.
"Non ho potuto neanche salutarlo..."
Il respiro gli si fece pesante, come se stesse per avere un attacco di panico.
"Ora è qui...chiuso qui! E mi odia. E non vorrà incontrarm-"
"Chi?! Chi ti odia e ora sta qui, in carcere?!"
Jaeden ingoiò il groppo che gli si era formato in gola e rispose:
"Wyatt."

Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina⭐️💙

𝐌𝐨𝐨𝐧𝐥𝐢𝐠𝐡𝐭 - 𝐅𝐚𝐜𝐤Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora