1.The meeting

6.9K 145 2
                                    


Parigi, una delle città più maestose ed eleganti che abbia mai visto. Sono in cima alla torre Eiffel dalla quale posso scorgere la bellezza dell’intera città che frenetica vive sotto di me e credo non mi stancherei mai di guardarla. Intorno a me sento diverse lingue mescolarsi fra loro e riesco a capirne solo alcune parole fra cui una francesina che dice “spettacolo”, l’esatta parola che userei per descrivere ciò che mi sta davanti in questo momento. Una leggera aria frizzantina mi pervade e i miei occhi si tingono della luce del tramonto che ormai pittura il cielo. Mi appoggio alla ringhiera ad ammirare ogni dettaglio , per non dimenticarlo mai , quando alla mente mi assalgono vecchi ricordi, ricordi di un amore che non ho mai dimenticato. Forse è proprio Parigi, la città dell’amore, che mi fa tornare in mente il suo viso, il suo sorriso, ogni nostro momento. E così mi ritrovo a scavare nel passato, ricordando i giorni più incredibili di quella storia d’amore che non avrei voluto finisse mai.

5 anni prima…

Giugno. Il leggero calore estivo ormai era nell’aria, l’inverno era solo un lontano ricordo nella mia mente, un ricordo che volevo dimenticare.
Quella mattina fui svegliata dai deboli raggi del sole che entravano dalla mia finestra leggermente socchiusa. Il cinguettio degli uccelli mi fece aprire gli occhi, ancora offuscati e addormentati dopo quella notte. Spostai leggermente le lenzuola così da poter facilmente poggiare i piedi sul pavimento e la sensazione del calore della mia pelle con la frescura del pavimento mi fece venire i brividi. Mi alzai e subito mi infilai una maglia larga, quasi mi vergognassi di vedere me stessa in intimo. Scesi le scale e andai in cucina a preparami un caffè mentre accesi la Tv. A volte mi sentivo così sola che sentire anche solo delle voci al di là di uno schermo mi confortava. Cambiai diversi canali finché non trovai un interessante documentario sulle creature marine. In verità non è che mi interessasse più di tanto ma non trovai niente di meglio. Appoggiai il telecomando sul tavolo e andai a versarmi il caffè , ormai caldo, in una tazza, al quale aggiunsi del latte freddo. Mi sedetti a gambe incrociate sulla sedia, sorseggiando il caffè e ascoltando la Tv. Distrattamente diedi uno sguardo all’orologio e mi accorsi che era veramente tardi. Balzai giù dalla sedia con una velocità che mi impressionò e corsi in camera a vestirmi il più velocemente possibile. Infilai un paio di jeans e una T-shirt presa casualmente nell’armadio, poi corsi in bagno a lavarmi il viso ancora macchiato di trucco dalla sera precedente. Andai al piano di sotto per infilarmi le converse ed uscire quando squillò il telefono. Merda pensai. Corsi verso il telefono alzando la cornetta.

-pronto?- dissi con impazienza.
- tesoro, ci dispiace tanto ma io e tuo padre non saremo a casa prima della fine della settimana prossima-

Mia madre. In un certo senso la odiavo. Non c’era mai stata per me, aveva sempre dato troppa importanza alla carriera, agli affari. Lei e mio padre si erano conosciuti durante un meeting di qualche azienda, si erano innamorati uno dei soldi dell’altra e avevano voluto creare un’impresa insieme, incorniciando tutto sotto un falso matrimonio. Non che i miei genitori non si amassero ma avevo sempre creduto che amassero di più i soldi. E io? Cos’ero io per loro? Be mi avevano dato prova che la mia nascita era stata programmata con un unico obiettivo: quello di portare avanti la loro impresa, ciò per cui loro avevano lavorato duramente in quegli anni, gli anni della mia crescita, del mio sviluppo, gli anni in cui avevo avuto più bisogno di loro e in cui loro non c’erano. Ero cresciuta praticamente con la donna delle pulizie, alla quale forse volevo più bene che a mia madre.

-va bene, ora devo andare- dissi con tono freddo.

Chiusi la chiamata e uscii di casa chiudendo la porta alle mie spalle. Ero terribilmente in ritardo, non me l’avrebbe fatta passare liscia. Corsi più velocemente che potei finché non vidi l’insegna del bar. Entrai ansimante per la corsa appena fatta e mi diressi nel retro per mettermi la divisa.

-sei in ritardo- disse una voce dietro di me. Mi voltai e vidi il mio capo, con le mani sui fianchi , guardarmi con occhi seri.
- mi dispiace- dissi abbassando lo sguardo.

In realtà odiavo quel posto, quel lavoro, quella maledetta divisa. L’odore di birra aleggiava costantemente nell’aria facendomi venire il voltastomaco, i ragazzini in piena fase ormonale tentavano in tutti i modi di flirtare, ma senza successo. Il mio capo che toccava il sedere a noi dipendenti, casualmente tutte ragazze. Ma quel lavoro mi serviva, non volevo dipendere dai soldi dei miei genitori che così tanto ripudiavo.

- fai in modo che non succeda più o la prossima volta non scomodarti a tornare-

Lo vidi allontanarsi. Provavo disgusto per lui, un senso di ribrezzo mi percorreva la schiena ogni qualvolta mi guardava . I suoi occhi fissi sul mio corpo mi mettevano a disagio, come fossi nuda davanti a migliaia di persone.
Misi la divisa e mi indirizzai al bancone. Non facevo altro che servire caffè, sorridere ai clienti e di tanto in tanto cercavo di ridere alle pessime battute che mi venivano fatte. Il peggio però era il turno della sera quando il bar si riempiva di ragazzi intorno alla mia età. Bevevano, si davano pacche sulle spalle se si erano portati a letto una ragazza.. a quel punto uscivo a fumarmi una sigaretta, lontano da quel branco di pervertiti senza cervello.
Quel giorno il mio turno finiva alle 18:00, così dopo aver salutato tutti uscii dal quell’orribile posto e mi misi a camminare, respirando a pieni polmoni la prima aria estiva. Il sole stava calando e il cielo aveva preso un colore rosso aranciato, con leggere tonalità di rosa. Le strade erano colme di persone distratte dal guardare le vetrine , dal parlare tra di loro. Camminavo assorta nei miei pensieri quando decisi di entrare da Starbuck’s per prendermi un frullato. Entrai diretta alla cassa dove ordinai. Mentre aspettavo mi guardai intorno , quasi ispezionando ogni dettaglio che mi circondava: un uomo, circa sulla trentina, era intento a leggere un libro, sorseggiando la sua enorme e fumante tazza di caffè, un paio di ragazzine poco più piccole di me bisbigliavano tra loro, tirando occhiate ad una rivista sulla quale intravidi volti di alcuni personaggi famosi. Dopo pochi minuti il mio frullato fu pronto. Lasciai che la ragazza lo appoggiasse sul bancone mentre estraevo il portafoglio dalla borsa per pagare il conto. Fatto ciò la ringraziai, presi il contenitore di plastica e uscii. Non avevo voglia di tornare a casa, per stare comunque sola, così decisi di fare ancora un giro per le vie del centro, di tanto in tanto mi fermavo a dare un’occhiata a qualche vestito messo in mostra nella vetrina di un negozio. Arrivata al termine di una strada svoltai l’angolo distrattamente e qualcosa mi venne addosso in modo così violento che caddi per terra rovesciandomi addosso il frappè che mi era rimasto. Chiusi gli occhi per qualche secondo , ancora intontita e forse spaventata per quella caduta improvvisa. Quando li riaprii vidi l’autore di tutto quel disastro, che mi allungò la mano per aiutarmi ad alzarmi mentre borbottava scuse continue. Ora era più vicino e potei osservarlo attentamente: era decisamente più alto di me, aveva dei bellissimi e profondi occhi verdi, dentro i quali avrei potuto perdermi se lo avessi osservato ancora a lungo. Dei capelli ricci contornavano il suo bellissimo viso , che assunse una strana smorfia, probabilmente dovuta al fatto che lui mi stava parlando ma io non lo ascoltavo. Una ciocca riccia si spostò leggermente sul viso infastidendolo tanto che con un movimento leggero scosse i capelli con la mano portandoseli lontano dagli occhi.

-mi dispiace, non ti avevo vista- disse con un tono sinceramente dispiaciuto.
-ehm.. si be..non importa - le parole facevano fatica ad uscirmi.

Lo vidi osservarmi attentamente e sua volta, dalle mie converse salì con attenzione, esaminando ogni lineamento del mio corpo finchè non si soffermò sull’enorme macchia di frappè ormai ampiamente estesa sulla mia maglia bianca, che ormai bagnata era diventata semitrasparente lasciando intravedere il mio reggiseno. Vidi comparirgli sulle labbra un leggero sorriso, poi tornò a guardarmi negli occhi. Sentivo il suo sguardo trafiggermi in modo così intenso da farmi male, e abbassai lo sguardo notando il contenitore di plastica del mio frappè ancora per terra, così mi chinai a raccoglierlo.

- come ti chiami?- disse , come se fosse la domanda più logica da fare in quella circostanza.
-Charlie- dissi arrossendo di colpo, quasi mi vergognassi a parlare con lui.
- Io sono Harry - disse mettendosi le mani nelle tasche dei jeans.

Non sapevo che dire, l’imbarazzo si era preso possesso di me e avrei solo voluto scappare via ma non ce la facevo, il sorriso che comparve sul suo viso pochi secondi dopo, mostrando due fossette perfette , mi obbligò a restare, come fossi in trans. Lo vidi avvicinarsi sempre di più finchè non si piegò scendendo verso il mio orecchio, la sua bocca era così vicina che potei sentire distintamente il suo respiro.

- forse dovresti cambiarti- disse bisbigliando, con fare malizioso.

Il calore ormai si stava espandendo sulle mie gote, e mi stava pervadendo ovunque. Mi allontani da lui tornando a fissarlo negli occhi che ormai brillavano. Non sapendo che dire annuii. Probabilmente stava pensando che ero una stupida ragazzina che non sapeva neanche formulare una frase. Mi vergognavo dell’effetto che stava avendo su di me quel ragazzo che neanche conoscevo, mi vergognavo della mia reazione, quasi fossi intimidita da lui anche se non ne avevo il motivo.

-puoi venire a farlo da me se vuoi?- disse facendomi l’occhiolino.

Le sue intenzioni erano chiare ed evidenti e in un certo senso mi disgustavano. Lo trafissi con lo guardo, con tutto il disprezzo che potevo mostrare. Mi girai di scatto, dandogli le spalle e avviandomi nella direzione dalla quale ero venuta. Ormai si era fatto tardi, il sole era scomparso del tutto e il cielo era scuro sopra di noi. A passo deciso mi allontanai ma me lo ritrovai di nuovo di fronte.
- preferisco cambiarmi a casa mia- dissi secca
- dai stavo scherzando. Ti accompagno io..- disse mostrando un leggero sorriso che mi catturò di nuovo

Non ero convinta del tutto di quello che stavo per fare ma lasciai che mi prendesse la mano e mi trascinasse verso la sua macchina. Mi stupì quando mi aprì la portella dell’auto, da vero gentiluomo. Mi sedetti sul sedile del passeggero un po titubante, spaventata e forse anche ansiosa. Lo vidi sedersi al suo posto, accendere la macchina e partire. Riuscivo a sentire sotto di me la potenza che dava alla macchina accelerando, come se volesse stupirmi. Mi girai per osservarlo e lo vidi concentrato sulla strada. Di tanto in tanto si spostava il ciuffo riccio che gli scendeva in modo grazioso sulla fronte e poi tornava a guardare dritto davanti a se. Notai che talvolta il suo sguardo si muoveva su di me , e il rossore tornò ad apparire sulle mie guance. Il silenzio regnava tra noi, forse per l’imbarazzo della situazione o forse perché in realtà non c’era veramente niente da dire. I miei occhi non riuscivano a spostare lo sguardo da quel ragazzo così misterioso, dannatamente bello. Spostai lo sguardo sulle sue grandi mani che con sicurezza stringevano il volante. Avrei voluto sentirle sul mio corpo, avvolgendomi in un abbraccio protettivo. Avrei voluto sentire il suo corpo schiacciato contro il mio , il battito del suo cuore risuonare nella mia mente.
Per un attimo guardai la strada e mi accorsi che dovevamo svoltare.

- gira di qua- dissi con un fil di voce, quasi volessi che quel viaggio non finisse mai.

Le sue mani girarono il volante nella direzione che gli avevo indicato e dopo pochi metri vidi la mia casa. Anche quella notte avrei dormito sola, in quella casa così grande, in quel silenzio così triste che mi circondava da sempre.

- siamo arrivati. Ti ringrazio del passaggio…- dissi girandomi per guardarlo.
- era il minimo dopo questo disastro- disse mostrando un debole sorriso.

Lo vidi scendere con una velocità incredibile venendomi ad aprire la portiera e aiutandomi a scendere. Alzai lo sguardo verso di lui, sentendomi così piccola in confronto alla sua altezza e lo fissai negli occhi, quegli occhi così intensi e magnetici. Nessuno dei due aveva intenzione di cedere ma la mia timidezza fece si che senza volontà diventai leggermente rossa e lo vidi avvicinarsi ancora una volta al mio orecchio.

-sei carina quando arrossisci- disse bisbigliando.

Mi diede un leggero bacio sulla guancia e poi si allontanò, tornando a sedersi in macchina. Appoggiai la mano nel punto in cui le sue labbra avevano avuto un contatto con la mia pelle e sentii dei piccoli brividi su tutto il corpo. Vidi la sua macchina allontanarsi a gran velocità così voltai le spalle alla strada e mi avviai verso la porta di casa. Rimasi sulla soglia a pensare a quello che era appena accaduto e non capivo se era tutto vero o se la mia mente si era inventata tutto per farmi impazzire. Aprii la porta di casa, chiudendola poi alle mie spalle e mi accasciai per terra, mettendo la testa tra le ginocchia leggermente piegate al petto. Mi scappò una piccola risata che nonostante tutto sentii fare eco nel grande spazio di entrata della mia casa. Harry, solo quel nome ora vagava per la mia mente, come un tatuaggio indelebile che non se ne va più. Mandai un messaggio alla mia migliore amica Vicky

“ devo aggiornarti. Serata da me. Charlie xx”

Mi alzai da terra strusciando la schiena contro la porta. Quando fui completamente in piedi mi incamminai verso il bagno al piano di sopra, mi tolsi tutti i vestiti e mi misi sotto la doccia. L’acqua fresca mi aiutò a rilassarmi ma nella mia mente c’era ancora lui. Dovevo ritrovarlo.

Strangers II Harry StylesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora