Sesto capitolo

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Mi svegliai, confusa. Ero sdraiata da qualche parte, ma sono sicura che quel soffitto non era il mio. Si vedeva una luce che proveniva da sinistra, del sole, quindi dalla finestra. La finestra in camera mia era ai miei piedi. E qui alla mia destra. Decisi di sedermi, ma con i dolori alla testa che avevo era un po' tutto complicato. Provo a riconoscere qualcosa nella stanza, qualcosa che mi faccia capire dove io mi possa trovare, ma nulla. Della sera precedente ho un ricordo sfocato. Ricordo a tratti la serata. Preferivo non entrare ubriaca a casa, e di questo sono felice di non trovarmi in casa. Ma non sono sicura di dove io fossi. Non sentivo rumori, almeno non dove il mio udito potesse arrivare. Mi tolsi il lenzuolo che avevo addosso. Ero vestita esattamente come mi ricordo che ero vestita ieri sera. Quindi non mi hanno nè mi sono spogliata. E questo mi rilassa per un po'. Ma quando vedo un paio di pantaloni a terra, neri, probabilmente da uomo, lì inizio a spaventarmi. Dove diavolo ero finita? Mi alzai, piano piano, senza fare molto rumore. Sentivo solo qualcuno canticchiare dal bagno, e la doccia che scorreva. Potrei anche fuggire di casa, presi le mie scarpe, che erano rimaste in camera e, in punta di piedi, mi allontanai nel salone, trovando di fronte a me un enorme portone. L'uscita.

Mi voltai per sentire se ancora canticchiava, e sì, lo stava facendo. Anche se morivo dalla curiosità di sapere chi fosse mi girai, ma mi soffermai su una foto. Due bambini. Uno con dei particolari occhi celesti e capelli neri. L'altro con i capelli castani ma gli occhi celesti, ma leggermente più scuri. Non persi altro tempo. Ero rimasta a dormire a casa del Somerhalder. Ubriaca. Qui si ride e si scherza, ma ora sono leggermente confusa.

-Hey, ragazzina, dove credi di andare?- mi voltai e Ian Somerhalder era davanti a me, a torso nudo. voglio dire, emh, ripeto A TORSO NUDO. Capitemi. E con un solo asciugamano a coprire il suo BASTONE. Non si può scherzare qui. Lo guardo negli occhi. Particolarmente di un celeste ghiacciante, con i capelli che scendevano sulla sua fronte, bagnati, e che davano luncentezza al nero. Per un tratto pensavo che quel ben di Dio, fosse finto o una statua, o tutto frutto della mia immaginazione. Con la bocca leggermente aperta, rimasi immobile, osservando i suoi meravigliosi occhi. Non riuscivo a muovermi. Paralizzata è la parola esatta.

-Torna da me- sventolò la sua mano davanti ai miei occhi. Torno da te se ti vedo vestito e asciutto.

-Scusa, io-i-io de-de-de-dev

-Okay, decisamente, devi calmarti- mosse le mani e con una mossa mi prese il polso e mi fece muovere. Ma cosa diavolo stavo facendo? Devo svegliarmi da questo incubo.

-Scherzi apparte, devo andarmene, Ian- decisa, mi feci lasciare il polso e avvicinandomi alla porta, delle mani mi prendono sui fianchi.

-Voglio che resti- mi stava guardando negli occhi, e sembravano così sinceri. Come un sogno. Ma poi dovevo svegliarmi, ricordarmi quel paio di storie che Mark mi ha raccontato, e un paio di maialate del pub, e decisi svelta di andarmene. Ma insistente mi prendeva. Con un braccio avvolse il mio bacino, con l'altra teneva la mia mano destra tra la sua. Ed ecco. Mi bacia. Delicato, morbido, leggero, perfetto. Mi sarei addormentata tra quelle labbra, così perfette e... si staccò

-Sono pazzo- disse -dei tuoi occhi- e mi guardò negli occhi -del tuo naso- e mi guardò il naso -ma sono pazzo, veramente pazzo, per  sospesa mi lasciò, quando mi fece capire il complemento oggetto, baciandolo.

-Ian, io...- si staccò e mi guardò negli occhi -io non posso- dico e abbasso lo sguardo.

-Okay- mi lasciò e appoggiò le mani ai suoi fianchi, non avevo nessun contatto con lui. Non lo guardavo negli occhi ma sapevo che mi stava guardando. -sei libera, puoi andare- disse indicandomi il portone alle mie spalle.

Mi voltai e feci per andarmene. Ma poi pensai a ieri sera. Ricordo quando mi disse che lo facevo essere pazzo, pazzo di me. Ricordo che mi accompagnò al bagno, a vomitare credo. Ed essendo arrivata qui, ed essendomi svegliata vestita, dedussi che lui mi ha portata fino a qui, mi abbia tolto le scarpe e dormito vicino a me, senza toccarmi.

-Prima devo farti una domanda- mi voltai e lo guardai, lui aveva un espressione confusa -ieri sera, eri ubriaco? O almeno avevi bevuto?

-Due o tre bicchieri di birra- rispose come se tutto andasse bene

-Perché non ti sei approfittato di me, nello stato in cui ero?- ricordai quel poco.

-Mi hai baciato ieri sera, ero tentato di portarti a letto, e non intendo a dormire- dice

-cosa ti ha trattenuto?- domando in preda al panico

-Non volevo che perdessi la verginità inconsapevolmente- disse, ma stavolta era più sicuro di se, e mi sorrise.

-Ah, emh... ok, ora posso andar...- mi girai verso la porta, ma mi pentii. Presi le sue guance e lo baciai. Era la prima volta che lo facevo io. Oppure ieri sera l'ho fatto, ma ero incoscente. Mi sentivo meglio ora.

-Perché lo fai?- mi domandò non appena mi staccai da lui. Aveva ancora gli occhi chiusi, e io osservai il suo viso angelico. Quando aprì gli occhi rimasi di nuovo paralizzata.

-Non lo so, scusa- mi staccai da lui. Decisa finalmente ad andarmene, presi le mie scarpe, lasciate a terra poco prima. Perché lo faccio? Mi sta facendo impazzire

-Non riesco ad andarmene, Ian, non ce la faccio. Ogni volta che volto le spalle per andarmene mi viene voglia di saltarti addosso e stare abbracciata a te, fissando quei fottutissimi occhi celesti che hai. Mi stai facendo impazzire. Il giorno prima pomici da ubriaco e fai il maiale con undici persone, e il giorno dopo cambi. Mi baci per la prima volta per vedere che ti succedeva e cambi totalmente. Ieri sera dovevi ubriacarti e finire qua con la barista magari, è bionda, magari dico. Oppure non lo so ci sono tante di quelle ragazze belle, più belle di me dentro quel locale, morte di cazzo. E tu che fai? Porti a casa tua una verginella diciottenne che in parte ti odia e non ne approfitti?- presi un po' di fiato - Non so come ne perché, ma sento che sto impaz..- quelle labbra sulle mie, mi zittiscono, mi rilassano e mi faccio trasportare. È un bacio dolce. Mi solleva e incrocio le gambe sul suo bacino, come una bimba. Mi appoggia da qualche parte, non so dove, ma sto bene qui. E sto bene mentre lui mi bacia.

Quando si stacca lo sento ridere.

-Una cosa ti voglio chiedere io- si appoggia al bancone con entrambe le mani, siamo in cucina -perché stavi per andartene?- chiese

-Non so neanche questo- presi di nuovo lui e stavolta sulla nuca e lo portai con me in questo lungo bacio passionale, non più dolce.

-In questo momento vorrei sbatterti sul mio materasso e sentirti gemere- a quelle parole, scesi dal tavolo e scappai verso la porta di casa. Uscita. Salvezza.

Avevo paura a quelle parole. Notai il numero vicino al campanello 156. Non so perché ha attirato la mia attenzione

-Nina- l'altra parte della porta aveva una voce. Corsi giù le scale, non sapendo dove andare. Chiamai un taxi che passava lì sotto. Mentre Ian usciva dal portone del palazzo, non lo guardai, come se avevo paura della frase che aveva detto. Oppure ho paura di perdere la mia verginità.

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