ABIGAIL

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ABIGAIL

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ABIGAIL

Le lezioni all'università sono probabilmente la mia parte preferita della giornata: sono una fuga dall'incubo che è diventata la mia vita, durante queste poche ore riesco quasi a sembrare una normale studentessa al suo terzo anno di università che scherza e studia insieme alla sua migliore amica. Un vero peccato che non sia così. Sono certa di essere una delle poche persone al mondo che preferirebbe passare intere giornate qui dentro piuttosto che tornare a casa da lui. L'università che frequento è una delle più prestigiose, dunque sono costretta a mantenere un certo abbigliamento durante particolari situazioni e beh, è proprio a causa di queste situazioni che il mio corpo ha preso parecchie batoste. Arthur sa bene che devo necessariamente frequentare un certo tipo di università e mantenere un certo decoro per la sua immagine. Ecco perché dopo essere stata punita per il mio aspetto ho il permesso di indossare una gonna e un paio di tacchi.

"Abby?" "Mmh?" i miei occhi incontrano lo sguardo preoccupato di Carol. "Tutto bene? Ti ho vista persa." Tocca il mio braccio. "Sto bene. Stavo solo pensando che questa lezione è un po' noiosa." Bisbiglio. "Un po'?" "Okay, parecchio." Trattengo una risata. "Sta per finire. Grazie al cielo." La mora sospira e torna a fissare il proiettore annoiata. Seguo il suo esempio e dopo pochi secondi torno a disegnare sul mio quaderno. Legge. A me non è mai interessato frequentare questa facoltà. È vero, ho sempre detto a mio padre che era un'opzione che avevo preso in considerazione ma lo facevo solo per vederlo felice perché in fondo lo sapevamo entrambi che avrei preso la facoltà d'arte. Come mamma. E invece adesso eccomi qui, nessun controllo sulla mia vita e iscritta a legge. Meraviglioso, no? A volte mi chiedo a come sarebbe stata la mia vita se mamma e papà non mi avessero lasciata. Forse avrei vissuto in una bella casa con lo steccato bianco o in un appartamento con una coinquilina... forse avrei frequentato arte e forse avrei avuto persino un ragazzo. Okay, basta così, Abigail. Hai fantasticato fin troppo per i tuoi standard. Non puoi permettertelo. Basta.
"Amica, andiamo!" Carol è in piedi, quaderni tra le mani e chignon disordinato in testa. "Ci sono." Raccolgo in fretta le mie cose e filiamo verso l'uscita. "Adesso capisco perché eravamo così pochi oggi. Una noia totale." Sospira. "In effetti non ha fatto altro che ripetere lo stesso concetto otto volte ma con esempi diversi. Esempi che troveremo anche nel manuale." La guardo. "Macchinette. Ho bisogno di caffè. E sì, concordo in pieno. Chi comprerebbe un bruco quando ha una farfalla a disposizione, signori? Nessuno, ecco chi!" Carol imita la voce del nostro professore. Rido portandomi una mano davanti alle labbra. I suoi occhi finiscono proprio su di essa e si rabbuia. "Tutto okay a casa?" abbassa il tono di voce nel momento in cui prendiamo posto dietro a due ragazze. "Sì." "Davvero?" "Hm-hm. Niente." Annuisco. È vero, tutto tace da cinque giorni ormai e non so come prendere la cosa. Forse non vuole esagerare perché mi ha permesso di frequentare la palestra... non lo so. "Puoi venire da me quando vuoi, lo sai." Stringe la mia mano. "E tu sai che non succederà." "Bene, non riprenderò questo discorso adesso – alza lo sguardo – caffè macchiato?" "Sì, grazie." "Offro io questa volta." Dice vedendo me frugare nelle tasche. "Apprezzo e segno per la prossima." Accenno un sorriso. "Affare fatto." Annuisce.

Una volta a casa non perdo tempo a cambiarmi, mi metto subito a lavoro per la cena mentre sgranocchio una carota. Apro anche una scatoletta di tonno che metto in un panino ed è fatta, ecco la mia cena. Come sempre sistemo il tavolo in perfetto ordine e poi corro in camera mia per disfarmi del filo di lucido sulle labbra. Non vorrei mai se ne accorgesse. Metto del burro cacao e poi lego i capelli in una semplice coda. Dovrei andar bene. Quando sento la porta di casa aprirmi mi affretto a scendere le scale ed entrare in sala da pranzo.
"La cena è pronta?" domanda liberandosi della cravatta. "Sì. La tua... la tua giornata è andata bene?" deglutisco. "Un inferno." Sibila guardandomi. "Mi... mi dispiace." Balbetto. "Vatti a cambiare, hai venti minuti di strada da fare. Non devi arrivare in ritardo, sai che lo odio." Dice. Annuisco e ritorno in camera. Mi cambio e poi recupero un piccolo borsone dove metto un asciugamano, una bottiglia d'acqua e una felpa. Afferro le chiavi di casa e mi dirigo in salotto. "Cosa c'è nel borsone?" domanda Arthur continuando a fissare lo schermo del televisore. Faccio un breve elenco di cosa contiene e deglutisco. "Voglio vedere la felpa." "Certo." Annuisco e recupero la felpa tremante. È verde, monocolore e di una taglia più grande. "Va bene?" domando. "Cominci a capire, ottimo. Alle nove a casa. Non tollero i ritardi." Continua a ricordarmelo come fossi una stupida. Lo saluto e filo fuori casa. Prendo un lungo respiro e poi espello l'aria ad occhi chiusi. Non mi sembra ancora vero.

Me: io spero con tutta me stessa che questa storia possa piacervi perché ci tengo parecchio. X

𝑊𝘩𝑎𝑡 𝐼𝑓 [𝐵𝑟𝑜𝑘𝑒𝑛 𝐺𝑖𝑟𝑙𝑠 𝐷𝑢𝑜𝑙𝑜𝑔𝑦 𝑉𝑜𝑙.𝟣]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora