ABIGAIL
Il mio viso peggiora il giorno dopo; nascondo i trucchi nello zaino ed esco di casa. Raggiungo in fretta il bagno del bar che sono solita visitare quando succedono questo tipo di... incidenti e copro il livido come meglio riesco. Arrivo all'università ben presto e vengo accolta dallo sguardo preoccupato e arrabbiato di Carol. "Ti prego." Dice abbracciandomi. "Ti prego." Ripeto io. Sono due suppliche differenti le nostre: le mi prega di fare qualcosa e io di non far nulla. Mi tiene stretta per quelle che sembrano ore ma a me non importa perché ho solo bisogno di sostegno in questo momento, ho bisogno della mia migliore amica. "Andiamo." Dice. "Dove?" chiede. "Aspettami in bagno." E con le sue parole capisco. Scivolo sul muro del bagno fino a raggiungere il pavimento, strizzo gli occhi a causa del dolore all'addome ma resisto, poco dopo Carol fa la sua comparsa con due bicchieri in mano. "Cioccolata." Mi porge il bicchiere sedendosi al mio fianco. "Grazie." Stringo la mano in un pugno mentre sento gli occhi inumidirsi. "Lasciati andare." Due semplici parole e io sono un fiume in piena. Mi sono ripromessa così tante volte di non piangere, di non mostrarmi debole e invece... due maledette parole ed è come se i mesi e mesi di lavoro non fossero serviti a niente.
Più tardi in palestra del mio trucco non ne rimane più niente e le occhiatacce che mi arrivano mi fanno stare peggio. Quante volte ho utilizzato la scusa del 'sono caduta' o quella del 'ho sbattuto contro la porta mentre guardavo il cellulare' con persone diverse? Quanto volte ho pianto dopo? Quante volte il mio cuore si è spezzato senza più ritrovarne i pezzi? Tante, troppe.
"Ciao." Smetto di pensare nell'istante in cui una voce sconosciuta mi rivolge la parola. "Ti ho vista qui in piedi e ho pensato che non sapessi accenderlo." Un ragazzo alto e biondo mi guarda curioso, poggiandosi proprio al mio tapis roulant. "Ho finito. Sali pure." Lo liquido in fretta per poi allontanarmi. "Ma non hai nemmeno cominciato, bellissima." Sbuffa una risata. Aggrotto le sopracciglia, infastidita dalla sua vicinanza e sfrontatezza. Nemmeno mi conosce. "È libero." Ripeto pronta ad allontanarmi. La sua mano si avvolge attorno al mio polso e io quasi non collasso sul posto. "E tu, tu sei libera?" ammicca. Ma non lo vede il panico nei miei occhi? Sono gelata, una statua di ghiaccio pronta a schiantarsi al suolo. Il cuore prende a battere furiosamente mentre il respiro aumenta quasi diventando affannato.
"Ehi. Che sta succedendo qui?" il ragazzo biondo molla la presa sul mio polso, io compio un passo indietro continuando a sudare freddo. "Nulla, capo. Io e la splendida ragazza stavamo solo facendo conoscenza." Sorride. Non ricambio il suo sguardo, piuttosto lo sposto alla mia sinistra dove trovo Heath Eastwood, il proprietario della palestra. Mi guarda e i suoi occhi non fanno trasparire nulla. "Sparisci, Ben." Dice continuando a guardarmi. "Ma non-" "Sparisci, ho detto." Il ragazzo si allontana borbottando tra sé e sé. "Seguimi." Dice voltandosi. Io rimango impalata sul posto, indecisa sul da farsi. "Seguimi, forza." Ancora tremante decido di seguirlo. Non mi ha toccata, mi ha aiutata mandando via quel ragazzo, sembra... okay.
Lo seguo fino ad una porta che apre, si scosta per farmi passare e poi se la richiude alle spalle. Mi ha aiutata prima, non farebbe mai... "Ti ha fatto del male? Ben, intendo." Si siede dietro alla scrivania. HEATH EASTWOOD. Leggo la sua targa. "No." "Avances, forse?" ritenta. "Va... va tutto bene. Sono io che esagero." Deglutisco continuando a fissare la sua targhetta. "Il polso è rosso." Dice. Si gira, apre il mini frigo a poca distanza da lui e ne recupera una piccola borsa per il ghiaccio. "Nulla di eccesivo, ma poggiacelo sopra." Afferro esitante la borsa e la poggio sul polso. È vero, il mio polso è rosso ma se ripenso a quello che il mio corpo ha subito... il rossore è davvero una cazzata a confronto. "Grazie." Bisbiglio. "Ben è solo un cazzone. Cerca una ragazza facile. Ma non è una persona cattiva." "Sì, beh, questa ne è il risultato." Mormoro. "Un cazzone." Ripete. Sì, anche Arthur è un cazzone, una brava persona eppure i segni che porto sul corpo dicono altro. I segni sul mio fianco parlano chiaro. "Preoccupati proprio di questi." Sibilo. Non una volta incontro i suoi occhi. "Lo faccio. Stai meglio adesso, vuoi dell'acqua?" "Perché?" non riesco a tapparmi la bocca. La domanda esce prima che io possa ordinarmi di tacere. "Oggi sono di buon umore, sono in vena di parlare." Stavolta lo guardo e quando succede trovo i suoi occhi già su di me. È distante ma attento. Sembra quasi che mi stia ascoltando sul serio. Dietro lui un orologio da parete segna le otto e quarantacinque. Sbianco. "Abigail?" mi richiama. Si gira, fissa anche lui l'orologio confuso. Scatto in piedi, nel panico più totale esco dal suo studio e corro verso l'uscita della palestra. Corro, corro il più in fretta possibile. Ignoro le fitte allo stomaco, il fiato corto e gli occhi che lacrimano. Raggiungo casa a non so quale ora. Salgo le scale il più in fretta possibile e quando arrivo in camera mia mi chiudo la porta alle scivolando sul pavimento. Guardo l'ora sulla mia sveglia digitale e sopprimo un singhiozzo. Le 9:02 pm. Ti prego, Dio. Ti prego, ti prego, ti prego. Aspetto paziente dietro la porta mentre le lacrime si accumulano agli angoli dei miei occhi. Passano uno, due, sei, dieci, quindi minuti ma non succede nulla. Ne passano trenta e ancora niente. Ne passano novanta. Mi alzo dal pavimento e mi trascino in bagno. Sono completamente terrorizzata. Voglio solo dimenticarmi di questi due giorni o forse dei sei anni trascorsi in questo posto.
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𝑊𝘩𝑎𝑡 𝐼𝑓 [𝐵𝑟𝑜𝑘𝑒𝑛 𝐺𝑖𝑟𝑙𝑠 𝐷𝑢𝑜𝑙𝑜𝑔𝑦 𝑉𝑜𝑙.𝟣]
RomanceAbigail Silver, ventidue anni, quasì ventitré, studentessa di legge. Heath Eastwood, ventisei anni, capo della Eastwood Gym. Abigail è una ragazza a cui la vita non sorride da ormai sei anni, piena di paure e di odio intriso sulla pelle tenta di sop...