ABIGAIL

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ABIGAIL

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ABIGAIL

È passato un solo giorno da quando Arthur se n'è andato eppure a me sembrano cento giorni di libertà, cento giorni in cui riesco a respirare. Solo adesso ricordo della rientranza in camera mia: percorro le scale ed entro in camera, mi accuccio davanti al letto e striscio sotto insieme al cellulare. Faccio luce sulla piccola rientranza nascosta nel muro e stacco la mattonella, posandola di lato. Tiro fuori il piccolo sacchetto trasparente e mi rimetto in piedi. Prendo anche il barattolo di crema nascosto in mezzo ai cosmetici sotto al lavabo e lo apro, poi mi siedo sul materasso e prendo un lungo respiro. So di avere duecento sterline nel portafogli, adesso devo contare questi e sapere se ho una minima possibilità di allontanarmi da lui almeno per un po'. Tiro fuori i soldi dal barattolo e mi metto a contare, arrivo ad un totale di ottocento sterline. Tiro fuori anche quelli del sacchetto trasparente e ripeto il processo. Arrivo a quattromila sterline. Sei lunghi anni e questo è un pezzo di quello che sono riuscita a conservare. Quello che nessuno sa, a parte Carol, è che a diciotto anni ho aperto un conto a nome della mia migliore amica e che ogni primo del mese do i miei risparmi a lei così da poterli caricare. Sono arrivata ad un totale di seimila quattrocento sterline e questo mi rallegra almeno un po' perché se dovessi nascondermi da lui per almeno un paio di mesi ne avrei la possibilità. Il punto è che non ne ho mai avuto il coraggio e credo che mai lo avrò. Arthur ha tutto e tutti dalla sua parte, io invece non ho niente. Mi è stata tolta qualsiasi cosa a cui io tenessi eppure delle volte... delle volte la voglia di aprire la porta e fuggire da qui è più forte di tutto. Reprimo i miei istinti e, dopo aver sistemato tutto quanto, mi cambio. Indosso un paio di jeans e il maglione della sera del locale, è carino e mi piace davvero. Quando finisco di prepararmi percorro le scale ed esco di casa. Vivere da sola non è per niente male, so che lo adorerei. Solo il semplice pensiero di tornare a casa serena, senza la paura costante di poter essere messa al tappeto per chissà quanto tempo, sarebbe meraviglioso. Uscirei con Carol, avrei più amici e sorriderei sul serio, senza bisogno di fingere. Nemmeno una volta. Avrei anche i miei drammi da ragazza, ne sono certa, ma ne sarei felice sapendo quello che sto passando adesso. Perché preferirei disperarmi per una telefonata da parte di un ragazzo che non arriva o il pagamento in ritardo di una bolletta piuttosto che desiderare la morte ogni singolo giorno della mia esistenza dopo l'incidente.

Arrivo a casa di Heath con qualche minuto di ritardo vista la lentezza dei miei passi, ma ero talmente assorta nei miei pensieri da non rendermene conto. Ecco perché voglio evitare di pensare troppo: mi deconcentra e questo significa perdere tempo e perdere tempo significa punizione. Punizione che non è una sgridata o uno scappellotto, bensì pugni e schiaffi. Scuoto il capo e mi affretto a suonare il campanello della sua porta. Il portone è sempre aperto e forse dovrei farglielo notare, non si può mai sapere chi potrebbe entrare. Certo, sono certa che i fratelli Eastwood saprebbero sicuramente come difendersi ma prevenire è meglio che curare, no?
Heath mi apre la porta di casa e mi fa entrare. Mi libero della giacca e della borsa e prendo posto sul divano.
"Sei più pensierosa del solito oggi." "Mmh, hai ragione. Scusami." Sospiro e opto per mettere a tacere sul serio i miei pensieri. "Vuoi qualcosa da bere?" chiede. "Un tè, grazie." Accenno un sorriso di cortesia. "Vieni, siediti qui." Indica una sedia a qualche centimetro di distanza dal tavolo per poi girarsi verso il bancone. "Non badare ai documenti, ma stiamo revisionando un paio di vecchie scartoffie." Indica i fogli sparsi su una parte del tavolo e vicini al laptop. "Figurati. Sono io che invado il tuo spazio personale." Gli faccio notare. Il ragazzo sbuffa una risata lanciandomi uno sguardo e poi scuote il capo. "Non è un problema." Mi metto seduta e poso il cellulare sul tavolo. Ed è come se avessi avuto un sesto senso che mi avverte del pericolo perché, dopo pochi secondi, comincia a squillare ed è Arthur. Rispondo subito, non posso evitarlo.
"Pronto?" deglutisco. Al mio cambio di tono Heath si volta, guardandomi corrucciato. Poggio subito l'indice sulle labbra pregandolo di stare in silenzio. "Abigail. Dove sei?" "In camera, stavo studiando per... un esame." Il mio cuore batte a mille. E se fosse ritornato in anticipo? E se mi stesse prendendo in giro ed è lì ad aspettarmi? Oh, mio Dio. Non sarei mai dovuta venire. Mai. "Lo spero per te." Ringhia. "È così." Lo rassicuro. "Bene. Tornerò giovedì sera, non prepararmi la cena. Mangerò in aereo." Mi informa. "D'accordo." Rilascio un respiro tremolante. "E cambiami le lenzuola prima che ritorni." Sbuffa annoiato. "Sarà fatto." Aspetto che sia lui a chiudere. Ho attaccato per prima una sola misera volta e mi è costato uno schiaffo talmente forte da farmi girare la testa. Arthur attacca senza aggiungere altro, il cellulare cade dalla mia presa talmente sto tremando e i miei occhi si riempiono di lacrime. Ho temuto il peggio. Pensavo davvero mi stessa aspettando in casa. Pensavo fosse arrivata la mia ora perché sono certa che questa sarebbe stata la volta buona per togliermi di mezzo in maniera definitiva. "Abigail, ehi." La mano di Heath sfiora il mio braccio ma mi ritraggo in fretta. Non ho paura di lui, lo so, ma è troppo. Non riesco nemmeno a pensare in maniera lucida. "A-acqua." Biascico. Sto sudando freddo ed è terrificante. "Stai avendo un attacco di panico, Gail. Prendi un respiro profondo, conta fino a due e rilascia. Ripeti l'azione per tre volte. Io sono qui." È difficile fare come mi dice ma tento di seguire il suo consiglio. Pian piano il mio respiro ritorna regolare e i battiti del cuore rallentano. "Acqua." Mi cede un bicchiere il ragazzo. Lo accetto e bevo piano il contenuto. Faccio un altro respiro ad occhi chiusi e poi li apro. Heath mi sta osservando, poi prova ad avvicinare ancora una volta la mano al mio braccio ma stavolta non mi ritraggo. Mi sfiora il tessuto del maglione mentre mi aiuta ad alzarmi e a raggiungere a piccoli passi il divano.
"Ti senti meglio?" chiede. Annuisco incapace di aprire bocca. "So chi era al telefono. So cosa ti sta facendo. Ma non capisco il perché." Le sue parole non mi stupiscono più di tanto. In fondo sapevamo entrambi, solo che lui adesso non vuole più mentire e io posso comprenderlo. Arrivata a questo punto so che non dirà mai niente ad Arthur, lo sento, e potrei anche confermare tutto... devo solo trovare la forza di cominciare l'argomento e non crollare davanti a lui. Ha visto la mia fragilità dal primo momento in cui ha posato i suoi occhi su di me e so che aspetterà, so che mi darà il tempo di organizzare i miei pensieri. Vorrei solo che... fosse lui a cominciare perché io non sono sicura di esserne capace. 

𝑊𝘩𝑎𝑡 𝐼𝑓 [𝐵𝑟𝑜𝑘𝑒𝑛 𝐺𝑖𝑟𝑙𝑠 𝐷𝑢𝑜𝑙𝑜𝑔𝑦 𝑉𝑜𝑙.𝟣]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora