Capitolo Quattordici

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Millie's Pov

Sono incredibili i cambiamenti che avvengono quando inizi ad accettare le cose fuori dal tuo controllo e impugni le redini del tuo futuro, fedele ai tuoi desideri.

Non posso più tenere Finn fuori dalla mia vita. Non voglio farlo.
Anche se lui mi farà soffrire, il mio cuore continua a tradirmi.
Allora cedo, abbraccio la mia ossessione e mi preparo a prendere il buono e tutto quello che mi porterà questa storia.

L’aria della sera è tiepida mentre attraversiamo la tenuta, la luna bagna il parco in una luce discreta. Inalo il profumo di gelsomino e della terra umida, accogliendoli con gioia dopo l’aria rarefatta respirata nelle ultime ore.

«Dove stiamo andando?» Stringo la mano di Finn, fatico a tenere il suo passo attraverso il parco. Non sono abituata a tacchi tanto alti, affondo a ogni passo nel terreno reso morbido dalla pioggia.
«Dove finalmente potremo parlare. Seguimi!», mi incita Finn.
«Aspetta». Sfilo i sandali, ed è una meraviglia immergere i piedi nell’erba fresca.
«Credo che dovrò rifarlo. Mi hai già perdonato una volta…». Finn si avvicina e, sulle prime, non capisco cosa abbia in mente poi si abbassa e mi prende in braccio, lasciandomi senza fiato.
«Mettimi giù! Posso camminare da sola», protesto.
«Tieni le energie per la nostra chiacchierata», lui ride, e sento il suo petto vibrare. Deve essere uno strano effetto dato dall’alcol, perché anche il mio vibra, il mio cuore tamburella così veloce che credo possa esplodere.
Stringo le braccia attorno al suo collo e mi abbandono contro la sua spalla, è incredibile come un estraneo possa diventare la tua casa in così poco tempo.
Lasciamo il prato, imboccando un sentiero che si inoltra tra gli alberi. Lui cammina sicuro nonostante la poca luce, raggiungiamo un piccolo ruscello e ne seguiamo il percorso.
Finn si ferma all’improvviso. Un edificio sbilenco in mattoni scuri si erge di fronte a noi. La costruzione è così spartana che non può essere un cottage, somiglia più a una rimessa o delle stalle.

«Eccoci».
«Dove siamo?»
«In un posto dove nessuno verrà a disturbarci». Lui mi trattiene al petto ancora per un secondo, poi mi abbassa a terra a malincuore. «Ci sto prendendo gusto, dobbiamo rifarlo».
Digitando un codice su un tastierino nascosto, sblocca la serratura e la massiccia porta in legno si apre. Questo suo modo di fare mi confonde, fa agitare me e i miei sentimenti, tanto che per un attimo potrei giurare di voler tornare tra le sue braccia e non abbandonarle più.
Esito per un momento poi entro in quella che sembra essere la capsula del tempo di Finn, il posto dove ha nascosto sogni e desideri.

Un vecchio divano Frankestein, con cuscini che sembrano il retaggio di almeno altri due o tre che devono averlo preceduto, occupa una parete dello stanzone. Poster come quelli che avevo in camera mia tappezzano le pareti, anche se nel mio caso erano quelli dei Blur, di Damon Albarn, a voler essere precisi. Per Finn è diverso: è lui il protagonista di quelle locandine.
L’uomo dei sogni di qualcuno.
Una libreria in legno chiaro serve da appoggio per una collezione disparata di oggetti: tazze, penne, volantini, bandierine. Gadget del programma.

Gli oggetti spaziano nel tempo, raccontandomi parte della sua storia recente. Il pavimento di una parte della stanza è rialzato rispetto al resto, e le pareti sono tinteggiate di un nero opaco, che assorbe la luce.
Faretti sovrastano due cubi in legno, pronti a illuminare la scena. Su uno dei cubi è posata una pila di fogli disordinati, tenuta ferma da una matita. Un paio di esperimenti mal riusciti, sono raccolti sotto il canestro all’angolo.
Una videocamera amatoriale è puntata verso quello che più che un palco, sembra un confessionale. Questo posto mi parla di lui mille volte di più di quella casa da cui siamo fuggiti.
Questa è la porta verso la parte più intima di Finn, e lui l’ha aperta per me.

«Questo è il tuo rifugio?», gli domando.
«Una specie». Mi guardo intorno e vedo fissate a una lavagna le foto di due pecore stranamente familiari. Quella nera porta infilata nel vello una coccarda di un giallo brillante. Mi avvicino e la guardo, oltre l’incredulità, sento nascere un insospettabile moto d’orgoglio.
«Queste sono le nostre pecore?!».
«Proprio loro», conferma, e non mi sfugge la soddisfazione nella sua voce. «Tempesta ha vinto il torneo di gimkana della fiera di Neilstone».
«Tu sei pazzo!», scoppio a ridere e la tensione mi abbandona, così come era arrivata. Lui si toglie la giacca, lanciandola su una sedia, poi sposta un bloc notes dal divano e si siede. Recupera una bottiglia di Talisker e due bicchieri da terra, e li riempie. La scelta di per sé basterebbe per provocarmi un colpo al cuore, ma noi siamo ben oltre questo.
Abbiamo ricordi che ci avvicinano e torti da curare, sentimenti di cui ancora non ho afferrato completamente la natura.
Tremo.
Stringo il bicchiere con entrambe le mani.
«Perché ti nascondi in questo posto, quando hai una casa che è praticamente un castello?».
«Perché quello era il sogno di mia madre, per me non è che una bella gabbia dorata. Ci sono momenti in cui tutto quello di cui ho bisogno è un posto dove guardare le stelle», lui si lascia andare contro il divano, lo sguardo sollevato verso il soffitto. Lo imito e non incontro limiti tra noi e il cielo, oltre le grandi vetrate sostenute da travi in metallo.
Quello spettacolo non cancella l’ombra di tristezza nei suoi occhi. «Qui dentro sono solo io, con i miei sogni e desideri». Bevo, perché i suoi occhi al termine di quella confessione si sono posati sulle mie labbra e se mai mi dovesse baciare, non sarei più responsabile delle mie azioni.
«Ci dormi anche qui?», cambio argomento, perché sono nervosa. Tiro a indovinare.
«Pensavo volessi parlare, invece sei maliziosa come sempre», Finn non si lascia scappare l’occasione e mi lancia un’occhiata provocante che mi fa tremare le ginocchia. Poi mi raggiunge e mi prende per mano, conducendomi verso una porta. Basta quel contatto leggero per darmi la scossa. «È qui che dormo», dice, introducendomi in una stanza disadorna dove un materasso è buttato su una struttura di pallet, il lenzuolo stropicciato porta ancora il segno delle sue notti agitate.
Quello che è davvero stupefacente è la vista: oltre la grande vetrata c’è un patio in legno, che dà su un piccolo stagno. «Stiamo perdendo tempo in convenevoli».
«Davvero?». Mi giro, sento la gola secca e i palmi sudati. Sono nervosa come una quindicenne.
«Sì, o parliamo o ti bacio, di nuovo. A te la scelta». I suoi occhi di un cioccolato intenso mi ipnotizzano, mentre mordicchia il labbro inferiore.
«Parliamo», rispondo sin troppo in fretta.
«Sei incredibile», lui soffoca una risata, accarezzandomi la guancia. «Dici sempre il contrario di quello che pensi. Fai il contrario di quello che desideri».
«Quindi io vorrei cosa, baciarti? Assurdo!». Il sorriso sparisce dalle sue labbra, i suoi occhi sono carichi di una nuova intensità. Le dita della sua mano scivolano alla base della mia nuca mentre continuiamo a guardarci, mi accarezza leggero i capelli, poi la sua presa si fa più decisa, padrona di me e del nostro futuro. In quel momento si abbassa su di me e copre la mia bocca con la sua.

YOLO ~ FillieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora