14 Papà (Revisionato)

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Si rimisero entrambi a lavoro, dopo essersi dati una ripulita in bagno.

Adesso lei era lì a sistemare le pratiche riponendole nelle apposite cartellette rosse, mentre lui leggeva le sue cause, senza sollevare gli occhi da lei, stava di proposito, evitando il suo sguardo.

Dopo quello che era appena successo,era così pensieroso e in soggezione.

Si sentiva così rifiutato da lei, nel senso, era stato così romantico, le aveva esternato quanto le piacesse, ma Miyazawa era una donna così complicata.

Si diede mentalmente dello sciocco, cosa si era messo in testa, nel senso, aveva fatto una promessa a Mizuki, non poteva davvero essere così preso da una donna, da dimenticarsene.

Si guardò la fede al dito, pensando che in fondo le cose non potessero andare diversamente per lui.

Era giusto così, poteva essere un ottimo mentore, un uomo maturo che si prendesse cura di lei, in modo quasi paterno, evitando che si infilasse in delle brutte situazioni, ma non il suo ragazzo.

Forse era una fortuna che Miyazawa fosse così restia con l'amore, dato che lui iniziava davvero ad essere così vergognosamente cedevole verso di lei.

Lei nel frattempo, era lì che sistemava le pratiche, e di tanto in tanto non riusciva a far meno di guardarlo, le dispiaceva tanto, per come fosse stata aggressiva nei suoi confronti.

Guardò il segno che gli avesse lasciato sul collo, peggio di un morso di un vampiro.

Pensò di non essersi affatto regolata, dopotutto cosa aveva fatto di male?

Era stato solo troppo passionale, e lei impaurita da quella situazione aveva reagito d'impulso.

Ma mentre rifletteva su tutte queste cose, il telefonino iniziò a squillare ininterrottamente,si era dimenticata di mettere il silenzioso.

"Miyazawa!" la rimproverò duramente, il cellulare andava tenuto con la vibrazione, durante l'orario di lavoro.

"Si, scusa, mi sono dimenticata di mettere il silenzioso..." spiegò lei, sul punto di spegnerlo, ma quando lesse "Papà", impallidì e il suo cuore si arrestò di qualche battito.

"Scusa, lo so, che non dovrei, ma sono costretta a rispondere" affermò lei, certa che se non avesse risposto, suo padre chissà solo di cosa sarebbe stato capace.

"Rispondi" le suggerì, tra l' irritazione e la rassegnazione.

"Pronto, papà..." rispose seccata, non aveva affatto voglia di parlare con lui.

"Dove diamine sei? Si può sapere, dove cazzo vivi una buona volta eh?" gridò furioso all' altro capo del telefono.

Da una parte era comprensibile che lui stesse dando di matto, era da circa due o tre anni, che non avesse idea di dove fosse sua figlia.

Iku inventava sempre delle scuse e prendeva sempre tempo, non voleva affatto fargli vedere il bilocale malandato in cui vivesse.

Sapeva come sarebbe stato spiacevole, con i suoi giudizi e critiche.

Poi avrebbe di sicuro fatto di tutto per convincerla a tornare a casa a vivere con mamma e papà, e lei non voleva.

La opprimeva e asfissiava, con quella faccenda del "torna a casa", lo faceva praticamente da sempre fino a darle il tormento, motivo per cui inventava sempre delle scuse, per non vederlo.

Ma adesso, lui sembrava essere arrivato al limite della sopportazione.

"Papà, senti non è il momento ideale, sono a lavoro" tentò di tagliare corto.

Secretary "to fuck" #wattys2021Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora